4. Degenza forzata

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«Ti aspetto disotto, davanti alla macchina del caffè.»

«Ci metto un minuto per cambiarmi e arrivo.»

Bacio a stampo sulle labbra – ché tanto lì non si scandalizzava nessuno – e il biondo si diresse verso l'ascensore, mentre loro raggiungevano gli spogliatoi e il cellulare di Edward riprendeva a squillare, ormai per la quinta volta nel giro di due minuti.

«Insomma, ti sei trovato proprio un gran figo!» Amy stuzzicava ironicamente Gerard, che non mancò di arrossire. «Immagino di non avere più possibilità, con te!»

«Come se t'importasse, frigidaccia!» Max come sempre la provocava, ma solo perché sapeva di non avere speranze.

Quel trillo obsoleto da telefono fisso continuò a squillare fin quando non si chiusero la porta alle spalle per cambiarsi, senza che il proprietario provvedesse a zittirlo o quantomeno a interessarsi da chi provenisse la chiamata.

«Edward, o ti decidi a rispondere o cambi suoneria!» gli fece notare con tatto Gerard, cui si aggiunse subito Max, non altrettanto benignamente: «Oppure prendiamo quel coso infernale e gli diamo fuoco, scegli tu!».

Erano le otto del mattino, appena usciti da un turno esasperante, e persino quel minimo rumore era in grado di dare alla testa, anche perché si era ripetuto di continuo, dacché avevano staccato.

«Non guardi nemmeno chi è?» domandò Gerard a mezza voce, dopo che l'altro loro collega si fu chiuso nel gabinetto.

«Lo so, chi è!» reagì freddamente, in una scrollata di spalle, estraendo con leggera stizza gli abiti puliti dall'armadio. Poi sospirò. «È Annabel, ha rotto le scatole per tutta la notte. Ieri sera ho lasciato il telefono nella stanzetta e quando prima l'ho ripreso c'erano ventidue chiamate e otto messaggi. Roba da malati mentali.»

«Cristo, davvero! Sapeva che lavoravi?»

«Ha scritto di volermi "tenere compagnia": posso immaginare in che modo. La cosa che più odio di me stesso è che non mi rendo mai conto di cosa le persone si aspettino da me, come se fossi nato ieri. Ma in pratica è così, con la poca esperienza che ho in queste faccende.»

«Che cosa credevi che volesse quando ci sei uscito?»

«Sono un idiota, io, perché non riesco a dire di no, pur sapendo che il fine ultimo di queste vomitevoli pratiche sociali è soltanto l'accoppiamento. Mi sento in colpa a elaborare i rifiuti e finisco per ritrovarmi con persone che non mi suscitano un minimo di interesse.»

«Perché non ci tronchi e basta, scusa? È tanto semplice!»

«Sì, però non capisco perché ci debbano essere queste rotture, perché debba fare io la parte dello stronzo. Insomma, come devi comportarti? Se accetti di uscire con le persone le illudi, se poi capisci che non ti piacciono sei un ipocrita perché le hai illuse. Ma come diamine faccio a sapere se una persona mi piace alla prima volta che ci esco? E da soli, poi, senza riscontri con gli altri! Mi sembra tutto un grosso speed-date in scala mondiale!»

Gerard si mise a ridere. Ma poi gli diede il consiglio, da bravo amico: «Sii sincero, senza inventarle delle scuse. Di' che con lei non ti senti in sintonia e punto. Se ne farà una ragione».

«Sì, è giusto. Ma è una cosa che trovo da voltastomaco, che ci si debba conoscere solo per quel fine. Per esempio, voi... insomma, tu e Jamie come vi siete conosciuti?»

«Ah, troppo scontato: non ti piacerebbe.»

«Sapevate già di avere le stesse preferenze?»

«No, ma... forse un sospetto. Direi che comunque lo abbiamo scoperto molto presto. La sera stessa, in effetti. Ero andato alla sua prima mostra perché mi erano piaciuti i quadri pubblicati sull'Artnet Magazine, ma non sapevo chi fosse lui. Abbiamo cominciato a chiacchierare davanti a un dipinto, con lui che mi chiedeva che cosa ne pensavo.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: 3 days ago ⏰

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