Il trasferimento

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Salgo sulla barella e l'infermiera mi porta fino all'ambulanza. Così inizia il nostro viaggio verso l'altro ospedale, viaggio che è parecchio traballante, tanto che riesco a sentire ogni tipo di movimento che fa l'ambulanza. Cerco di stare tranquilla, perché so che mio padre e mia nonna mi stanno seguendo con la macchina; ma come farò i giorni successivi quando non ci sarà nessuno con me? Scaccio via quel pensiero dalla testa e l'infermiera, dopo aver notato che non sono al massimo della mia tranquillità, è così gentile da distrarmi. Le parlo del mio sogno di diventare veterinaria e di come io amo incondizionatamente gli animali: sono sempre pronta a mettermi in gioco per salvare i randagi dalla strada e spero che un giorno, quello che è il mio sogno, diventi realtà.
Mi guardo intorno, sperando di capire dove siamo, ma ovviamente non si vede nulla. Per fortuna il tempo passa velocemente. Ma quando cala il silenzio, la mia mente comincia di nuovo a vagare: che cos'ho? E' grave? Perché nessuno vuole dirmi nulla?
Domande alle quali non so dare una risposta e che mi mettono sempre più ansia.
Percepisco l'ambulanza che rallenta sempre di più.
"Siamo arrivati!", dice l'infermiera sorridendo.
Sento il cuore che mi batte a mille, voglio tornare a casa. Il mio cervello è nuovamente in tilt. Perché sono qui? 
Sono talmente in agitazione che non riesco nemmeno a pensare.
Scendiamo dall'ambulanza ed entriamo in ospedale: riesco a vedere solo le luci bianche del soffitto, sembra di essere in una scena di qualche film, un misto tra Grey's Anatomy e Dr. House. Peccato che ancora non ho incontrato nessun medico gnocco.
Vengo portata al reparto di ematologia, ma l'autista dell'ambulanza sbaglia strada e ci ritroviamo al day hospital: "Dovete salire al quarto piano: è lì che attendono la paziente per il ricovero.", dice un'infermiera.
Dietro front. Cerchiamo gli ascensori vicino la cardiologia e saliamo al quarto piano.
L'ascensore si apre ed ecco che mi ritrovo in un reparto a mia sorpresa completamente pulito e accogliente. Qualche piroetta con la barella fino a quella che sarà la mia futura stanza: entro timidamente e vedo una signora, apparentemente tranquilla, coricata nel lettino accanto al mio. Speravo in una ragazza della mia età, ma a quanto pare, stare in stanza con qualche coetanea, è una caratteristica dei film e non della vita reale.
Scendo dalla barella, saluto e ringrazio l'autista e l'infermiera che mi hanno portato fin qui e mi stendo sul letto, con l'ansia a mille, sperando che mio padre e mia nonna arrivino presto.

Mezzora dopo.
"E' un caos arrivare fin qui!", mi giro e vedo mio padre seguito da mia nonna.
L'ansia inizia a placarsi e il mio broncio si trasforma in un sorriso a tremila denti. Inizio a sistemare la roba che mi hanno portato, riempendo il mio armadietto; ad un certo punto arriva un signore con il camice e i capelli bianchi: il primario del reparto.
"Ciao Luana, nei prossimi giorni ti verranno fatti altri esami del sangue e poi ti verrà fatta la biopsia, per capire cos'hai nel polmone. Dopodiché procederemo ad una cura e ti rimandiamo a casa, d'accordo? Non ti preoccupare, ti facciamo tornare a nuovo! Ora riposati tranquilla, ci vediamo domani." 
Annuisco, fingo un sorriso ed esce dalla stanza.
"Io posso andare via?", chiede mio padre "Tanto c'è tua nonna che ti farà compagnia." Annuisco nuovamente, guardo nonna che mi sorride e nel frattempo salutiamo mio padre.

Ore 18.30. Passano la cena e la minestrina ovviamente non può mai mancare, però almeno qui hanno il Grana Padano: rimango quasi stupita. Stranamente il cibo e tutto buono, a differenza dell'altro ospedale: almeno qualcosa di positivo c'è. 
Passano a ritirare i piatti e mi danno le mie medicine che, preferiscono, io prenda ogni sera, tra cui il sonnifero e l'ansiolitico: un bel cocktail di farmaci che mi sedano completamente, tanto che non ho alcuna difficoltà a dormire.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 16, 2019 ⏰

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