È notte. Bevo tè nero sbattendomene della quarta extrasistole che mi ha appena mozzato il respiro. È solo ansia, mi dico, che importa. La solita bugia di cui mi ingozzo per non impazzire. So che non è giusto, ma è come sta andando.
Perché accontentarsi della certezza di sopravvivere quando si dovrebbe prendere ad unghiate il mondo e vivere? La felicità non è un diritto. Nessuno di noi merita di avere qualcosa di meglio, accade un po' tutto per caso.
Rifletto sul perché io stia annaspando e conosco la risposta. Vorrei afferrare le cesoie da cucito nel portapenne e ficcarmele dritto dentro alla carne. Osserverei composta il sangue gocciolare dalle cosce e precipitare sul pavimento.Torno in me.
È improprio chiamare infelicità la mia condizione. Nessuno è mai solo triste o solo contento, non siamo schemi facciali e pattern comportamentali surgelati da scaldare in microonde. Tuttavia, come ho detto prima, tutto accade un po' per caso. Quello che mi è accaduto non è stato frutto della sorte, è stato ragionato, ponderato, considerato accuratamente e pianificato come un qualsiasi delitto. Per cui sì, non è giusto. Io non merito di essere infelice per la Ragione di cui vi parlerò più avanti, perché non è piovuta magicamente dal cielo.
Un incidente, una malattia, la morte di una persona cara, una guerra, quel che diamine vi pare – sono eventi totalmente casuali. Dovremmo incolpare un dio, quindi? Magari è il solito dio bambino che si diverte a pescare da un barattolo modi sempre nuovi per colorare la permanenza all'inferno. Magari, sì. Credete pure quello che vi pare: la gente continuerà a morire perché è giusto che vada così, perché c'è un equilibrio da rispettare. Siamo animali con indosso dei vestiti in un ecosistema di cemento armato e ordine occasionale.Sotto alla mia finestra c'è uno spiazzo che i ragazzi del condominio di fronte usano come campo da calcio. Li sento schiamazzare ogni pomeriggio, quando comincia a far più fresco; non mi disturbano. Il tonfo del pallone contro il muretto di pietra scandisce le ore patetiche dei miei pomeriggi e mi ricorda di anni migliori. Anni che avrei voluto vivere per davvero.
Cosa accade a chi non si è sentito braccato come selvaggina dai cani?
Se solo avessi potuto sapere, anch'io - oggi - avrei avuto un pallone fra i piedi e i polmoni liberi. Avrei avuto la mia vita, la mia laurea, il mio lavoro. Sarei stata libera da vincoli e catene appena sveglia ed ora pasti, con poca acqua.
Cosa si prova quando non si percepiscono i propri organi uno per uno, quando si riesce a mangiare, respirare, scopare come chiunque altro pezzo di merda su questo pianeta? Cosa prova l'essere umano medio, come si sente dopo aver mangiato o corso o riso troppo?
Tu, dopo quello che mi hai fatto, come ti senti?
Ma adesso andiamo indietro, ché tutti devono sapere.
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Quando ti senti in gabbia guarda il cielo
Non-FictionA nessuno importa dell'autobiografia di una sconosciuta che non ha nulla da raccontare, ma ho bisogno di sbattervi in faccia la mia vita. In molti esibizionisti si nasconde un guscio abbandonato, probabilmente solo. Ne ho bisogno.