The birth of us

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La paura è stata solo una conseguenza, una reazione, un meccanismo di autodifesa. L'isolamento, a sua volta, è stato frutto di una concatenazione di paure, di timori.

La paura di perdere mi ha sempre ossessionato, come quando io ed Eren giocavamo a calcetto ed avevo paura di deludere la fiducia che riponeva in me, o quando gli davo ripetizioni e avevo paura che fallisse alle interrogazioni per una mia mancanza.

La paura di perdere qualcuno, invece, era sempre stata astratta, inconsistente come vapore. Si è solidificata all'improvviso, tutta insieme, schiacciandomi come un moscerino fra due dita.

La paura ha delineato un cerchio intorno al mio corpo, seppellendo delle micce invisibili agli occhi che sarebbero esplose se qualcuno avesse tentato di avvicinarsi imprudentemente a me.

Eren, con i suoi sorrisi, con le parole di chi promette e non è in grado di restare sulle sue posizioni, è l'unico realmente in grado di avvolgermi le spalle e superare quella cinta di fuoco, e lo fa cogliendomi impreparato, spezzandomi al ricordo di ogni singolo giorno vissuto con lui.

Io ho perso, ho sempre perso, con Eren.

Immerse il naso nel collo alto della giacca, tentando di riscaldarsi col fiato caldo intrappolato dalla stoffa, mentre guardava distrattamente la punta delle scarpe calpestare i sassolini del viale che conduceva al parco giochi.

Febbraio.

Con lo scorrere inesorabile del tempo il clima aveva iniziato a raffreddarsi, e Levi percepiva chiaramente il gelo che quella stagione portava con sé, così distintamente che più di una volta si era domandato se, forse, fosse proprio lui ad emanarlo da ogni cellula del corpo.

In quel caso, non se ne sarebbe meravigliato.

Erano trascorsi tre mesi, tre mesi di silenzio; non un messaggio, non una chiamata, non una parola.

Levi si era chiesto se, tra i due, fosse stato lui a essersi voluto riparare da quella burrasca che si era abbattuta su di loro, o se Eren l'avesse anticipato nei gesti, andandosene il più lontano possibile e lasciandolo lì, in balia delle intemperie, della pioggia, di quello stesso vento freddo che aveva preso a sferzargli dentro, nelle viscere.

E, quasi masochisticamente, da quando aveva razionalizzato che quella fosse la sua risposta senza possibilità di compromesso, Levi aveva iniziato inconsciamente a prestare maggiore attenzione a quel piccolo locale vicino la loro vecchia scuola dove lui ed Eren andavano sempre dopo le lezioni, come se attraverso la vetrata potesse scorgere le ombre del loro passato, sentire echeggiare in lontananza la sua risata cristallina.

Allo stesso modo anche quel parco giochi, che era costretto a percorrere ogni giorno, visto che si trovava lungo la strada del suo nuovo appartamento – quasi a volergli ironicamente ricordare che sì, alla fine era riuscito nel suo intento di diventare indipendente, ma che non c'era stato nessuno ad aprirgli la porta di casa per dirgli che ce l'avevano fatta insieme -, non era nient'altro che la proiezione incorporea di un ricordo inafferrabile, di una storia impossibile da rivivere.

Proprio in quel momento, si chiese se non si sarebbe tramutato anch'egli in nient'altro che nella reminiscenza di quello che era stato in passato, pur di non spezzare quel filo invisibile che lo legava a quella persona che aveva conosciuto durante l'infanzia.

Un giorno sarebbe riuscito a farla finita con quella stupida messinscena, ma ora aveva solo bisogno di dondolarsi ancora nell'essenza così viva dei giorni passati l'uno al fianco dell'altro, senza macchiarla con quella sostanza putrida e viscosa.

Prima di ogni cosa Where stories live. Discover now