Parte 1

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C'è un lasso di tempo che per noi sarebbe durato millenni, ma per quelle molecole d'acqua che risalirono dagli abissi corrispondeva soltanto a un attimo. O forse ancor meno. Fu nel 1974 che abbandonarono l'oceano Atlantico, presero il vento per mano e sorvolarono decine e decine di montagne.

Una volta rotolarono sulle penne di un cigno, altre ancora si immersero in quello o in quell'altro lago per poi risalire e annebbiarsi tra le frasche di fitte foreste. Non si fermarono mai e nel 1979 unite in un fiocco di neve si posarono dapprima sulla fronda di un abete e subito dopo, soffiate via dalla brezza come semi di tarassaco, volteggiarono più in alto e di nuovo in basso fino ad adagiarsi su di un soffice e fresco petalo di rosa ai piedi di Daphne Lessard.

La ragazza si stava giustappunto chiedendo da dove arrivasse quel frammento di fiore; si stava anche domandando che suono avrebbe potuto avere il luccichio della neve. Tentò di immaginarne la melodia, fin quando qualcuno non accese della musica alle sue spalle. Era attutita dal motore di alcune auto, dal vociare e dal via via della gente e dalle mura del Grand Hotel La Paix, ma le note jazz erano ben distinguibili.

Daphne raccolse il petalo e lo inserì tra le pagine dell'agenda che ripose poi in borsa.

Si voltò, salì dei gradini sbattendo a terra gli stivali per staccare la neve, sorrise all'usciere che aprì la porta a vetri con un leggero inchino e si lasciò inebriare dal tepore.

Il lampadario aveva un'aria solenne, un po' austera, e la fierezza di chi era consapevole che nessuno, vivo o morto e nella maniera più assoluta, avrebbe potuto fare a meno di notarlo e di rimanerne meravigliato. Centinaia e centinaia di gocce di cristallo scintillavano disposte in cerchi di ottone anni '30, di grandezza crescente partendo dal soffitto. Tutti i giorni, la sua luce e i suoi riflessi impreziosivano la hall, e salutavano cordialmente signore e signori eleganti e ben pettinati. Ma quel pomeriggio adocchiarono Daphne con una certa perplessità.

La ragazza si tolse la cuffia e l'appallottolò nella tasca del cappotto bordeaux un poco infeltrito.

Tastò i capelli, erano umidi dal mento fino alle spalle. Avrebbe dovuto nasconderli sotto la sciarpa, ma se ne dimenticava tutte le volte.

Arrotolò con l'indice le ciocche che contornavano il volto per ravvivarne il boccolo.

Il colore ricordava quello di un ramo d'edera d'autunno attorcigliato al tronco pallido di una betulla. E invece di animo primaverile erano le rose che un inserviente stava sistemando con cura maniacale su dei vasi imperiali. Il maître lo teneva d'occhio e di tanto in tanto scomodava da dietro la schiena il braccio destro per indicare qualcosa a terra. Un altro giovane in divisa subito rispondeva all'ordine e con scopa e paletta ripuliva il pavimento.

Daphne notò proprio accanto a loro un cartello con una freccia e un volantino che diceva "Per la mostra 'Ricordi perduti della Foresta Amazzonica, di Victor Martin' recarsi nella sala conferenze".

A passo spedito sorpassò le rose, scese tre gradini e si ritrovò in un'ampia sala ricolma di divani nello stesso stile classico ma in diversi colori. Parevano formare tanti piccoli salotti in un unico ambiente. A sinistra il ristorante, e molto più avanti la sala conferenze.

Victor Martin era già in piedi di fronte a un leggio e a un discreto pubblico. Era raffinato come Daphne se lo ricordava, distinto nella giacca nera a doppiopetto con i bottoni dorati.

Daphne si sedette in un posto libero nell'ultima fila e l'uomo, riconoscendola, le sorrise e le indirizzò un cenno cordiale. Quindi picchiettò sul microfono per assicurarsi che funzionasse a dovere, oltre che per attirare l'attenzione dei presenti.

Dov'è andata a finire la piramide?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora