S2: E10 "L'ultimo uomo sullo Spazio"

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JAHA

[Current Swell, Whos With Us - Last Man On Space]

Seduto sulla sedia nella sala di comando, pigio ripetutamente sui tasti della ricetrasmittente. Sono trascorsi pochi minuti da quando ho captato un segnale da parte di Markus, Abigail ed Esma e poi più niente. Dev'essere accaduto qualcosa, se non riesco a contattarli.

Sospiro, lasciandomi scivolare sulla sedia. Desideravo sentire ancora una volta le loro voci, nonostante la solitudine cominciasse a piacermi. Ridacchio. Chi voglio prendere in giro? Eppure in passato mi sono sentito spesso solo, ma non come questa volta, penso. Essere Cancelliere è un mestiere complicato. Tutte le scelte che ho fatto e che probabilmente avrei potuto fare, sono state eseguite per salvaguardare l'ultima razza umana. Se non avessi giustiziato tutte quelle persone, quante altre vite umane sarebbero scivolate via? Meritavano tutti di essere giustiziati? mi domando.
Mi alzo dalla sedia e afferro la bottiglia di alcol dal tavolo. Me la rigiro tra le mani, sorridendo. Quando poseremo i nostri piedi sul suolo della Terra, festeggeremo il nostro ritorno a casa. Furono queste le mie parole dette ai miei consiglieri. Eravamo certi che saremmo approdati sul pianeta Terra tutti insieme, eppure eccomi qui, a festeggiare da solo, perché in realtà ce l'abbiamo fatta. In realtà siamo riusciti a portare i nostri piedi a casa.
Mi dirigo all'esterno della sala di comando. I corridoi sono freddi e vuoti. Oltre all'ossigeno che sta scarseggiando, anche il riscaldamento comincia a mancare.
Mi fermo di fronte al mio ufficio. La porta si apre scorrendo, mentre mi porto la bottiglia alle labbra. Il liquido mi brucia la gola e poi li vedo. Markus, Abigail, Esma e Lydia. Sono seduti intorno al tavolo e stanno discutendo con me di Thomas Bennett, marito di Esma. Mi ricordo di quel uomo. Aveva infranto una legge e doveva essere giustiziato. Lydia si alza insieme ad Esma. Le osservo allontanarsi in un angolo della stanza e parlare a bassa voce.
Era il giorno in cui avevo giustiziato ben due persone e Thomas Bennett era il terzo. Mi ricordo anche di Lydia. Era una donna saggia. Cercava sempre di trovare una soluzione giusta per ogni situazione, ma alla fine spettava a me la decisione finale.
Trangugio un altro sorso della bottiglia. Povero uomo, penso. Aveva rubato delle medicine per curare sua figlia, che all'epoca era molto malata ed io l'avevo ingiustamente giustiziato. Molte volte mi era capitato di valutare le mie scelte prima di applicarle, eppure, una parte di me era sicuro che fossero giuste.
Mi allontano dalla stanza e mi dirigo nella mensa. Spesso Wells e Clarke trascorrevano interi pomeriggi seduti ai tavoli a giocare a scacchi. Erano piuttosto bravi, rammento.
L'alcol della bottiglia sta cominciando a scarseggiare...ma cosa me ne importa, infondo? Anche l'ossigeno cesserà di entrarmi nei polmoni e presto esalerò il mio ultimo respiro. Posso percepirlo dalla fronte imperlata di sudore. Il mio corpo comincia ad avvertire dei cambiamenti e non posso fermarlo. E se tutte le mie scelte fossero state sbagliate? No, non è possibile. Sto cominciando a delirare. E se avessi potuto evitare tutte quelle ingiuste fustigazioni? Forse avremmo trovato una soluzione, forse quelle vite umane sarebbero ancora tra di noi. Forse non sarei qui da solo ad autocommiserarmi. Wells. Se solo tu fossi qui, figlio mio. Forse potremmo giocare ad una partita a scacchi, forse potremmo parlare di qualcosa, ricordare i bei momenti trascorsi insieme. Se tu non avessi infranto quelle stupide regole, non saresti morto. Nessuno sarebbe morto. Un altro sorso. Il liquido brucia come acido. Forse è meglio così, in fondo. Forse merito di morire da solo. Chi muore in compagnia, dopotutto? Nessuno, a meno che non ti assistino da vicino. Sono stufo. Lancio la bottiglia vuota per terra e ritorno nella sala di comando. I numeri nello schermo indicano che tra sei ore, l'ossigeno si esaurirà. Mi accascio a terra, contro il muro e chiudo gli occhi. Sono pronto a lasciarmi andare tra le braccia della morte.

Quando mi sveglio, l'ora segna due ore. Sto sudando. Mi alzo e guardo fuori dalla finestra. Lo Spazio è così immenso, penso e poi lo sento, un gemito soffocato che proviene dal corridoio. Seguo quella fonte di rumore con il cuore che mi martella nel petto. Non posso crederci, penso. Ho sempre creduto di essere solo qui, eppure...Il gemito si fa sempre più forte. Apro la porta del mio appartamento. Un neonato, steso sul letto, piange a dirotto. Lo prendo tra le braccia e lo stringo.
"Che cosa ci fai qui?" gli domando. "Credevo di essere solo." Il bambino si calma. "Oh, ora mi sorridi. Non puoi stare qui. Io...io devo portarti via di qui."
Le mie gambe si muovono da sole verso la sala dove sono contenute le capsule. L'ultima capsula funzionante è esplosa durante il lancio, mentre quella rimasta è danneggiata. Non permetterò che questo bambino muoia qui. Aggiusterò quella stupida capsula, fosse l'ultima cosa che faccio.
Entro all'interno della macchina e comincio ad attivare i motori. "Stai tranquillo." dico al bambino. "Aggiusterò tutto." E quando l'ultima speranza comincia ad abbandonarmi, la lampadina si accende di verde. Rido di cuore. Non posso credere di essere riuscito ad aggiustarla. "Hai visto?" domando di nuovo al bambino, mentre ci prepariamo al lancio.
Guardo in basso e rimango impietrito. Il bambino non c'è, ma al suo posto c'è una coperta. "Non capisco" mormoro. Prendo la coperta e la rigiro tra le mani. Sul tessuto c'e scritto il nome di mio figlio. Una lacrima mi scende lungo la guancia. Wells mi ha salvato la vita. Quel bambino, che la mia mente aveva proiettato, era mio figlio. "Grazie Wells, grazie figlio mio". Chiudo gli occhi e lancio la capsula nello spazio.

[Interrompi la canzone.]

The 100 - Gli Uomini della MontagnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora