Capitolo 3

434 14 5
                                    


Faticai a mantenere l'attenzione durante la lezione di Miss Rovigi, la professoressa di scienze. Non che quella anziana donna dai capelli argentati e dalla voce mielosa fosse noiosa, tutt'altro.

Nella mia mente aleggiava il ricordo degli 'scimmioni' ad un passo da Michael.

Erano così vicini da poterne udire i respiri. Ed erano in superiorità numerica: ma lui non si era mosso di un millimetro, o così mi era sembrato.

Avevo tenuto gli occhi chiusi per la maggior parte del tempo. Se io non potevo vedere loro, loro non potevano vedere me, giusto?

Quando fu il momento di tornare in classe l'ansia mi cinse la gola impedendomi di rivolgere parola a quello scemo di Michael.

La campanella suonò e iniziai a sistemare le penne nell'astuccio e i quaderni nella cartella. I miei altri compagni di classe avevano cominciato a prepararsi con qualche minuto d'anticipo. Un gesto da maleducati, soprattutto con una professoressa che stava ancora spiegando. Ma lo spagnolo non era fra questi.

Mi alzai e lui fece lo stesso.

«Quattrocchi, devo dirti una cosa...» Il suo tono altezzoso mi fece venire voglia di tirargli un cazzotto su quel naso perfetto.

«Non chiamarmi quattrocchi» Risposi, puntandogli il dito contro

«Levati di mezzo, secchiona.» Delle ragazze alle mie spalle mi scostarono dalla mia posizione, posizionandosi fra me e Michael. Stupide arpie, pensai dentro di me. Cercai di salutare il mio nuovo compagno di banco ma questo sembrava ormai preso a discutere con quelle ragazze truccate come clown e vestite con abiti di marca dalla testa ai piedi.

Allora me ne andai, tenendo il mio zaino rosa sulle spalle e un groviglio di rabbia nello stomaco.

Arrivai all'uscita con un passo lento e calmo, in modo da non attirare l'attenzione di nessuno. Non avevo fretta, Leonardo, il mio migliore amico, si era offerto di riaccompagnarmi a casa.

Attraversato il portone del liceo capii che avrei dovuto aspettarlo qualche minuto. Ne approfittai per raccontare la mia giornata ad Emma con un audio tanto lungo da essere passibile di denuncia.

Camminai davanti al liceo mentre riversavo la mia disapprovazione all'interno del cellulare. E continuai a farlo per un bel po', fino a quando non mi trovai di fronte un ragazzo biondo dagli occhi dorati. Indossava una camicia blu cielo le cui maniche, arrotolate, mettevano in risalto gli avambracci muscolosi. Dei pantaloncini marrone sabbia contornavano gambe lunghe e statuarie come colonne greche. Era alto, proprio come doveva essere alto un capitano di una squadra di basket.

«Leo» Esultai, spalancando le braccia.

«Sissy» Il biondo mi si catapultò davanti stringendomi a sé. I suoi abiti profumavano di bucato «Scusami per il ritardo. Ho avuto un problema.»

«Un problema di nome Ginevra? O Arianna?» Domandai ironicamente, citando alcune delle tante ragazze con cui si era divertito, e da quanto avevo udito, fatto divertire, lo scorso anno.

«Credo si chiami Virginia» Il biondo si grattò la testa, pensieroso. Lo conoscevo da una vita e non avrebbe mai fatto del male ad una ragazza. E sempre per lo stesso principio non avrebbe mai detto di 'no' ad una di queste.

«Immaginavo» Faticai a trattenere una risata.

«Andiamo» Intervenne lui scortandomi verso una Porsche Carrera blu notte. Suo padre gliela aveva donata come regalo per il diciottesimo. E ogni volta che vedevo la carrozzeria di quella macchina cominciavo a domandarmi come mai Leo non avesse ancora mollato gli studi per vivere di rendita.

«Ti sei divertito in Florida?» Chiesi, immaginando già la risposta. Seriamente, un diciottenne riuscirebbe a non divertirsi in Florida?

«Non era male» Leo entrò in macchina, sedendosi dalla parte del conducente mentre io presi posto alla sua destra «Ma ho preferito la Romania.»

Delle volte quel biondo sapeva essere strano più di me. Forse era questo che mi piaceva di lui.

La mia casa non dista molto dal liceo ma il traffico di Roma, ancora una volta, sembrava infinito. Mentre alla mia sinistra apparvero i giardini di Villa Borghese, scambiai quattro chiacchiere sulla mia noiosa Estate passata a lavorare come baby sitter.

Al contrario, l'Estate di Leo era piena di dettagli interessanti. In meno di tre mesi aveva preso più di dieci aerei per andare da un paese all'altro. Eppure non si ricordava il nome di una singola discoteca in cui aveva passato la notte.

La macchina cominciò a rallentare risalendo una piccola collina per poi fermarsi completamente arrivata di fronte ad una casa a due piani proprio in cima al colle.

Una staccionata in legno di quercia, poco più alta di un metro, la circondava come un anello circonda un'anulare. Una cassetta rossa recava il nome 'Casadei'. Era vuota, notai.

«...E non ti ho parlato ancora del mio nuovo vicino di banco.» Dissi, quasi ridendo, prima di scendere dalla macchina.

«Attenzione, dopo quasi un decennio vorresti farmi credere di aver abbandonato Emma?» Sul suo volto comparve un sorriso da bambino, con tanto di graziose fossette.

«Sono stata costretta, ecco...Il professore di storia mi ha accollato un nuovo arrivato.» Risposi

«Nuovo... arrivato...» Il suo volto si chiuse in un velo di preoccupazione. Riuscii a capirlo da come aveva inclinato le sopracciglia.

«Si... un certo Michael Montoya» Concludo.

«Serena» Leo mi strinse il braccio così forte da farmi male. Non mi chiamava mai con il mio nome di battesimo «Cambia classe. Non è una persona con cui vuoi avere a che fare.»

«Leo... mi stai facendo male»

Il biondo chiuse gli occhi e abbandonò la presa «Scusami... Sissy... è meglio che vada.»

«Già...» Scesi dalla macchina toccandomi il braccio ancora dolorante. Non avevo mai visto Leo così preoccupato.

I miei occhi si posarono sulla sua macchina, il rumore del motore e dopo qualche secondo il mio migliore amico era scomparso dalla mia vista. Ma non dai miei pensieri. Cosa volevano dire quelle parole?

IL MIO FOTTUTO VICINO DI BANCO.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora