15. (M) Lezioni di vita tra piante e WhatsApp

1K 84 87
                                    

Il fattorino della pizza, quando apro la porta, sembra più preoccupato per la pila di cartoni che porta in mano – sia mai che gli cada proprio ora che è arrivato – che non di ricevere i soldi che gli spettano: quasi se li dimentica, e non fosse che io sono una persona per bene sono certo che se ne sarebbe andato senza batter cassa.

Mi ringrazia con una dose di sollievo negli occhi che mi fa sentire buono, almeno una volta nella vita, e poi se ne corre via in fretta e furia, probabilmente già in pensiero per la prossima consegna.

Con un obelisco di dieci pizze piazzato tra le braccia e la pancia, mi faccio strada verso il tavolo, cercando anche di chiudere la porta con il piede senza precipitare a terra: a differenza dei cari amici liquidi, non ho alcun tipo di problema coi solidi, e quindi la cena arriva dritta al suo posto senza danni.

«E datti una mossa, Matt! Quanto ti ci vuole a distribuire 'ste pizze? C'abbiamo fame!» sbotta Luciano dal suo posto d'onore a capotavola, disteso su una poltrona come fosse un capo mafioso – in realtà ci mancavano le sedie.

Yuriy gli passa accanto, sbatte la sua mano pesante sopra i capelli dell'italiano, strofinandoli come se stesse pulendo un vetro particolarmente sporco. «Festeggiato, silenzio! Che qua stiamo tutti a digiunare solo per te, che volevi le uniche pizza napoletane di Berlino!» esclama, scatenando la risata di tutti i presenti.

«Chi ha preso la marheritha?» chiedo, afferrando il primo scatolone.

«Margherita! Dannazione, inglese! Si dice margherita ti ho detto!» strepita Luciano, alzandosi in piedi come a minacciarmi.

Theo, al suo fianco, lo ricaccia subito a sedere, affondandolo a forza nella sua poltrona rossa.

Yuriy sorride. «Sei sempre il più debole, Lucs. Non c'è verso.»

Bella mi aiuta a distribuire le altre pizze tra gli amici di Luciano, poi si siede di fianco a me e mi stringe la mano. «Dai, siediti anche tu» mormora.

È tutta sorridente, stasera, e anche se è l'unica donna della casa non si fa alcun problema a sfiorarmi ogni due secondi: sembra rilassata, felice, ma la verità è che sta cercando in ogni modo di starmi vicina, quasi avesse capito che la mia fuga dell'altro giorno è qualcosa di più di una semplice corsa al lavoro. Dentro di sé lo ha capito, che siamo al dead end, al break point, a quello che volete ma in sunto alla fine di un percorso, e lo ha capito che non ne possiamo prenderne un'altra di strada, che la nostra finisce qui e basta possiamo solo tornare indietro e ripartire da posti diversi.

«Matt, siediti, dai» ribadisce ancora una volta, strattonandomi verso di lei.

Prendo posto davanti alla mia pizza col bacon, la taglio a spicchi grandi come la mia mano e me la ingurgito in due bocconi, mentre attorno a me fioccano risate, ricordi di vecchie esperienze vissute assieme, consigli su nuovi album usciti – ti pare che gli amici di Luciano, che vengono dal conservatorio, non parlino di musica? – e su quel «brano che fa così» che nessuno in questo momento ricorda.

Bella sorride, annuisce, fa qualche battuta come ci si aspetta dalla ragazza di uno dei presenti. E io però la sento così distante, così scollata da me e da quello che siamo, che potrei trovarmi a pensare per un attimo che il suo ragazzo non sono io. Perché con tutto questo parlare di musica e accennare a spezzoni di note io continuo a sentire soltanto il bisogno di alzarmi, rovesciare la sedia – che mi sentano, che capiscano, che si faccia silenzio e sia percepibile solo il mio malessere – e andare via, andare fuori da qui. E lo so che non è colpa loro, che gli amici di Lucs non lo sanno e i miei cercano di non farmelo pesare, ma io sto male, sto male davvero e quando la gente parla di queste cose mi sento pesante e mando giù nodi di nervosismo come fossero saliva.

Se solo ti potessi amareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora