I desiderantes

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"La parola "desiderio" porta già nel suo etimo la dimensione della veglia e dell'attesa, dell'orizzonte aperto e stellare, dell'avvertimento positivo di una mancanza che sospinge la ricerca"

i desiderantes erano i soldati romani che aspettavano sotto le stelle i compagni che non erano ancora tornati dal campo di battaglia.

Abbandonato alla marmorea colonna, al confine tra città e ignoto, dimorava solo un uomo, dedito ad una durevole preghiera nelle stelle. Non sedeva, bensì vigilava vispo in piedi, osteggiando un inafferrabile avvenire. Tentava ancora di sopprimere dai sandali il tanfo della guerra e di scacciare l'olezzo di sangue dall'armatura, tanto incrollabile in battaglia, quanto gracile dinanzi alla lunga attesa. Rincorreva nella luna un suo frammento, con un'insistenza pari a quella della sua infanzia, quando la lontananza dai genitori sgretolava le membra. Cosparso da un tanto contorto firmamento però, le costellazioni sfumavano in caotico vapore, e i suoi contorni andavano facendosi trasparenti, fino a svanire. Chinando lo sguardo scrutava  la vastità della natura oltre il costruito, ammantata d'un alone di tenebra. In cuor suo, non vi era vena annerita che non riflettesse ombra, espansa dall'ignoto sul mondo. Agognando uno spiraglio di luce, le sfinite iridi proiettavano immagini sull'oscurità. Un cervo appena nato, trasudante di candore, gemeva nel reggersi in piedi con le sue flebili ossa. Drizzando il pelo, attendeva l'indispensabile nutrimento portatogli dalla madre. Come il mesto soldato, la creatura si getta tra gli affabili rami di un albero, a sostenere di ferrea volontà le cartacee ossa. Giaceva in bilico così, dopo tale vista, il guerriero. I minuti, che erodevano imperturbabili l'uomo, non fluivano attraverso alcun legame familiare. Eppure, ripetitivi, lesionavano le fibre rosee, costringendole al pilastro, e le consumate calzature bramavano una strada differente rispetto alla partenza. In verità, oltre i confini del conquistato, si estendeva un legame forgiato dal sangue nero, da promesse più dense di qualsiasi spada di bronzo che le coste di Troia abbiano mai visto, più incrollabili delle volontà di qualsiasi sacerdote. Ora, paratosi dinanzi al fresco volto dell'uomo, tinto d'azzurro da vigorose lacrime, splendeva la lucentezza dei tempi passati. Il tepore estivo ravvivava i dialoghi, e la fredda bora inaspriva i litigi. I momenti condivisi in una vita tessevano un filo scarlatto, infrangibile anche per la divina Cloto. In quella fuggevole eternità, il soldato comprese il movente dell'attesa. Viveva per uno speranzoso futuro, per un presente da cui poter temprarsi come arma del divino Efesto. Viveva, soprattutto però, per onorare il passato, per custodire un tesoro più vasto di tutte le terre Romane, più sfarzoso di tutto l'oro conquistato dal Pelide: le memorie. Si ancorava ad esse adagiandosi totalmente, l'uomo, nell'attesa di tornare nel reale, o sprofondarvi per sfuggire dal sonno eterno. Non accontentatosi della meravigliosa illusione, il guerriero decise di incidere nella realtà quest'ultimi. Con le sole mani logore, furono messi per iscritto i momenti migliori portati per una vita. Collocato il bronzo, in difesa di vento e tempo, rimase di guardia in quel luogo, il desiderante, ormai pronto al verdetto astrale.
È così...
che viviamo

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 04, 2019 ⏰

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