La violinista

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Erano le undici di sera e pioveva a dirotto, con dei lampi che segnavano le nuvole scure di quella fredda notte di Novembre, mentre Racher era intenta ad allenarsi col suo amato violino dal legno chiaro e con sopra inciso il suo nome in calligrafia elegante, lo stesso che aveva ricevuto in regalo per il suo dodicesimo compleanno dai suoi genitori, mentre il suo cane dormiva ai suoi piedi. Ora ne aveva ventitré ed era divenuta una violinista professionista, molto amata e ammirata per la sua bravura con lo strumento ad arco, ma anche per la sua bellezza. I capelli dorati erano sempre intrecciati fra loro in due trecce poste davanti alle spalle, in modo che la lunghezza di esse ricadesse ai lati del suo piccolo ma grazioso seno, con dei fiori bianchi incastrati in mezzo agli intrecci dei capelli. Il viso era delicato e senza imperfezioni, dovuta alla cura della pelle e a una sana alimentazione. Le labbra erano piene e rosee, poste sotto un piccolo naso alla francese e leggermente a punta. La fronte era coperta da una frangetta perfettamente stirata e tagliata, per impedire che i capelli finissero davanti ai suoi grandi occhi marroni, con ciglia piccole e chiare, come le sopracciglia. Il suo corpo non era chissà quanto formoso, ma era magro e tonico, rendendo ogni vestito che metteva quell'aggiunta in più per completare l'opera.

Racher, oltre alla sua passione per la musica, era una perfezionista in tutto quello che faceva, sopratutto nell'aspetto. Non che lo facesse per attirare l'attenzione degli uomini su di sé, ma semplicemente perché era così che si sentiva bene con sé stessa, anche s'era una cosa che faceva ingelosire il suo ragazzo e quasi marito David. Anzi, più che ingelosire, sarebbe più corretto dire imbestialire.
Ogni volta che Racher usciva, quando c'era lui in casa si finiva sempre in grosse urla. Non gli andava a genio che la sua ragazza uscisse per andare a svolgere il suo lavoro vestita bene e truccata. Diceva che poteva benissimo andarci in felpa e pantaloni larghi, struccata e senza mettersi il profumo, per evitare di attirare l'interesse di altri uomini. Racher, sempre stata una donna calma e matura, era comprensiva e capiva le sue preoccupazioni. Sapeva che il suo aspetto non era indifferente agli occhi di chi la guardava, ma comunque si rifiutava di mettere piede fuori di casa senza un aspetto decente, cosa che mandava il suo ragazzo su tutte le furie. David era un uomo di venticinque anni, più basso di Racher di qualche centimetro ma molto muscoloso, con la mascella molto evidente, occhi castani e capelli corti e biondi. Era sempre vestito con abiti eleganti, essendo il gestore di una famosa azienda. Era un uomo molto bello e in molti invidiavano il suo successo, ma gli amici più stretti e la famiglia di Racher, che avevano avuto modo di conoscere l'uomo, si chiedevano per quale motivo una ragazza dolce come lei si fosse messa con un tipo così burbero e dal pessimi carattere come David, ma a Racher non importava.

Lo conosceva da quando aveva sedici anni e si fidanzò con lui verso i diciotto. Per i primi cinque anni, tre di conoscenza e due di fidanzamento, David sembrava essere un ragazzo dai modi gentili e con un grande senso dell'umorismo. Aveva riempito Racher di regali e di frasi d'incoraggiamento prima dei suoi famosi concerti, ricordandole ch'era una musicista strabiliante e che l'amava con tutta la sua anima. Era il suo mondo.

Ma poi tutto iniziò a sgretolarsi. Dopo quei cinque anni passati tra coccole e belle parole, iniziarono gli insulti e le urla. Non passava giorno dove cui David non cercava in qualche modo di limitare la ragazza in qualsiasi cosa. Era iniziato tutto con delle semplici frasi, dall'aspetto innocue, ma nascondevano dietro più di quanto Racher potesse immaginare.
<<Secondo me questo vestito è troppo attillato. Non avendo forme, sembri una tavola>> Diceva, con tono scherzoso.
<<Sembri un pagliaccio con tutto questo trucco. Vuoi lasciare la carriera da violinista e iniziarne una nuova al circo?>> Diceva ancora.
<<Certo che dove giro lo sguardo, mi ritrovo donne con tette grandi e sederi formosi, e pure tua madre lo è. Come mai tu no?>> Diceva.
<<Saper suonare il violino è una stronzata. Se avessi avuto dei genitori che mi facevano fare il cazzo che mi pareva, a quest'ora lo saprei suonare meglio di te. Non è un talento così straordinario. C'è di meglio>> Diceva.
<<Ma per quale cazzo di motivo devi uscire di casa come se stessi per passare sulla passerella? Vuoi gli sguardi degli altri ragazzi su di te? Non ti basto io!?>> Diceva.
<<Lavoro già io, quindi non capisco perché devi lavorare pure tu. Anzi, neanche lavori, stai qualche oretta su un palco puzzolente a suonare quella robaccia che tu chiami musica. Devi restare a casa a pulire. Sei o non sei una donna?>> Diceva.
<<Tu sei mia>> E diceva ancora.

La bottega infernaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora