Capitolo 6. "Lacrime e una tonnellata di gelato"

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Eleonora's POV

15.47

Le lacrime mi stavano scendendo silenziosamente.
Nessun singhiozzo, nessun respiro spezzato, nessuna fronte contratta o espressione  sofferente.
Erano quel tipo di lacrime che sai di non poter trattenere e che lasci scendere sul viso consapevole di quanto siano amare nonostante tu ci abbia ormai fatto l'abitudine.

L'avevo salutata con uno dei miei migliori
finti sorrisi.
Ero bravissima in quello.
Avevo finto che quel tempo passato insieme fosse stato realmente un fantastico e normale pomeriggio tra mamma e figlia in cui
ci si ascolta, ci si confida, ci si diverte insieme.

Niente di tutto ciò.
Ogni cosa era rimasta perfettamente e tristemente identica alla volta precedente.
E a quella prima.
E prima ancora.

Io sempre con la mia stupida e incosciente speranza di poter avere mia madre per qualche ora solo per me e lei che, dopo avermi sorriso distrattamente una volta, probabilmente non aveva ascoltato neanche una delle mie parole.

Avevo imparato benissimo a fingere di stare bene difronte alle persone.
Semplicemente tenevo tutto dentro, accumulando come una bomba pronta ad esplodere fino ad arrivare al punto di esasperarmi automaticamente.
Poi rigettavo tutto una volta rimasta sola,
in quei momenti in cui mi sentivo protetta dal fatto che nessuno potesse vedermi
o giudicarmi.
E finivo ogni santa volta a sentirmi letteralmente uno schifo.

Odiavo a quella parte di me.
La odiavo.

In quel momento stavo osservando senza interesse le immagini che scorrevano difronte ai miei occhi attraverso il finestrino sporco dell'autobus con i segni del pianto sulle guance e nel mentre pensavo alle parole che Filo mi aveva sempre detto.
Per tutta la mia vita avevo pensato che non sarei stata mai in grado di accettarle
ma in quel momento non ne ero più
così convinta.
Forse mio fratello aveva davvero ragione.
Forse era realmente inutile continuare a sperare in qualcosa di più.
Forse era giusto che io accettassi la cosa una volta per tutte.

Decisi di chiamarlo.

"Ohi ragno, dimmi?"

"Ehi, dove sei?"

"Sono all'università
Perché tu dove sei?"

"Sono sul bus
Sto tornando a casa"

Dopo quelle parole ci furono alcuni istanti
di silenzio.
Io non volevo dire niente ma dentro di me sapevo che non sarebbe servito comunque perché Filo aveva già capito.

"Sempre il solito vero?"
Le sue parole traboccavano di rassegnazione e di una sorta di compassione nei miei confronti.

"Si"
Solo una volta che ebbi risposto con quel monosillabo, mi resi conto che la mia voce era schifosamente spezzata e che le lacrime stavano minacciando di nuovo di uscire.

"Faccio il prima possibile per arrivare a casa.
Stai tranquilla ragno, ti prego.
Ti voglio bene.
Ci vediamo dopo"

"Anch'io
Ti aspetto a casa"
Chiusi la chiamata e cercai con tutta la mia forza di volontà di non crollare una seconda volta.

Poggiai la testa sul finestrino dell'autobus e cercai il più possibile di liberare la mente.
Ero stanca e volevo provare a non pensare a niente almeno per un po'.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 26, 2019 ⏰

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