Capitolo 44

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Avevo preso in considerazione l'ipotesi che mia madre si sarebbe potuta presentare insieme ai miei fratellini, ma avevo sperato con tutto me stesso che il suo lato distratto prevalesse sulla preoccupazione di sapere chi cercasse i suoi figli.

«Uri!» gridano in coro Yona e Amos non appena mi riconoscono.

Il mio aspetto negli ultimi mesi è cambiato radicalmente.

Innanzitutto sono decisamente più magro, nonostante le scorpacciate del rifugio, dell'ospedale e dell'appartamento mi abbiano salvato dal vortice dell'anoressia che mi stava violentemente trascinando.

In secondo luogo, i miei capelli sono diventati eccessivamente lunghi, e ora mi lambiscono le spalle quasi fossi un uomo della giungla con qualche ciocca di troppo.

Terzo ma non per importanza, il mio abbigliamento, un tempo ordinato e raffinato, ora assomiglia a quello di un marinaio provetto per via dei gusti eccentrici di Anja.

Mentre faccio segno alle due pesti di abbassare la voce per evitare ulteriori grattacapi proprio ora che ci siamo ritrovati, mia madre si butta a terra, sopraffatta dal dolore e dalle lacrime che le scendono copiosamente dal volto.

La guardo con odio e disgusto, e un senso di pena mi attrae irresistibilmente, sorprendendomi per la prontezza con cui mi ha assalito.

«Uri, non ho fatto altro che pensare a te! Eri sparito, non mi hai fatto sapere nulla per mesi, e io temevo che qualcosa di irrimediabile fosse accaduto! Cosa hai fatto, bimbo mio?» continua a lamentarsi tentando di cingermi le gambe, ma il fitto filo spinato e i miei rapidi spostamenti glielo impediscono.

Continuo ad osservarla, e devo ammettere che io non sono l'unico ad essere cambiato: ora anche lei ha un aspetto trasandato, gli arti arrossati per l'eccessiva luce del sole, il volto pur sempre pallido, le occhiaie marcate, gli occhi vuoti e privi di vita, ma il volto è eccessivamente tumefatto.

Mi sarei aspettato di vedere un ventre rigonfio, eppure con mia grande sorpresa non mi ha riservato nessuna novità del genere.

Decido di non prestarle più attenzione, e di rivolgermi ai miei fratelli, che in questo momento, nella loro ingenuità e nella loro delicatezza impressionante, sono il mio oggetto del desiderio, e per questo di gran lunga più importanti.

«Uri, ci sei mancato tanto! Sai che Yona e io abbiamo imparato a saltare alla corda come facevi te alla nostra età?» mi dice il più piccolo, Amos.

«Ne sono contento! Ora però ragazzi non posso rimanere. Ben presto faremo tutto ciò che volete: salteremo la corda, giocheremo a carte, cucineremo e impiastricceremo la casa, però dovete avere fiducia in me» li rassicuro.

«T... torni qui?» mi chiede mia madre con incertezza, mentre si rialza e si ricompone.

Yona la aiuta ad alzarsi, e le spolvera il vestito che ora è pieno di fango e sudiciume.

«Se pensi che io voglia costruire la famiglia felice dei tuoi sogni o permettere che loro due rimangano qui ti sbagli di grosso» la ammonisco, puntando l'indice in alto.

È in questo momento che realizzo di aver finalmente raggiunto la tanto ambita maturità: dopo schiaffi dalla vita, lezioni, sberle da mia madre, ora sono io a dettare le regole qui, e a filare una tela più sicura e promettente per Yona e Amos.

«Uri, ti prego, non puoi portarmi via anche loro! Sono tutto ciò che mi resta di tuo padre!» mi spiega.

Al solo sentir nominare mio padre il sangue mi ribolle nelle vene, ma cerco di prendere un respiro e ragionare a mente lucida.

«Prego Iddio che il camioncino dei rifiuti continui a passare, perché non voglio che il mio piano vada a rotoli.
Devono fare quello che ho fatto io, in maniera rapida e semplice.
Quando mercoledì, o in qualunque altro giorno, passerà il camion, loro si nasconderanno lì.
A meno che il conducente non sia stato sostituito è un tipo fidato, e li aiuterà di sicuro.
Devono aspettare che le guardie di pattuglia vadano a prendere le bottiglie della sera prima e che i compagni sfilino per gettare i rifiuti raccolti per strada.
A quel punto, dopo le prime casse di rifiuti, entreranno lì. Te li aiuterai a coprirsi con lo sterco e l'immondizia.
Non è molto, ma è l'unica alternativa, a meno che dopo un anno di reclusione tu non voglia cercare di procurarti documenti falsi.
Sono piccoli, sarà facile nasconderli.
Uno per volta, ovviamente, o il piano non sarà risolutivo, ma distruttivo.
Una volta usciti durante il tragitto verso la campagna alla prima sosta scenderanno giù.
Io li aspetterò vicino alla casa marrone, quella con il comignolo che piace a voi e la capanna con le pecore e le sterpaglie, non potete sbagliarvi, ragazzi.
Se non la trovate tranquilli: la campagna è sterminata, e io sarò con voi, non abbiate paura» concludo.

Lei non ribatte.

«Li aspetterò ogni mercoledì fino a quando la tua coscienza non ti avrà spinta a metterli in salvo» aggiungo.

Poi faccio un cenno con la mano, mi rimetto il berretto, e ora che è buio, che ho compiuto il mio lavoro e che sono soddisfatto mi incammino verso casa.

Dopo pochi metri mi volto, tentando di scorgere le loro sagome nell'oscurità, ma già si sono rinchiusi nel loro modesto palazzo, in attesa di ricevere qualcosa da mangiare.

Durante la strada rifletto su come potrà essere il mio futuro.

Penso che se mia madre non si lascerà trascinare dal senso di solitudine e di angoscia, allora Yona e Amos saranno in salvo: io li aspetterò davanti alla casa di campagna, con il cuore che minaccia di uscire dal petto.
Poi ci incammineremo verso il bosco, dove spero di non addentrarmi nella zona del rifugio, perché Dio sa come potrei sprofondare di nuovo nel baratro di sensi di colpa e terrore.

Infine, entreremo nell'appartamento, dopo lamenti di Amos sul lungo percorso e i piedi doloranti. I due giocheranno con Michael, e insieme aspetteremo al sicuro la fine della guerra: mia madre sarà un vago ricordo.

Se invece mia madre li tratterrà con sé, allora non avrebbero vita lunga, ma non voglio pensare alle conseguenze.

Un ultimo, destabilizzante pensiero mi travolge: cosa succederebbe se il piano non andasse a buon fine?

In mezzo al sospiro del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora