Abitavo in quel paesino di merda da tutta la vita.
La vita là scorreva lenta e insensata, niente a interrompere la linea infinita e angosciante dell'orizzonte: campagna e ranch a perdita d'occhio, come se nessuno dovesse dimenticarsi i mai le radici contadine (e quindi i solidi principi da buzzurri campagnoli) della suddetta cittadina di provincia.
Lo schema è semplice: municipio, chiesa, scuola, alimentari, casette a schiera, chiesa, parrucchiera, chiesa, un bar ammuffito come il suo proprietario, chiesa, la stradina dove battono le prostitute, parrocchia. E Dio, buttando distrattamente il divino occhio oltre la coltre di nubi su cui è stravaccato mentre sputa altra merda sull'America, non potrebbe mai scambiare questo posto per Sodoma e ci risparmierà tutti durante il Giorno del Giudizio. O qualche altra stronzata del genere.
Insomma, la mia casa natale era una palla sudaticcia sfuggita dal molle elastico degli slip dell'universo.
Non c'erano discoteche, bar notturni né qualsivoglia distrazione dall' impulso impellente di tagliarsi le vene nella vasca da bagno. Si sa, o ammazzi il tempo o ti ammazzi.
Neppure quella puttana di Cindy era riuscita a sopportare tutto ciò, nonostante la quantità enorme di crack di cui si faceva.
Almeno, penso che si facesse di crack. E' sempre stata una tipa stramba con deliri di persecuzione pseudo-filosofici di 'sto cazzo. Odiavo quella troietta, ma era la mia migliore amica, nonché la mia sorellastra. Non che io e lei dividessimo gli stessi geni, sia chiaro.
Quando la ripescarono dall'acqua puzzolente di sali da bagno e sangue, le urla di mamma riuscirono a rovinare irrimediabilmente il mio sonno di bellezza.
Ho avuto le occhiaie per tre giorni, a perfezionare il look da sorella in lutto affranta dal dolore.
Quando ancora la domestica stava grattando via il sangue secco di quella stronzetta dalla vasca da bagno, mia madre e il mio patrigno avevano già cominciato a litigare.
Oh, era lei la preferita. O meglio, il collante che ci teneva tutti insieme. Per citare mia madre, "aveva ciò che tu non hai mai avuto, Hope. Un cuore. Un po' d'umanità".
'Fanculo, stronza. Era carina con te solo perché eri l'unica figura materna che avesse mai avuto e tutte quelle belle cazzate lì sui traumi infantili dell'abbandono eccetera. Spero che ti si rompa un tacco scivolando per strada sotto la pioggia e che cadendo ti si infilzi l'ombrello in un occhio.
Non che me ne importasse qualcosa dell'armonia di coppia tra genitrice biologica e genitore acquisito, ma quando cominciavano a lanciarsi addosso le porcellane e io non potevo entrare in cucina per un po', beh la cosa mi scocciava non poco.
Quando finalmente dopo il funerale quell'accollo del mio ormai ex patrigno portò via il culo da casa, io e mia madre ci scolammo una bottiglia di buon vino italiano.
Avevamo ritrovato le gioie del vivere ricche e sole, dopo due anni di teatrino della bella famigliola felice.
Peccato che quella vecchia bagascia sciupata in menopausa si sia risposata dopo solo due mesi.
Il mio nuovo papino portò più guai che altro, nonostante durante i primi idilliaci tempi mi riscaldò il sangue diciasettenne.
Di certo non pensavo che sarei finita in prigione.