Prologo

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Apatica, ecco come mi sentivo. 

Passeggiavo per le vie di Londra senza una meta ben precisa, osservavo la gente che in fretta e furia camminava e nel frattempo nelle mie AirPods i The 1975 cantavano Somebody Else.    Erano appena le 15:00 e grazie al cielo quel venerdì il mio turno al ristorante era già finito.      Quel pomeriggio i caldi raggi del sole facevano da cornice al venticello fresco che mi accarezzava la pelle, si stava davvero bene per essere un pomeriggio di fine settembre; ecco perché mi ritrovai a passeggiare per Hyde Park. Camminai a lungo, fino ad una piccola cavernetta che avevo scovato tra i vari cespugli. Sistemai a terra l'asciugamano, mi tolsi le scarpe e mi stesi mentre nelle mie orecchie le note di Naked di James Arthur iniziavano a suonare. Socchiusi gli occhi, sentendo la stanchezza di quella lunga settimana sulle spalle e mi lasciai andare tra le braccia di Morfeo, non prima di aver impostato la sveglia.

Mi svegliai qualche ora dopo, intorpidita ma abbastanza soddisfatta. Uscii dalla piccola caverna che avevo deciso sarebbe stato il mio rifugio, e una volta sistemato l'asciugamano nello zainetto mi incamminai verso una delle tante uscite. Storsi il naso quando la trovai chiusa e tornai indietro, probabilmente stavano chiudendo.
Anche la seconda uscita era chiusa. Costatato ciò, abbassai lo sguardo verso la tasca anteriore dei jeans dove avevo il cellulare e lo tirai fuori.

"Oh cazzo!" Mi lasciai andare ad un'imprecazione. 

Era spento, scarico sicuro. Presi un bel respiro mentre il presentimento di essere rimasta dentro si faceva largo nei miei pensieri e, nel fare ciò, ripresi a camminare in direzione di un'altra uscita, anch'essa chiusa. Mi guardai intorno, non c'era praticamente nessuno e il sole era molto più fiacco. Non mi arresi, continuai a proseguire, ma nulla da fare. Tutte le uscite erano serrate. A quel punto iniziai a realizzare la cruda realtà: avrei passato l'intera nottata in un parco con il cellulare scarico e lo stomaco brontolante.
Scossi la testa esausta dal mio essere così sfigata e mi lasciai cadere per terra. Alle mie orecchie un'altra imprecazione giunse chiara, ma ciò che mi fece saltare fu il fatto di non essere partita dalla sottoscritta.
Mi alzai di slancio e mi voltai incontrando due occhi strabuzzati più dei miei, forse. Un momento, io lo conoscevo, ma la domanda era: cosa diavolo ci faceva in quel parco?

"Hanno chiuso, vero?" Mi domandò, evidenziando il suo accento monegasco.

Mossi il capo in segno affermativo ancora visibilmente sconvolta da tutta la situazione assurda in cui mi trovavo. Io, Alice Bianchi, chiusa ad Hyde Park, con il pilota della Ferrari e della Formula 1, Charles Leclerc.

"Dannazione!" Imprecò aggiungendo qualche altra cosa in francese che però non capii. "E ora come usciamo?" Si rivolse a me disperato.

"Non ne ho la minima idea," scrollai le spalle, guardandomi intorno alla ricerca di un qualcosa che potesse aiutarci ad uscire da lì.

"Io devo andare via per forza!" E via con un'altra imprecazione che manco a dirlo non capii mentre cominciava a camminare avanti e indietro nervosamente.

Mi accigliai. "Hai provato a chiamare qualcuno?" Chiesi.

"Ho lasciato il cellulare in macchina - mi rispose sospirando - e tu invece?" Chiese speranzoso.

Per chi diavolo mi aveva preso? Se avessi avuto la possibilità di chiamare qualcuno lo avrei già fatto. 

"Scarico, completamente scarico," lo informai facendolo sbuffare.

"Mi spieghi perché sei qui e come hai fatto a restare chiuso qui?" Aggiunsi piccata. Sembrava tutto così surreale, che dubito qualcuno mi avrebbe creduto. 

"Ho affittato il parco per me e la mia ragazza dato oggi è il nostro quarto anniversario e beh, il custode mi ha dato le chiavi che però ho lasciato in macchina perché sarei dovuto tornare a prenderle ma... credo di essermi appisolato," spiegò massaggiandosi la mascella sulla quale vi era un leggero strato di barba. Wow, non sapevo si potessero noleggiare i parchi. Evidentemente con i soldi si poteva davvero fare tutto.

"Almeno non sono l'unica sfigata..." borbottai facendolo accigliare.

"Non sei d'aiuto," bofonchiò.

"Nemmeno tu lo sei," mormorai incrociando le braccia al seno. Fece un bel respiro e poi mi diede le spalle, iniziando a camminare verso la direzione opposta a quella dov'ero io.

Scossi appena la testa e allargai le braccia voltando lo sguardo verso il cielo. 

"Perché mi odi?! Cosa ti ho fatto?!" Piagnucolai rivolgendomi a qualche divinità che sicuramente mi aveva presa di mira. 

La mia vita era un continuo susseguirsi di catastrofi e disastri di ogni genere, a partire dalla mia vita amorosa totalmente imbarazzante, fino ad arrivare alla lunga lista di amiche che mi avevano totalmente dimenticata per il fidanzato di turno. Sbuffai ancora una volta e mi lasciai cadere sull'erbetta del parco. Continuavo a chiedermi come avevano fatto a non accorgersi di me? Mi guardai intorno sconsolata e annoiata e mi stesi del tutto ponendo lo zainetto sotto la testa come cuscino.

Socchiusi gli occhi. L'ultima canzone che avevo ascoltato prima di addormentarmi era stata Love Story di Taylor Swift, ecco perché mi ritrovai a canticchiarla. No, in realtà iniziai a cantarla, nella speranza che qualche malcapitato mi sentisse e potesse chiamare qualcuno. Logicamente l'unica persona che ebbe questa fortuna fu il mio compagno di disavventura che sbucò dal nulla con un cipiglio piuttosto evidente, probabilmente causato dalla mia vocina un po' stridula. Non ero certamente usignolo, ma nemmeno una campana stonata. Credo.

"Ora dovrei stare in compagnia della mia fidanzata, davanti al nostro picnic romantico e il tramonto e invece..." non continuò la frase facendomi accigliare.

"E invece?" Lo esortai a parlare ottenendo una scrollata di spalla, alla quale aggiunse: "Beh mi biasimi? La mia ragazza sta probabilmente atterrando dopo un volo di ben 9 ore ed io sono rinchiuso in questo parco con una sconosciuta che canta malissimo."

Non aveva tutti i torti e probabilmente stava reagendo anche bene perché io al suo posto avrei fatto volentieri una chiacchierata con i Santi che avrei tirato giù dalla volta celeste. Nonostante ciò, però volli comunque sdrammatizzare il tutto rispondendogli: "Ti poteva capitare una vecchia racchia, non lamentarti, ti è andata di lusso," e dicendo ciò gli feci un occhiolino giocoso.

Mi osservò per qualche secondo senza muovere un muscolo, poi vidi spuntare un dolce sorriso che per poco non mi fece sciogliere il gelido pezzo di ghiaccio che avevo al posto del cuore. Se pensate che fossi la solita stronza senza cuore vi sbagliate, non ero stronza, ma avrei preferito infilare la testa nel gabinetto al posto di aprirmi con qualcuno. 

Mi costrinsi a spostare lo sguardo dal suo viso, prima che si accorgesse del mio cervello abbastanza in panne e qualche minuto dopo tornai a guardarlo.

"Ormai le cose da mangiare ci sono ed io inizio ad avere una certa fame, quindi che dici di fare un picnic improvvisato con uno sconosciuto?" Mi domandò.

Un flebile sorriso spuntò anche sulle mie di labbra. "Uno sconosciuto che come lavoro sfreccia a 300km\h ogni 2 settimane?"

Si lasciò andare ad una risata che fece sorridere anche a me. Ancora.
Sembravo davvero un'ebete. Senza aggiungere altro lo seguii, ignara che da quel momento in poi, i nostri destini si sarebbero incrociati talmente tante volte da restare ingarbugliati per sempre.

Tangled Fates - CL16Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora