Allucinazioni

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E fu così che, quando il professor Black chiamò “Styles” la porta si spalancò, e un ragazzo tremendamente bello entrò, silenziosamente, in classe.

Louis dovette recuperare la sua mascella, che era caduta vicino ai suoi piedi alla vista di quel soggetto.

No, non poteva essere.

Era lui.

Louis stentava a crederci. Che dannato scherzo del destino era quello?

Era il ragazzo del bosco.

E quel ragazzo del bosco si era accomodato nel banco di fianco a lui.

“Ah ecco bene, Styles, poi… Tomlinson?” continuò il professor Black, quasi come se fosse abituato a queste entrate cinematografiche.

Louis sentì in lontananza il suo cognome, e alzò la mano come se fosse un gesto automatico, quando in realtà stava pensando a ben altro. Ad esempio, stava pensando che tutto quello che gli era capitato il pomeriggio prima non era un sogno, che quel ragazzo strano esisteva, e guarda il caso, era proprio il suo compagno di banco.

Avrebbe voluto interagire con lui per tutta l’ora di Matematica, ma la verità era che Styles si era messo a disegnare sul banco con una matita mangiucchiata, e Louis era rimasto a fissarlo senza interromperlo, continuando a spostare lo sguardo sui tatuaggi che gli coprivano la pelle o sui capelli del riccio.

Quando la campanella suonò, Lou sobbalzò e non perse tempo per cercare di recuperare il tempo perso e parlargli: “Uhm, io sono Louis… ” iniziò timidamente, sperando che il ragazzo lo sentisse.

Styles posò la matita sul tavolo, e girò lo sguardo verso il suo compagno di banco; lo osservò senza proferir parola, lo studiò per lunghi istanti passando le iridi verdi su tutto il suo essere, per poi riprendere la matita e continuare il suo lavoro senza degnarlo di una sola parola.

“Ok… ” constatò Louis, era davvero strano il caso: vedi un ragazzo in mezzo al bosco e, il giorno dopo, si presenta in classe senza salutar nessuno e inizia a disegnare sul banco come se nulla fosse, non è normale!

E poi, proprio nel bel mezzo dell’ora successiva, quando la professoressa Sprite era intenta a spiegare la fotosintesi clorofilliana, Louis sentì un bisbiglio profondo provenire proprio da Styles: “Sono Harry” mormorò impercettibile, difficile da captare, con un respiro rauco, proprio come la sua voce, a concludere quella piccola frase di due parole.

“Ciao” proseguì Louis, cercando di non farsi scappare questa opportunità di interagire con Harry.

“Non ti conviene parlar con me” ribattè Harry, continuando a disegnare sul banco, al posto di prendere appunti, senza alzare gli occhi.

“Perché?” ribattè immediatamente il liscio.

“Uhm, non sono visto di buon occhio” cercò di giustificarsi, passandosi una mano tra i ricci ribelli e sistemandosi la canottiera.

Era strano, tra l’altro, che a metà Settembre, con la pioggia e la temperatura abbastanza bassa, un ragazzo fosse in grado di indossare solamente una canottiera e, nonostante questo, continuare a sudare.

Perché sì, Louis era bravo ad osservare chiunque gli fosse vicino, e aveva notato anche questo: Harry continuava a sudare, anche se in classe faceva freddo.

“E… come mai?” cercò di non essere troppo indiscreto ma fallì miseramente.

Allora il riccio si girò, scrutandolo dalla testa ai piedi come se fosse un alieno, prima di rispondere con un: “non ti riguarda Louis”.

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