il signor corrado è il fratello del sindaco di una cittá sperduta in sicilia.
dice di saper parlare solo in dialetto, ma si sforza e prova con tutto se stesso a parlarmi in italiano. è stato in guerra, lui. guidava i carri armati. mi ha detto che, non avendo il pollice e l'indice alla mano sinistra, aveva dichiarato di essere mancino e di non poter sparare. nessuno aveva controllato se fosse vero o falso e fu contento di essersi scampato la guerra cosí facilmente.
lo mandarono in sicilia, al porto, a controllare che nessuno rubasse i sacchi di viveri da caricare a bordo. la gente era povera e aveva fame, molte volte faceva finta di non vedere. aveva l'ordine di sparare se fosse stato necessario, ma non voleva uccidere nessuno.
si ricorda di questo episodio: era estate e il sole batteva forte sulle tempie, lui in piedi a fare avanti e indietro davanti alla nave, aspettando il cambio, armato fino ai denti. c'erano queste cassette piene di frutta e verdura davanti a lui, aveva l'ordine di non far avvicinare nessuno. arrivó un bambino, di nascosto, sporco, pieno di lividi e tagli, con solo dei pantaloncini mezzi strappati. era sudato e aveva i capelli spettinati, corrado all'inizio nemmeno si accorse di lui, che rubava qualche pesca dalle cassette. gliene cadde una, il rumore lo fece girare di scatto e, d'istinto, gli puntó l'arma contro. il bambino con le lacrime agli occhi lo pregó di non ucciderlo, «la mia mamma sta male, ha bisogno di mangiare, ti prego.» gli disse cosí.
cosa avrebbe dovuto fare corrado? ammazzarlo? minacciarlo? spaventarlo?
«non puoi prendere queste pesche, vattene.»
«la mamma è debole, sta sempre a letto, il dottore dice che mangia poco, sta morendo, per favore.» supplicava ancora con le pesche strette al petto.
a corrado faceva pena, non aveva il coraggio di mandarlo via, stava per dirgli che poteva prendere tutte le pesche che desiderava, quando si sentí uno sparo.
il bambino, dallo spavento, fece cadere a terra tutte le pesche.
«il prossimo ti arriva in gola se non te ne vai subito, chiaro?» lo prese per i capelli e lo gettó a terra, lontano dalle cassette.
«via di qua, via!»
e il bambino corse via.
«cosí si spaventano corrado, non con i tuoi miseri "vattene"».
fu allora che corrado capí che la guerra è autodistruzione.una volta, per difendersi, dovette sparare usando la destra. dietro di lui c'era il suo ufficiale, lo mandarono in guerra. lui, il militare nemmeno lo voleva fare. era stato obbligato, era stato condannato a quella vita che puzzava di cadaveri e sensi di colpa.
il signor corrado voleva soltanto parlare con qualcuno. mi confessó che era da anni che non parlava della guerra e che i ricordi, ultimamente, lo stavano lacerando.
lui vuole andarsene da questa sicilia piena di sangue e dolori, ma è troppo debole e il suo corpo non reggerebbe un viaggio. quindi rimane in quella piccola cittá sul mare, la stessa di quel bambino che tentó di rubare le pesche.
la sicilia è la sua prigione, dice.mi salutó con un bel sorriso, mi disse di godermi il mare.
«è stato un piacere parlare con lei, signorina. ci vediamo domani, tanto sono sempre qua».
osservai la sua figura andarsene zoppicando.non l'ho mai piú rivisto.