Capitolo 34

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Tale è la gioia che provo nel vedere la madre di Sarah che, nonostante debba essere di sicuro dolorante a causa delle procedure mediche, la cingo con le mie braccia ossute.

«Oh, Malka, dopo tanti nascondini la vita ci ha sorriso» le dico, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.

«Sei proprio tu, Uri? Ti prego, dimmi che la vista non mi inganna, perché la disillusione sarebbe un boccone troppo amaro da digerire» risponde Malka, portandosi una mano alla bocca.

«Sì, sono Uri, in carne e ossa, anzi, più ossa che carne» la rassicuro, cercando di ironizzare, eppure sembra che la mia battuta non sia gradita.

«Fatti guardare, caro» mi dice, accarezzandomi il viso con la sua mano callosa.

Parla nel suo tedesco fluente e meno rigido di quanto non sia, probabilmente per evitare che un curiosone dall'orecchio vigile come quello di un cane possa sorprenderci a parlare nella nostra lingua madre.

«Dove eri finito, tesoro? Mamma ti ha cercato tanto!» mi chiede Malka, con uno sguardo pieno di apprensione.

Le sue parole, buttate al vento in una maniera così frivola e senza cognizione di causa, mi stupiscono: Berlino è una città sterminata, piena di viottoli, stradine sconnesse, botteghe e quant'altro puoi trovare in un simile paese, eppure i nostri punti di ritrovo, i luoghi di interesse e i quartieri che io e la mia famiglia eravamo soliti frequentare sono sempre lì.

Ho passato in rassegna tutte le nostre strade preferite, eppure mai, neanche una volta ho intravisto con la coda dell'occhio mia madre.

La dolcezza e la preoccupazione con cui Malka si rivolge a me, tuttavia, consolano la mia povera anima ferita, nascondendo tutta la rabbia che un adolescente distrutto può covare dentro di sé.

«Ho cercato mio padre. È inutile che ti dica le motivazioni che mi hanno spinto ad andarmene di casa» le dico, non volendo alludere alla storia del rifugio per non tormentarmi ulteriormente.

«Uri, mamma ti vuole bene, lo sai. È un essere umano dalla pelle debole, e, in quanto tale, è normale che commetta degli errori. Sta soffrendo tanto» mi dice lei.

«Quell'uomo entra ed esce ancora dalla nostra casa quando gli pare e piace?» le chiedo io con astio, e, vedendo il suo sguardo rivolto improvvisamente verso le candide lenzuola, deduco che la risposta sia affermativa.

«Bene. Tornerò per prendere i miei fratelli, te l'assicuro» le prometto, iniziando a camminare avanti e indietro, per quanto il perimetro angusto, segnato da una tenda opaca, me lo consenta.

«E dove, se non hai un posto in cui stare?» mi fa notare Malka.

Il mio primo pensiero è quello che avrei dovuto portarli via prima con me, quando la fortuna mi ha sorriso, e Alexander mi ha portato nella sua abitazione dove sono stato trattato con i guanti bianchi e ho vissuto come un pascià.

Poi, però, la parte razionale recondita della mia mente mi fa tornare sulla retta via: cosa sarebbe successo, se loro avessero fatto la stessa fine degli orfanelli del rifugio? Avrebbero addentato una fetta di felicità, ma poi, in fin dei conti, che cosa ne sarebbe stato di loro?

I sensi di colpa, in tal caso, mi avrebbero attanagliato più di quanto non lo stiano facendo adesso.

Tra me e Malka, un silenzio imbarazzante la fa da padrone, pertanto mi decido a intavolare un discorso che da tempo non mi dà pace.

«Malka, Sarah... dov'è?» le chiedo, ripensando a quella ragazza gioviale, e alle parole che Shimon mi ha detto prima che iniziassimo le nostre piccole uscite furtive, e prima che il suo ultimo soffio di vita abbandonasse il suo esile corpo martoriato.

«Oh, Uri, sono contenta che, nonostante le vostre divergenze, la mia piccola non abbia abbandonato il tuo cuore. Vieni qui, avvicinati, non voglio che qualcuno ci senta» mi dice, e io, pervaso dall'emozione, mi siedo di fianco a lei, sul letto dell'ospedale dove, per un momento, i miei pensieri sono rivolti ad una ragazza che non sia Anja.

«Uri, Sarah non sta bene, ma è in buone mani. Forse ti ricordi di Joseph, il dottore dove mamma era solita portarti quando eri piccolo. Il cognome ora mi sfugge, ma sono certa che te ne ricorderai» mi dice, e io annuisco incerto, avendo un vago ricordo.

«Era riluttante quanto l'ho portata da lui, non volendo avere problemi. Un Tedesco che aiuta un'Ebrea? Oramai sarebbe una scena fantascientifica! Eppure quell'uomo, dopo attenti esami, ha capito che Sarah aveva bisogno di un accurato controllo, e l'ha portata in ospedale, dove è al sicuro» mi spiega.

Alle sue parole tiro un sospiro di sollievo.

«Si può curare?» le chiedo con apprensione.

«Non lo sappiamo» risponde lei, esitante.

Per rompere il ghiaccio, tento un nuovo approccio.

«Auguri per il bambino! A proposito: è maschio o femmina?» chiedo a Malka, e lei, mentre inizia a parlare del suo bimbo, si illumina in volto, con un'espressione raggiante, nonostante i suoi occhi tradiscano uno sconforto spiacevole.

«È un bel maschietto! Io e il papà dobbiamo ancora decidere il suo nome. Devi vedere come è carino. Ti assomiglia, sai? Ha gli occhi vispi come i tuoi, un vero miracolo!» mi spiega.

Cerco di godermi questi ultimi momenti con lei, sapendo che tra pochi giorni, essendo dimessa dall'ospedale, si ritroverà catapultata in una nuova dimensione, con tante responsabilità, e la consapevolezza che il suo bimbo si ritroverà a vivere in un mondo crudele come il nostro.

Al solo pensiero provo pena per quella creatura, e anche per la madre, che non potrà godersi la gioia e la soddisfazione di aver messo al mondo un'altra vita.

«Uri, Sarah apprezzerebbe tanto una tua visita. Non fa altro che parlare di te!» insiste Malka, tornando a quell'argomento.

«Malka, io le voglio un bene dell'anima, ma non posso uscire di qui, non ora che ho trovato un posto sicuro» rispondo.

«Uri, è in quest'ospedale. È al piano superiore, dove vengono tenuti i pazienti più delicati» mi spiega.

Non riesco a crederle, non ci riesco. La ragazza con cui ho condiviso un pezzo di vita è qui, a pochi metri da me.
Respira, vive, e il suo cuore batte ancora.

Qualcuno entra nella stanza: è Anja che porta il bambino, pronto ad essere coccolato dalla mamma.

Anja mi guarda, abbassa il volto, sconsolata, ed esce.

In mezzo al sospiro del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora