41. (A) Continua a sognare

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La borsa che mi trascino dietro sulle scale di casa sembra più pesante di quello che è: due bottiglie d'acqua, una di succo, insalata, un pomodoro che mi è costato un occhio della testa – ma mi hanno assicurato che è siciliano, Italia. Ti penso, sì, Luciano, te e la tua moka – un po' di formaggi freschi a caso.

Questo caldo torrido da fine luglio è strano e innaturale per Berlino, mi dicono. Lo è anche per me, dopo l'inverno gelido che abbiamo affrontato qui. Lo è anche per me, che in questi mesi a Istanbul andavo in vacanza, o stavo sulle rive del Bosforo a cercare almeno un po' di vento. Qui in città invece si soffoca, e per non morire bisogna uscire di mattina presto o dopo le sei di sera.

Così mi sono organizzata per fare la spesa sempre prima di colazione, e per ora ancora sopravvivo. Anche da sola, in una casa che mi rimanda di continuo le mie risate solitarie o i respiri infiniti che mi sgonfiano i polmoni. Anche da sola, collaborando coi miei pensieri e le mie paure. Anche da sola, accendendo la radio per sentire almeno qualche voce.

Ma ce la faccio: mancano solo due settimane al ritorno di Becky, che rimarrà per i due giorni dei miei test e poi se ne andrà in vacanza con i suoi in Norvegia. Ma almeno tra due settimane la vedo, e la posso abbracciare, e baciare, e tenere stretta. Come mi manca.

Alla terza rampa di scale suono alla dirimpettaia, le allungo il litro di latte in polvere per il suo bimbo – ha partorito Andrew solo dieci giorni fa e lui è così piccino e rosa e tenero che mi si stringe il cuore ogni volta che varco la soglia – saluto entrambi ed entro a casa.

Al di là della porta mi coglie un senso improvviso di smarrimento. Sento un profumo che mi è familiare, qui dentro. Ma non riesco a capire cosa mi ricordi. Mi guardo attorno, cercando di capirne la fonte, ma non c'è niente di strano. Eppure...

Lo sguardo mi cade ai miei piedi e con un moto di stupore osservo la busta marrone che qualcuno deve aver infilato sotto l'uscio. Sembra una di quelle dei pacchetti di Amazon, solo che sopra non c'è scritto niente.

Che sarà mai?

Mi chino, la prendo tra le mani, l'odore conosciuto si fa più forte. Di chi sei?

Non mi passa per la testa il dubbio che sia pericolosa: afferro il risvolto con la mano e lo strappo, aprendo il pacchetto. Ne esce un piccolo iPod verde acido, di quelli shuffle che andavano di moda tanti anni fa, ormai.

Lo giro da sopra a sotto, e dietro ci trovo attaccato un piccolo post-it giallo.

Ti prego, premi play

Con le dita che tremano mi alzo in piedi, lasciando la busta dietro di me, e percorro le stanze senza sentirmi nemmeno i pensieri. Ho mille e mille idee in testa, mille e mille paure, mille e mille certezze. Se qui dentro c'è musica, ormai credo di sapere chi sia il mittente. E questo mi dilania e mi accende e mi fa sorridere. E tremare.

In cucina trovo le mie cuffiette. Le infilo. Inspiro.

Premo play.

«Ciao, Alyna.»

Mi cedono di botto le gambe, e mi ritrovo accasciata a terra, con le lacrime che già iniziano a risalirmi la gola. Non può essere. Non è vero.

Perché questa voce è la voce di Matt. È la calma voce di Matt, che mi riempie i timpani e mi avvolge e mi fa tremare e piangere e sussultare.

Che hai fatto, Matthew? Che hai fatto? Perché non sei venuto tu? Perché hai mandato solo questo iPod? Ma che ci hai registrato dentro? Cosa mi devo aspettare?

Una breve pausa, poi Matthew parla ancora. «Come ti senti, oggi?»

Vorrei dirgli "male, male senza di te, cazzone, che mi hai lasciata qui e non mi sei venuto a cercare", ma la verità è che sono bastate due sillabe, il mio nome, un ciao sussurrato dalla sua voce, e sto incredibilmente meglio di ieri e di sempre.

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