Panta Rea

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Chiuse lo sportello del bagagliaio posteriore della macchina, vi aveva caricato su la sua personale valigia e si stava dirigendo verso Firenze.
In qualche modo questo momento equivaleva al ritornare a casa anche se poi casa, lui, forse l'aveva trovata altrove.
Aveva finito tutti gli impegni calcistici,sia con la squadra dove giocava per il campionato Italiano sia con la nazionale e a discapito di quanto aveva pensato agli inizii, quando da li se ne era andato quasi sentendosi soffocato da quella città che conosceva troppo bene da farlo sentire insicuro, adesso era quasi un sollievo potervi fare ritorno.
Controllò che tutto fosse chiuso a dovere; Wendy e Spike erano già bellamente seduti sui seduli posteriori e probabilmente se avesse aperlo la portiera, li avrebbe trovati a ronfare come loro solito.
Si infilò nell'abitacolo nel posto del guidatore e dopo aver messo la cintura di sicurezza fece retrofront uscendo dal cancello e imboccando la strada che lo avrebbe portato sullo svincolo per proseguire con l'autostrada in direzione Firenze.
Lo aspettavano quattro ore e mezza di macchina, un po di traffico che avrebbe reso il viaggio ancora più lungo e stenuante e quando sarebbe arrivato aveva una migliore amica da prelevare ma ancor prima sperava di avere il tempo per una doccia rigenerante e rinfrescante.
Quest'anno, a differenza degli altri anni precedenti, non aveva pensato a nessuna meta in particolare da raggiungere e si era un po' preso la briga di fregarsene e di godersi il momento semmai questo fosse arrivato.
Prenotare un viaggio, organizzarlo e tutte le altre cose lo stressavano e finiva sempre per non godersi tutto quello che invece si prefissava di fare quindi, quest'anno aveva deliberatamente scelto di far scegliere al caso.
Sarebbero arrivati all'aeroporto con una valigia in mano, vestiti ne troppo estivi ne troppo invernali e guardando il tabellone delle partenze avrebbero scelto sul momento proprio come fosse un'avventura e a lui le avventure erano da sempre piaciute.
Aveva impiegato circa due settimane a convincere Rea per fare una follia del genere, era difficile che lei partisse senza nemmeno avere un posto in cui poter passare la prima notte ma dopo un po', quando le aveva posto la cosa nella giusta prospettiva, la ragazza non aveva potuto far altro che accettare e adesso era a quanto pare arrivato il momento.
Avrebbe mentito se dicesse di non averci pensato, si era chiesto cosa esattamente un viaggio senza programmi potesse regalargli, se la pazzia di un'avventura improvvisata e mai fatta prima fosse alla loro portata e quando aveva capito che era impossibile da prevedere e che stando a come erano sempre stati abituati, un roba simile li avrebbe fatti andar fuori di testa, beh a quel punto aveva capito che era la cosa giusta che ci voleva per loro.
Non aveva idea se domani si fosse svegliato al confine più a nord dell'Europa o se invece avrebbe raggiunto un nuovo continente, magari pure dall'altro lato della terra...non lo sapeva e questo non saperlo lo faceva sentire libero.
Libero come si era sempre considerato dal primo istante che il suo cuore aveva iniziato a battere.
Fece la prima sosta in autogrill per prendere un caffè amaro e ristretto ed assicurarsi che Wendy e Spike non combinassero danni per incontinenza, stette li un paio di minuti in più per far sgranchire loro le gambe e poi ritornati in auto ripresero a guidare per Firenze.
Lungo l'autostrada beccò la prima lunga coda di macchine, sullo svincolo per Genova e passò quasi venti minuti fermo sullo stesso tratto di strada mentre ascoltava la solita musica country rock che gli era sempre piaciuta.
Mancava ancora un bel po' di strada da percorrere e quasi rimpianse il giorno in cui decise di non acquistare un biglietto aereo, a quest'ora sarebbe stato bellamente a casa sua e avrebbe potuto fare tutto con più calma.
Fortuna che gli era da sempre piaciuto viaggiare in auto e questo per lo meno attenuava se non la stanchezza almeno la noia delle ore di viaggio.
Quando iniziò a riconoscere alcuni tratti dei paesaggi tipici toscani, lunghe distese di terra coltivati a vigneti intervallati da altri campi pieni di girasoli fioriti e rigogliosi che si reggevano in piedi macchiando di giallo il paesaggio, sospirò di contentezza; l'estate era arrivata da quasi due giorni e in qualche modo quel fiore gliela fece ricordare ancora di più.
Gli era sempre piaciuto viaggiare e nella categoria dei viaggiatori lui sapeva di appartenere a quel genere di viaggiatore che metaforicamente parte da casa con una valigia vuota e ritorna a casa con tante cose, tutte tipiche del posto.
Federico non era mai stato un ragazzo intimorito dal mondo e dalla gente, era il primo a sfidarsi e a mettersi alla prova, gli piaceva sperimentare di tutto e la qualità migliore che potesse appartenergli era proprio quella di non fermarsi alle apparenze e di vivere senza pregiudizi.
Questo, nel tempo, lo aveva ripagato moltissimo e soprattutto gli aveva impartito un sacco di lezioni di vita.
Quando notò dal gps, della propria macchina, che il percorso che lo allontava dalla tipica bandierina d'arrivo si era accorciato quasi a ridursi ad una ventina di minuti, sorrise e spense tutto, da li in poi la strada l'avrebbe saputa percorrere persino ad occhi chiusi.
Sentiva quasi il profumo della sua adolescenza, delle sue paure, dei timori, delle gioie e delle prime volte...tutto quello che oggi lo aveva reso ciò che era.
Chiamò Rea senza perdere altro tempo, infranse la regola del chiamare anche mentre stava alla guida ma tanta era la felicità che stava provando che non gli importó poi molto.
«sei sotto casa?» l'entusiasmo della sua giovane amica lo fece ridere.
«quasi, manca ancora qualche minuto» la sentì sbuffare dall'altro lato del telefono.
A Rea non era mai piaciuto aspettare perché le attese le mettevano ansia e lei detestava l'ansia quasi fosse una condizione irreversibile nella sua vita.
«d'accordo, quando stai arrivando mandami un messaggio che preparo il pranzo» fortuna che i due si intendessero piuttosto bene in questioni di cibo.
A pensarci bene, ricordava quante volte le aveva detto che la sua cultura vegana a lungo andare l'avrebbe fatta stare male e adesso che persino lui ne era diventato quasi un adepto, doveva ricredersi da quello che aveva da sempre pensato.
Lui però, a differenza dell'altra, integrava qualche proteina animale in particolari periodi dell'anno, primo perché era uomo e secondo perché era un uomo sportivo e certe cose gli servivano per forza.
Agli inizi gli era venuto un po' difficile, abbandonare le abitudini alimentari per buttarsi a capofitto in un nuovo modo di intendere la cucina poi però con il tempo era quasi diventato automatico preferire certi alimenti vegani da quelli animali; lui si riteneva animalista e lo era sempre stato fin da quando ne aveva memoria, sua madre  Paola non faceva altro che acquistare in edicola le riviste focus sulla natura e per  non parlare poi di quell'acquario enorme che si era fatto comprare per regalo della prima comunione e che ancora oggi sostava in soggiorno, sempre pieno di pesci.
La collezione infinita di dinosauri, i weekend primaverili passati in campagna e i pianti assurdi che Federico da bambino faceva quando sua madre provava a portarlo al circo,ignara che il figlio detestasse andarci.
Insomma, in soldoni, Federico era sempre stato un  estremo amante degli animali, di qualsiasi specie e razza e la sola idea che in piccola parte lui in questo modo si ribellasse alla macellazione bruta delle mucche, dei polli e di quanti altri animali ancora, lo faceva sentire meglio.
Inviò un veloce messaggio volace a Rea quando era a circa due strade di distanza dal palazzo in cui abitava e poi guidò dritto verso di esso per raggiungerlo quanto prima.
Scese dalla macchina, avvertendo uno sbalzo termico di almeno sette gradi tra fuori e dentro e quando Wendy e Spike furono scesi a terra, iniziarono a mordicchiarsi senza nessun reale ed apparente motivo.
Federico dovette dividerli come spesso gli capitava in casa, dedusse che dato l'orario poteva trattarsi di un modo alternativo per dirgli che avevano fame e si augurò che Rea si fosse ricordata di comprare i croccantini perché erano le quattordici e trenta del pomeriggio e a Firenze non c'era nessun negozio aperto.
«bernardello sei tu?» la voce pimpante di Rea fuoriuscì dal citofono non appena lui ebbe terminato di suonare.
«chi altro aspetti?» le rispose mentre il portone del palazzo venne aperto accompagnato dal rumore della serratura che scattò.
Nell'antro del palazzo settecentesco di Firenze, la frescura era cosi tanta che Federico si sarebbe volentieri rimasto li ma Wendy iniziò ad abbaiare e conoscendo le regole condominiali non volle far arrivare a Rea nessun avviso o peggio ancora una multa per disturbo della quiete pubblica.
Si inserirono nell'ascensore di vetro e pigiò sul quinto ed ultimo piano, quando arrivò su la porta di casa era già aperta proprio come era solito di Rea e Federico detestava che avesse questa brutta abitudine perché glielo diceva sempre che prima o poi si sarebbe ritrovata un estraneo a casa.
«sei tu?» Spike abbaiò non appena gli tolse il guinzaglio e corse, malamente, sul parquet.
«Spike!» lo rimproverò per paura che potesse farsi male ma tirò un sospiro di sollievo quando lo vide tra le braccia della sua migliore amica.
«eccovi qui patatoni» si fece leccare un po' ovunque tra braccia e faccia.
«sembra voi non vi vediate da secoli» quando invece non si vedevano dalla partita di qualifica agli europei tra Italia e Bosnia che si era giocata proprio a Torino all'Allianz Stadium e che praticamente erano passati da allora non più di dieci giorni.
«come è andato il viaggio? Per un attimo ho creduto che ti fossi addormentato» lo prese un po' in giro mentre gli offriva un bicchiere di acqua fresca e poi riempiva le ciotole dell'acqua e dei croccantini ai due bulldog.
«abbiamo incontrato traffico fuori Torino ma soprattutto sullo svincolo per Genova, sembra che mezzo Piemonte abbia deciso di andare in Liguria in vacanza» si accomodò sulla sedia della cucina e come era solito tra di loro si privó dei calzini per camminare a piedi nudi.
«Francesca doveva venire per pranzo ma dice che non ce la fa perche Elisa ha avuto un contrattempo a lavoro e deve ancora finire le sue valigie per cui va Francesca a completargliele e Matteo e Fabio dovrebbero arrivare a momenti, sono passati alla rosticceria da Fonzino a prendere il pollo con le patate al forno» sembrava quasi uno di quei tipici pranzi tra di loro, come quello che facevano prima di partite per Lacona.
«che ti sei portato dietro?» a dire la verità non è che se lo ricordasse proprio con precisione, sapeva di aver messo pantaloni sia lunghi che corti e poi aveva optato per maglie a maniche corte e una serie di felpe con e senza cerniera.
«un po' di tutto, tranne i maglioni» certo, se fossero finiti in in Finlandia sperava almeno che all'aeroporto ci fosse un negozio di vestiti almeno per acquistare qualcosa di più caldo altrimenti si sarebbe congelato per bene.
«io uno l'ho messo, lo sai bene che Fabio poi sceglie sempre di andare in posti dimenticati da Dio e ci ritroviamo a sopravvivere» era vero, lui del gruppo era quello senza mezze misure.
Federico pescò ,dal cestino del pane sul tavolo, un grissino e lo addentò in quanto iniziava ad avvertire la fame e per di più vedeva già il couscous freddo di verdure pronto e a lui quel piatto piaceva da morire.
«ci mettono molto quei due? Io ho una fame da lupi» per quanta fame avvertiva avrebbe detto di avere un buco nero piuttosto che lo stomaco.
Rea si era sempre chiesta dove diamine lo mettesse; quando erano bimbini tutti e due e Federico passava i pranzi estivi a casa dell'amica a Marina di Carrara, sua madre cucinava a Federico dei piatti enormi di pasta grandi quanto la sua faccia e lui lo mangiava tutto senza lasciare una penna nel piatto.
Questo non era mai cambiato, come non era mai cambiata l'abitudine di passare alcuni giorni a Marina di Carrara e a passare la notte di San Lorenzo, stradiati sui materassini da campeggio nella veranda della casa di Matteo, con la nonna che ahimè era volata in cielo da qualche anno ma che allora non faceva altro che urlargli ,dalla camera da letto,di fare meno baccano perche lei sorda com'era non riusciva a dormire .
Una vera e propria assurdità.
«che ti ridi?» le chiese curioso
«pensavo ad Ingreed e a mia madre che ti cucinava tutta quella pasta» Federico rise da morire.
Questo, portò a galla un altro ricordo che gli riscaldò il cuore, alla fine bambino ci sarebbe voluto ritornare.
«ti ricordi quando tua mamma ci ha lasciati dalla zia Mena?» le chiese e lei subito scoppiò a ridere.
La zia Mena era un'anziana,ma non troppo, signora che era da sempre stata la proprietaria del villino adiacente a quello della famiglia di Rea.
Conosceva Federico e Rea da quando erano in fasce e d'estate teneva sempre nel congelatore dei gelati che dava loro ogni qualvolta facevano rientro dalle commissioni che gli dava; andare a comprare la verdura dal fruttivendolo lontano tre strade o ancora andare a prendere il pane.
Facevano avanti e indietro con le loro bici, quante ginocchia sbucciate si erano procurati.
Una volta Cibele, la madre di Rea, era dovuta partire per un paio di giorni a causa del suo lavoro e li aveva dovuti lasciare alla fidata vicina di casa; non era raro che Rea finisse per andare dalla zia Mena perché la madre era un'archeologa e il padre professore universitario di lettere classiche alla Normale di Pisa, erano quasi sempre fuori casa.
Comunque il succo del discorso fu proprio che la zia Mena,non sapendo quanto spazio ci fosse nello stomaco di Federico, gli cucinó un normale piatto di pasta per bambini e Federico giunte le quattordici del pomeriggio avvertiva così tanta fame che non ci pensò due volte ad aprire il secchio della pasta per i cani e a mani nude si portò un pugno di questa in bocca.
Questa storia era rimasta negli anni e Federico non era più riuscito a togliersela di dosso e gli piaceva così, alla fine lo faceva ritornare bambino.
Mezz'ora più tardi Fabio e Matteo arrivarono in tavola e poterono tutti accomodarsi per pranzare, fu bandido ogni discorso inerente al calcio come era da contratto tra loro.
Si parlò per lo più dell'imminente viaggio che avrebbero dovuto fare e del fatto che Fabio e Matteo avevano incontrato alla rosticceria la loro vecchia professoressa di matematica che Federico, senza alcun motivo, aveva creduta morta da un paio di anni.
Forse perché a lui la matematica non gli era mai piaciuta, la professoressa anche meno.
«me lo aveva detto tuo padre che era morta» si giustificò.
«ma lo sai che mio padre detesta i matematici» e come non saperlo.
Moros, suo padre, greco di origine e italiano di adozione aveva una certa avversità contro la matematica ed i matematici in generale e questo di certo era stato uno dei principali motivi del perché sua figlia Rea aveva frequentato prima il liceo classico e poi come lui si era laureata in lettere classiche.
La loro era una famiglia particolare, lui Moros dalla nascita aveva sposato la moglie Annalisa dopo averla conosciuta ad Atene durante un master a cui la toscana aveva preso parte, il loro era stato amore a prima vista ed il padre aveva scelto di andare insieme a lei in Italia, non si erano mai sposati e mai lo avrebbero fatto.
Annalisa era divenuta Cibele dopo qualche anno, era stato il marito ad averle scelto il nuovo nome e da li era nata fuori la loro tradizione di famiglia e avevano dato alla luce una figlia, Rea che aveva suggellato il loro amore più di quanto da solo non avesse fatto.
Era nata il quindici di Febbraio nella stanza trentatré dell'ospedale San Giovanni di Dio di Firenze, accanto al letto di sua madre vi stava Paola alla sua seconda gravidanza, già con una bambina di otto anni e un neonato in arrivò che venne alla luce un giorno dopo,esattamente il sedici febbraio dello stesso anno.
Da allora Rea e Federico erano stati migliori amici, quasi fosse stato il destino a volerlo.
«io opto per il mare, non fatemi andare in qualche posto piovoso d'Europa» a lei il freddo e l'inverno non erano mai piaciuti.
«sceglierà il destino» Matteo la stuzzicò sapendo bene quanto detestasse i climi freddi e quanto invece preferisse il caldo e l'estate.
Più tardi arrivò Alberto con la moglie per recuperare i due bulldog di cui si sarebbero presi cura nel tempo che il figlio sarebbe stato in vacanza e poi per le diciotto del pomeriggio arrivarono a casa sua, munite dei valigie, anche Francesca a la sua compagna e dopodiché chiusero tutto e sì diressero all'aeroporto.
Il tabellone delle partenze recitava: Napoli, Venezia, Berlino, Vienna, Manchester, Sainte-Máximums ,Lisbona e Bergen.
Le prime cinque le conoscevano, le altre tre sarebbero state delle novità.
Fabio come suo solito propose Bergen, lui era dannatamente ossessionato dai paesi del nord Europa e se li era già trascinati li più di una volta, Matteo era stato a Lisbona in gita di quinto anno per cui propose Sainte-Maximus, alla fine fu un sorteggio a deciderlo e si ritrovarono in vacanza sulla costa Azzura della Francia.
Rea era felice, si aspettava già le nuotate che si sarebbe fatta e la pelle dorata che avrebbe avuto al rientro della loro vacanza.
«io non ho nessun costume» si lamentò Francesca e insieme a lei anche Fabio.
«te ne presto uno io» Federico si propose e lei lo abbracciò ringraziandolo.
Fortuna che arrivati lì, prima di noleggiare lo yacht, avrebbero fatto acquisti.
Arrivarono all'aeroporto, con dieci minuti di ritardo, era sera ma il sole stava per tramontare e quindi c'era un cielo dai colori arancioni.
Faceva un caldo pazzesco, c'era chiasso e i taxy all'uscita delle porte automatiche erano in subbuglio; Federico sapeva che fosse una meta turistica balneare parecchio gettonata ed anche parecchio costosa ma a quanto pare non doveva essere un problema per nessuno.
Recuperarono i loro bagagli; Fabio si fiondò drittissimo nel primo negozio di cianfrusaglie é recuperó un costume di dubbio gusto ed un paio di infradito di gomma osceni.
«ti vedo bene sulla tiburtina dalle diciotto alle sei del mattino» Matteo espresse il suo commento colorito e tutti risero in accordo con lui.
Un taxy li accompagnò in un hotel sulla costa, presero due camere triple dividendosi equamente e prima di cena, Federico e Rea scesero al noleggio barche per affittare qualcosa che facesse al caso loro.
Quando ritornarono in hotel, con buone notizie ed uno yacht affittato per dieci giorni, Francesca era ancora in doccia, la compagna Elisa parlava al telefono con i genitori di Francesca mentre Matteo e Fabio dormivano a pancia in giù sul letto.
Cenarono in un ristorante locale, sulla costa vicino al porto e andarono a letto presto con l'obiettivo di svegliarsi presto per recuperare la barca che avevano noleggiato.
Il giorno dopo, Rea si svegliò con due occhiaie madornali che coprì con un paio di occhiali da sole,dormire in un letto non suo non era mai stato facile per lei.
Al porto c'era già parecchia gente ma si riusciva a camminare bene senza inciampare nei piedi di qualcun altro; quando salirono a bordo l'entusiamo giovanile era talmente tanto che si tuffarono in piscina mentre la barca si allontavana dal porto senza che loro se ne rendessero effettivamente conto.
Nel tardo pomeriggio, dopo pranzo Federico volle farsi un giro con la moto d'acqua e si portò dietro la sua migliore amica con al collo una macchina fotografica, non proprio la più brillante delle idee.
Se fossero finiti in acqua, addio macchina fotografica e addio foto.
Fortunatamente Federico era sempre stato bravo in queste cose, per cui raggiunsero l'isola adiacente con totale tranquillità, quando scesero entrambi rimasero colpiti dalla vegetazione e dal paesaggio che si intravedeva, in lontananza si vedeva persino il loro yacht fermo sull'acqua.
«Fe, mettiti seduto li» Federico guardò il punto che la sua amica gli indicò e vi si sedette sopra, era un tronco d'albero sulla sabbia.
«Fede» lo richiamò mentre lo vide perso nei suoi pensieri e non appena ne vide il profilo dall'obiettivo, si sbrigò a premere il pulsante ed ad immortalare il momento.
Ma lei, aveva sempre creduto che a Federico non servisse nient'altro che se stesso, se stesso che lei credeva immortale.

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