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Sono quasi le sei del pomeriggio quando finalmente riesco a spegnere il computer, a raccogliere le mie cose e andarmene.
«Ciao, Anna, a lunedì», mi saluta Kitty spegnendo le luci, e io ricambio.
Anche lei è rimasta seduta alla sua scrivania tutto il giorno a preparare la presentazione per l'intervento del suo capo.
Prima di uscire, mi fermo davanti la porta della stanza di Max e busso per salutarlo e consegnarli la presentazione stampata.
«Avanti!», urla da dentro.
Appena apro la porta però, mi fermo sulla soglia e resto sorpresa nel notare il signor Walker seduto sulla poltroncina sistemata davanti la scrivania del mio capo: ha la caviglia appoggiata sul ginocchio e con una mano accarezza il lieve accenno di barba che ha sul mento. Ho i suoi occhi puntati addosso.
«Oh, Anna, vieni, entra pure», esclama Max, forse chiedendosi il motivo per cui resto lì ferma impalata passando lo sguardo dall'uno all'altro.
Assecondando il suo invito, mi faccio avanti sentendomi stranamente a disagio mentre cammino verso di loro.
Sarà forse perché Luke Walker sta fissando ogni mio movimento?
È irritante.
Ha uno sguardo così impertinente.
Li raggiungo e il mio capo fa le presentazioni con un gesto della mano: «Luke, questa è Anna Corrigan, la mia preziosissima assistente personale. Anna, lui è Luke Walker, il nuovo capo Area»
«Piacere di conoscerla, Miss Corrigan», fa lui, tendendomi la mano.
«Piacere mio», e allungo la mia per stringerla.
La sua pelle è calda, liscia e morbida. La stretta è forte e le sue dita affusolate sono così lunghe che la mia piccola mano scompare quasi del tutto dentro la sua.
Non accenna minimamente all'incontro di stamattina, continua solo a fissarmi mentre lo sento stringere un po' più forte la presa appena un attimo prima di lasciarmi andare.
È quasi inquietante.
«Il signor Walker è stato così gentile da venirmi a conoscere prima della riunione di martedì», mi spiega Max.
Annuisco e gli consegno la presentazione stampata.
Non so perché ma ho i pensieri in subbuglio.
«Grazie Anna», mi dice Max, con premura.
«Io sto andando via, se non ti serve altro...», lascio la frase in sospeso.
«No tranquilla vai pure e buon weekend»
«Anche a te», rispondo, rivolta a Max. «Arrivederci», dico poi, rivolta a Luke Walker, che però mi ignora.
Arrogante.
Giro sui tacchi e me ne vado, forse un po' troppo in fretta. Sospiro di sollievo quando finalmente mi ritrovo da sola fuori dalla stanza di Max. Quando arrivo alla porta che conduce alle scale però avverto distintamente dei passi dietro di me e prima che io possa spingere la maniglia anti panico, qualcuno lo fa per me.
Mi volto e, con sorpresa, mi ritrovo davanti il nostro nuovo Capo Area.
Di nuovo.
«Prego, dopo di Lei», dice, allungando il braccio per farmi segno di passare.
«Oh, grazie», mormoro.
Mentre inizio a scendere gli scalini continuo a sentire i suoi passi dietro di me, arrivati quasi al piano terra fa gli ultimi gradini di corsa e mi precede per aprirmi di nuovo la porta.
«Grazie», ripeto.
Ma cosa vuole?
«Ciao Caroline, buon weekend», dico salutandola.
Mi sento un po' confusa.
«Oh, ciao Anna, passa anche tu un buon fine settimana e anche a Lei, signor Walker», fa Caroline gentile.
«Grazie, ma io non sto ancora andando via, sono sceso solo per andare a prendere un caffè», lo sento rispondere mentre sto uscendo.
Finalmente un po' d'aria fresca, la respiro a pieni polmoni. Forse mi restituirà un po' di lucidità. Guardo il cielo, il brutto temporale di stamattina sembra solo un brutto ricordo, almeno per ora. Le nuvole lasciano lo spazio a qualche spicchio di azzurro.
Pur essendo quasi le sei del pomeriggio è ancora giorno, siamo quasi a fine maggio e le giornate si sono allungate, nonostante il tempo non si tenga al passo con la stagione.
«Signorina» Sento qualcuno afferrarmi con gentilezza per il braccio.
Ero talmente immersa nei miei pensieri che non mi ero accorta dell'uomo accanto a me.
Perché Luke Walker mi sta seguendo?
Mi fermo e lo guardo, aggrottando appena la fronte. «Mi scusi, ero distratta. Comunque mi chiami pure Anna. Cosa posso fare per Lei?», dico.
«Anna», dice lui lentamente, accarezzando con la lingua ogni singola lettera e ignorando completamente la mia domanda.
E quel nome resta sospeso per un attimo tra di noi. Il suo tono di voce,  graffiato e basso, rende quelle quattro lettere speciali e una particolare emozione, sconosciuta, si espande dal centro del mio petto per tutto il mio corpo.
Restiamo a guardarci, ma non come questa mattina, è come se ci stessimo studiando l'un l'altra e, per la prima volta, noto con stupore il bellissimo colore verde dei suoi occhi, di cui, fino a questo momento, non mi ero accorta.
Non so come ho fatto a non rendermene conto, dal momento che i suoi capelli neri creano un contrasto molto netto con il colore chiaro delle  iridi.
Mi ritrovo in un attimo ad osservare tutto il suo viso, come se fossi alla ricerca di nuovi particolari che potrebbero essermi sfuggiti.
Ha un'espressione così seria che tra le sopracciglia gli si è formata una piccola ruga, sembra stia cercando di districare un intricato mistero, e lo trovo così buffo che non riesco a trattenere un piccolo sorriso.
«Mi chiedevo...», inizia incerto, forse incoraggiato dalla mia espressione. Si passa una mano tra i capelli e per un attimo ho come l'impressione che sia indeciso se continuare, oppure no.
Si schiarisce la voce, chiude gli occhi, li riapre e prosegue.
«Mi chiedevo se Le andava di prendere un caffè con me», dice, tutto d'un fiato.
Sono sorpresa.
Mi sta chiedendo di prendere un caffè insieme?
Aggrotto la fronte, incerta.
«La ringrazio. Ma io non prendo caffè», rispondo semplicemente, perché è la verità.
Lui non replica nulla ma continua a tenere i suoi occhi nei miei, mi fissa con così tanta intensità che sono costretta a voltarmi per interrompere quel contatto visivo.
Ma cosa vuole da me?
Siamo in piedi in mezzo al marciapiede affollato, ora mi sento a disagio e non so davvero spiegarmi il perché.
Torno a guardarlo, schiudo le labbra per parlare ma nello stesso momento una donna che sta conversando animatamente al telefono ci passa accanto e mi viene addosso involontariamente, i tacchi mi fanno perdere l'equilibrio, facendomi sbilanciare e cadere proprio tra le braccia di Luke Walker, che mi afferra al volo, sorpreso; in una frazione di secondo ci ritroviamo, nostro malgrado, abbracciati.
La donna che mi ha urtato si sta scusando, ma io me ne accorgo a malapena.
Lui distoglie lo sguardo solo un attimo da me e le rivolge un cenno col capo, come per congedarla.
Quando torna a guardarmi sento le guance andare a fuoco.
Sono così in imbarazzo che non riesco a muovermi e, né tanto meno, a parlare.
Siamo così vicini che riesco ad accorgermi persino delle piccole pagliuzze dorate che circondano le sue pupille.
Ma che mi succede?
Sembro un'adolescente scema.
Oggi mi sono ritrovata a pochi centimetri anche dal viso di Thomas, ma non ho fatto tutte queste storie.
Restiamo così, stretti, vicini, fermi in mezzo alla strada affollata, mentre il mondo continua a girare intorno a noi, ignaro.
Il mio cuore perde un battito quando quella piccola ruga tra le sue sopracciglia si distende, come se la mia vicinanza avesse cancellato un brutto pensiero.
Socchiudo gli occhi, il suo odore, così speziato, mi avvolge.
«Lei non prende l'ascensore, non prende caffè...», inizia a dire.
Mi tengo ai suoi bicipiti con entrambe le mani e sento i suoi muscoli guizzare sotto la giacca e la camicia.
«Ci vuole fantasia con Lei», conclude, ma lo dice a voce così bassa che non sono sicura che volesse farsi davvero sentire, e non sono nemmeno sicura del fatto che le sue parole e questa situazione mi piacciano.
Mi allontano con uno scatto.
«Devo proprio andare. Grazie per il caffè, comunque. Le auguro buon fine settimana», dico alla svelta e, prima che lui possa aggiungere altro, riprendo a camminare.
Ma chi si crede di essere per dirmi quelle cose?
Cosa ne sa di me?
Sono furiosa.
Ma perché sono così furiosa?
Credo di aver lasciato dei buchi nell'asfalto con i tacchi.
Arrivo alla macchina e salgo sbattendo la portiera, mi sistemo i capelli dietro le orecchie e faccio dei lunghi respiri profondi, cercando di calmarmi.
Quando penso di aver ritrovato un minimo di equilibrio interiore, il mio cellulare inizia a squillare, lo tiro fuori dalla borsa, guardo il nome che lampeggia sul display e mi preparo all'esplosione della bomba.
«Ciao mamma», rispondo con tono incolore.
E la bomba esplode.
«Anna! Finalmente! Ti chiamo da ieri sera! Stai bene?»
«Sì, sto bene, stai tranquilla»
«Tranquilla?! Ero molto preoccupata. Perché non mi hai risposto? Pensavo ti fosse successo qualcosa» Alzo gli occhi al cielo, faccio fatica ad immaginare mia madre molto preoccupata.
«Scusa, ma ieri sera sono tornata dalla seduta, mi sono fatta una doccia e sono crollata. Stamattina ho pensato solo ad arrivare in ufficio sana e salva, stava venendo giù il diluvio universale e poi oggi ho avuto un lavoro importante da fare, che non ho neppure avuto il tempo di pranzare. Ora sono in macchina, sto tornando a casa», mi giustifico, sebbene io non sia tenuta a farlo.
«Ah, bene. Anche se è venerdì e dovresti andare a divertirti»
Infatti sto andando a casa a divertirmi.
«Comunque ti cercavo per avvisarti che domani mattina presto ho l'aereo, vengo per il weekend, non ci vediamo da dieci giorni e voglio venire a controllare», aggiunge.
«Controllare cosa?»
«Te», ride.
«Beh, d'accordo. Vengo a prenderti all'aeroporto. A che ora arrivi?»
«Per le dieci»
«Alle dieci sarò lì. A domani, allora»
«Ciao tesoro»
«Ciao mamma»
Di bene in meglio.
Continuo il mio esercizio di respirazione mentre assimilo la notizia.
Andrà tutto bene.
Metto in moto e inizio a guidare verso casa.
La strada di ritorno è un inferno, il traffico del venerdì sera è sfiancante.
Ritrovarmi bloccata in coda mi lascia decisamente troppo spazio per pensare alla giornata appena finita e al fatto che dovrò sorbirmi mia madre per l'intero weekend.
Sono passati solo dieci giorni dall'ultima visita, ha detto. Strano, era tornata alla media di una volta al mese.
Alzo il volume della radio nella speranza di mettere a tacere i miei pensieri.
E, stranamente, per una volta, sembra funzionare.

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