5. Alla luce di una candela

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Per loro fortuna, la locanda che avevano intravisto da lontano non era molto frequentata e a quell'ora della sera le stanze erano pressoché vuote.

Una donna bassa e tarchiata con una pipa in bocca li aveva invitati ad entrare con un tono di voce che voleva risultare civettuolo, ma che invece era stato rauco e stridente sulle orecchie di Gil. Era un posto ambiguo, non il tipo di locanda che si trovavano in Inghilterra. Questo aveva le pareti di un legno che faceva immaginare sarebbero crollate da un momento all'altro, un pavimento che cigolava al peso dei passi e una testa di cervo ricoperta di ragnatele posta proprio sopra l'ingresso. Gil aveva avvertito un certo senso di smarrimento non appena vi era entrato, ma Easton gli aveva ricordato le sue parole: qualunque posto sarebbe andato bene per la notte.

Così, nel buio della sua stanza, Gil pensava a quello che gli sarebbe toccato l'indomani. Doveva cominciare da qualche parte, ma non sapeva da dove. Forse avrebbe potuto assumere un investigatore privato o cercare autonomamente l'assassino di suo padre; ma in ogni caso, le piste erano vuote. Si stava arrovellando il cervello da una settimana sul sistema da adottare, aveva chiesto aiuto anche a Easton, ma l'uomo gli aveva semplicemente spiegato di fare le cose con calma e che comunque, a qualunque costo, lui sarebbe stato al suo fianco. Gil era grato di questo. In Easton, oltre che a un inserviente, aveva trovato un caro amico. Era stato molto legato anche a suo padre che lo aveva assunto quando era poco più che un ragazzo, perché aveva notato subito il suo spiccato senso dell'etica e della morale. Ben presto, per la famiglia Morgan, Easton era diventato un consigliere, un fratello, un figlio e un amico.
Gil non avrebbe davvero potuto chiedere di meglio.
Si sistemò il cuscino dietro la testa e cercò di prendere sonno. Easton era chiuso nella stanza adiacente alla sua, e probabilmente dormiva già profondamente.

Lui, però, assillato dai dubbi, non ci riusciva. Il fuoco nel camino stava morendo pian piano, riversando un calore tenue all'interno della camera, e quello almeno avrebbe dovuto aiutare a conciliare il sonno. Ma tutto sembrava vano. Fuori della finestra, il cielo terso sembrava voler piombare al suolo da un momento all'altro. Gil chiuse gli occhi, ma poi qualcosa glieli fece riaprire. Il rumore della porta che si apriva lentamente, poi che si richiudeva, passi leggeri come le foglie che si posano sul terreno. Non scattò in piedi sull'attenti, perché non vi era alcun tipo di pericolo, ma quando i suoi occhi misero a fuoco lentamente la figura davanti al camino qualcosa fremette nel suo corpo.
Allora comprese. Quella non era una semplice locanda.
Era un bordello.

La schiena voltata verso di lui, una donna se ne stava in piedi davanti al camino completamente nuda. I capelli all'apparenza scuri erano sciolti sulle spalle e le sfioravano il fondoschiena, fiocamente illuminato dalla fiamma della candela sul comodino. Era un fondoschiena perfetto. Il cuore di Gil accelerò i battiti. Non era il momento per pensare a certe cose, ma quando lei si voltò senza dire una parola, lui fu incapace di respirare. Non riusciva a vederla bene, ma ci fu qualcosa nei suoi movimenti e nel rumore del suo respiro lento che accese un campanello nella testa di Gil. Corrugò la fronte. Doveva averla già vista da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove.
–Voi... – farfugliò sollevandosi finalmente a sedere.

Lei non gli lasciò il tempo di continuare, perché si era già avvicinata al letto e gli si era messa sopra a cavalcioni. A quel contatto, ogni muscolo, osso e organo di Gil esplose come se fosse stato un ragazzino alle prime armi. Quando lei si abbassò verso il suo viso e Gil poté finalmente guardarla negli occhi, capì dove l'aveva già vista. Quella era la donna che aveva incontrato al molo solo poche ore prima, con i suoi capelli rossi che non sembravano più scuri, e labbra così piene da fargli credere che fossero state create apposta per baciare.

–Voi.

Stavolta lo disse con più fermezza, ma ancora una volta la ragazza non gli permise di parlare. Con un movimento rapido spostò un braccio all'indietro. Pochi secondi dopo, Gil percepì qualcosa di duro e gelido contro la pelle del collo. I suoi sensi si misero subito in allerta. Nonostante tutto, l'organo tra le sue gambe ebbe un fremito. Lei lo guardava con un misto di rabbia e odio, ma poi qualcosa cambiò nel suo sguardo. All'improvviso sembrava incerta, il pugnale stretto tra le dita vacillò appena.

Sbatté le palpebre e si prese un momento per osservarlo. Combattendo contro il battito rapido del suo cuore, Gil rimase immobile sapendo che la lama di quel pugnale non sarebbe mai penetrata nella sua carne. Avrebbe già dovuto agire, contrariamente. Invece lei non stava facendo niente, anzi sembrava più titubante di quando si erano scontrati al molo, solo che adesso era nuda e quindi più vulnerabile. Gil soppesò il suo sguardo con determinazione fino a quando non decise che era durata abbastanza. Lentamente, avvicinò le dita alla lama e se la spostò dal collo. Non trovò alcuna resistenza dall'altra parte, segno che lei non aveva avuto alcuna intenzione seria nei suoi confronti.

–Che cosa ci fate qui?– mormorò quasi dolcemente come se volesse scusarsi per il suo comportamento si quel pomeriggio. Gil le scostò i capelli dalle spalle scoprendo il suo viso. La fiamma della candela gettava una luce color ocra sulla pelle, donando alle labbra un tono quasi dorato. Si perse a guardarla, perché non aveva mai visto niente di più bello in vita sua. Qualunque tratto del suo volto sembrava essere stato scolpito da uno scultore con le mani più abili del mondo, la luce che le ardeva negli occhi era delle più intense che esistessero.
–Potrei farvi la stessa domanda, miss– le rispose gentilmente.
 

Brianna trattenne il fiato. Che cosa le prendeva? Perché all'improvviso non riusciva a muoversi? Erano incastrati l'uno all'altra, i bacini si toccavano al punto che avrebbero potuto fondersi, e lei era attraversata da lunghi brividi di... non si trattava del freddo. Era qualcos'altro. Il modo in cui l'uomo la guardava, le sue mani che le avevano sfiorato i capelli, il cuore che non ne voleva sapere di diminuire il ritmo dei battiti. Estranea a quell'insolita sensazione, Brianna contrasse le labbra e cercò di scostarsi dal suo corpo, ma era come se all'improvviso fosse paralizzata e, cosa più assurda, lei non voleva allontanarsi.

–Io non...
Non riusciva neanche a parlare. Poi trovò le parole e cercò di tornare a essere quella che era sempre stata. –Io ci lavoro, qui. E voi?

Che domanda stupida, pensò. Quello era esattamente il tipo di uomo che passava il suo tempo libero nei bordelli. Fece una smorfia. Per quanto avesse pensato a lui dal primo momento in cui l'aveva visto non poteva negare quella realtà. Quale uomo, in fondo, non provava piacere a giacere tra le braccia di una prostituta?

Fu quello a convincerla a riprendere il pugnale per compiere il suo lavoro, quello che faceva abitualmente, ma non trovò l'arma.
–Dove diavolo...
–Cercate questo?– Negli occhi dell'uomo adesso c'era una luce divertita, ma era anche diventato serio. –Che cosa volevate fare?
–Restituitemlo– gli impose lei allungando la mano, ma lui si sottrasse al movimento e stavolta fu sul collo di lei che si appoggiò la lama.
–Rispondetemi– ringhiò. Brianna fu attraversata da un brivido. Non gli doveva spiegazioni, non le doveva a nessuno. Perché non era tornata a casa dopo aver ripreso Ferit? Perché non era corsa a controllare che Wallace non fosse morto? Perché era stata tanto ingenua?

Sentire il proprio pugnale sulla sua pelle era una sensazione strana, glaciale. Un groppo le chiuse la gola. –Ho bisogno di denaro– confessò alla fine. Forse se fosse stata accondiscendente lui le avrebbe restituito l'arma e lei avrebbe lasciato con la speranza che non ne facesse parola con nessuno. Ma non erano quelle le intenzioni dell'uomo.
–Per ricevere denaro dovreste giacere con me, miss– le ricordò senza spostare la lama.
Inorridita, lei vi si appoggiò contro con tutto il peso. Strinse gli occhi. –Piuttosto preferisco morire per mano del mio stesso pugnale.

Io che amo teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora