𝟖.

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Successe una settimana dopo.

Eravamo sul molo, i capelli bagnati.
Quel giorno eravamo di nuovo in spiaggia - ci eravamo state ogni giorno, dal pomeriggio in cui era venuta a casa mia.
La mattina eravamo sole. Mi chiedeva di spalmarle la crema solare sulla schiena e la faceva mettere anche a me. Entravamo in acqua. La facevo galleggiare tenendola. Provavo a farla nuotare piano piano. Mangiavamo il pranzo sdraiate sui teli, una volta pagavo io, una lei, una volta portava le cose da fare. Mi faceva i tramezzini vegetariani. Mi portava la torta di mele. Mi guardava fumare, a volte portavo la chitarra e suonavo qualcosa per lei. Nel pomeriggio arrivavano i miei amici e allora ripetevamo tutto daccapo. Passava ore sdraiata al sole. Una volta si addormentò e rimasi a guardarla mentre gli altri facevano il bagno - una poesia di sole e labbra.

Quel giorno eravamo rimaste sole. 
Aveva messo conchiglie e granelli di sabbia sulla mia pancia, fino ad arrivare a sfiorare il punto in cui il mio costume diventava più sottile, in mezzo ai seni.
Aveva lasciato che le nostre spalle si sfiorassero.
Un tremito mi aveva scosso quando le avevo spalmato la crema solare appena sopra l'osso sacro.
Aveva fatto lei i panini. Speciali per me (con pomodori, formaggio, insalata e uova), noiosi per lei (tacchino e formaggio, tonno e formaggio).
Io le avevo comprato il gelato.
Le avevo presentato il cono come una sorpresa, dopo averle detto che sarei andata a prendere una semplice bottiglietta d'acqua. Lei aveva sorriso, gli occhi luccicanti, mi aveva ringraziato e poi aveva voluto assaggiare il mio cono e mi aveva praticamente obbligato ad assaggiare il suo.

In quel momento, quando successe, mi stava parlando di un libro che aveva letto.
Era quasi ora di cena, e avevamo preso una fanta e una coca cola ghiacciate. I bicchieri erano appoggiati di fianco a noi, vuoti per metà. 
Non avevamo voglia di separarci.
I suoi fianchi erano colore dell'oro, le ossa del bacino che sporgevano lievemente. I miei occhi ci si perdevano senza che nemmeno lo volessi, ma lei non sembrava accorgersene. 
C'era una tensione dolce, tra noi.
Il modo in cui ci muovevamo e ci guardavamo.
Il modo in cui lasciava che la tenessi nell'acqua, in cui si stiracchiava sotto il sole, in cui inarcava la schiena.
Il modo in cui io fumavo, in cui io cantavo per lei, in cui le arricciavo i capelli.

Parlava a bassa voce.
Aveva raccolto altre conchiglie e le teneva in un sacchetto accanto a noi.

Parlava e io guardavo la sua mano che sfiorava la mia.

Avevo appena finito la quarta sigaretta della giornata.
Me le aveva accese tutte lei.

A un certo punto alzai gli occhi e trovai i suoi.
Il mare e i gabbiani erano gli unici rumori.
Tutto era calmo e caldo.

Ci baciammo.
Smise di parlare, io smisi di esitare e ci baciammo.

Lei con una mano che afferrava la camicia che mi ero messa sopra il costume, io immobile. 

Le nostre bocche premute una sull'altra.
La sua fronte sulla mia.

E quando ci separammo, il suo sguardo. 
Il suo sorriso.
Il modo in cui timidamente lo fece di nuovo, e in cui io misi una mano tra i suoi capelli e la attirai più vicino a me. 

Fu come respirare.
Baciare Marina fu come respirare, come recitare l'ultimo canto del Paradiso di Dante tutto d'un fiato, e come nessun'altra cosa al mondo. 


















non so quando far finire questa storia, bene, perchè semplicemente è nata per dar voce a qualcosa che è ancora indefinito, ricordi mai collezionati

deve avere una fine?

troverò il modo di non farla finire, e lo so, ma penso che al massimo ci saranno due o tre capitoli dopo questo

no, non ha un brutto finale
non volevo clichè del tipo Marina che è malata
le lacrime sono impagabili
il dolore affascinante
ma questa storia è pura

𝓶𝓪𝓻𝓲𝓷𝓪Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora