Teseo e il minotauro (Teseo)

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Dove l'aroma d'alloro ghiacciava, s'ergeva laboriosità umana, ed era notte quando era giorno, potevo udire ferro stridere, bramare un carminio denso e scuro, sangue nero versato in onore degli Dei. Ero a Nemea, prossimo a strappare il soffio vitale da un leone, vedevo Lerna e le frecce imbevute di morte, ammiravo il sibilo d'un dardo lacerare carne sacra. Così, m'accingevo a varcare la soglia, mosso da risa e canti. Questi mascheravano qualsiasi altro suono, inondavano la mente come fluttuazioni burrascose, le onde da cui provenivo, i cittadini e il mare, la mia casa. Onde le quali, prima di far risacca contro roccia spianata, abbracciavano i petali gettatimi.
Vagando però nell'antro ferale, impratichitomi con il suolo sotto i piedi, un'implacabile carestia di pensieri inaridì le membra che s'ammantarono di pietra. Assieme a loro, l'udito, il quale, se prima, come il divino Ermes , raggiungeva terre e città, ora, sussurrava l'impattare dei sandali sulla superficie.
Quel giorno, in quel labirinto, (tutt'oggi sono incerto su cosa fosse veramente) il vero parve flebile come fili di seta e il reale, non era reale. I miei sandali smisero di appartenermi. Si dissolsero, ripresero forma, giungevano da un macigno, con loro la ferrea spada. Rimandavano a mio padre, se ei fu mio padre, alla mia giovinezza, a giornate senza tempo, trascorse da un fanciullo impaziente del destino. Dai sandali poi, in armonia con il ritmo delle falcate, rami di oleastro ricoprirono le mura del tunnel, di me stesso. Presero vita le falcate e intonarono gesta a me ben note. Di ladri e briganti, di morti e vittorie. Eppure, in quel luogo, dove giorno non illuminava il cammino, dove non vi era filo da seguire, i briganti, demoni che furono, parevano impersonare tutti Tanathos stesso. Io, inibito nel tempo, mai come prima, potevo vederlo bloccarsi dinanzi a me. Girovagava così la mia anima, tra infinite possibilità, infinite vie fino alla morte. Andavo domandandomi quanta, dell'immensa terra, il macigno, i briganti, avessi già percorso.

Faccia a faccia con l'avvenire, Teseo leva al cielo l'elsa lucente, recide il filo tessuto da se stesso in una vita, sfiora il suolo una lacrima, attraversa ciclopiche lande, da Sferia ad Atene. Per la prima volta, l'eroe teme la morte. Perlomeno, sa che ora non c'è fato a fare le sue veci, solo pié veloce apprestato ad un nuovo sentiero.

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