Prologo

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Non c'era niente, assolutamente niente al mondo che mi scombussolasse più di lui. Niente che mi rendesse così  incapace di essere quella persona che tanto avevo faticato per diventare, che tanto ero fiera di essere.

Non importava quanto mi sforzassi, quanto provassi a non cedere; lui era sempre un passo avanti, mi distanziava sempre di quel poco necessario a percepire e a comprendere i miei desideri prima ancora che lo facessi io.

«In ginocchio.»

Come se improvvisamente fossero state scollegate dal resto del corpo, le mie gambe si piegarono, ignorando il cervello che si affannava a cercare di tenermi su. Tra noi aveva sempre funzionato così: per quanto io non lo volessi, per quanto io credessi di non volerlo, il mio corpo rispondeva alle sue parole come se non sapesse fare altro. I suoi erano ruvidi ordini rivestiti di velluto; mi scivolavano addosso lasciando un'impronta impossibile da ignorare: dovevo eseguire.

Era una cosa che una parte di me detestava profondamente; mentre l'altra, che era sfuggita al mio controllo già da tempo, la amava.

Non avevo scelta: il mio corpo gli apparteneva, la mia mente gli apparteneva, io gli appartenevo.

Sul duro pavimento di marmo del suo ufficio, me ne stavo completamente immobile, proprio come mi aveva insegnato.

Capo chino, spalle dritte, cosce leggermente divaricate, piedi a martello.

Le prime volte in cui mi aveva costretta a mantenere quella posizione erano state terribili: la schiena aveva iniziato a farmi male dopo i primi venti minuti e sentivo i tendini del polpaccio tirare sempre di più, come se da un momento all'altro avessero potuto spezzarsi a causa della tensione.

In quell'istante, invece, quasi ero comoda.

Non percepivo null'altro se non la sua presenza, alle mie spalle, austera e silenziosa.

Quel singolo ordine bastava a farmi capire che ero nei guai, che avevo sgarrato.

Sarebbe stato inutile provare a spiegare, a giustificarmi; e nemmeno ero tanto sicura di volerlo fare.

«Lo sai che a causa di quella tua testolina dura hai appena rovinato la nostra serata?»

La sua mano finì tra i miei capelli. Li avevo lasciati liberi di scendermi sulle spalle, proprio come piaceva a lui. Uno strattone mi costrinse a piegare il collo all'indietro finché la gola non prese a far male, finché non fummo occhi negli occhi.

«Puoi rispondere.»

Continuai a guardarlo per un altro attimo ancora, cercando nelle sue iridi scure qualche indizio. Mi sarebbe bastato vedere un luccichio divertito, l'angolo delle sue labbra appena sollevato, qualcosa, qualsiasi cosa, e il mio cuore avrebbe smesso di battere così velocemente.

«Sì, Signore.»

«E sai che, per colpa della tua impulsività, il tuo bel sedere ne pagherà le conseguenze?»

Boccheggiai. Sì, lo sapevo bene. Era una delle prime cose di cui mi aveva messa al corrente. A ogni mia azione corrispondeva una reazione uguale e contraria; esattamente come il terzo principio della dinamica.

«Rispondi, Giulia.»

Le sue dita avevano iniziato a intrecciare i miei capelli: troppo lunghi, tenerli sciolti in situazioni come quella sarebbe stato solo d'intralcio.

«Sai che detesto quando non rispondi alle mie domande.»

Un altro strattone. Sentii gli occhi pizzicare leggermente.

«Sì, Signore, lo so.»

«Sai cosa, di grazia?»

Cambiò posizione, e finalmente potei raddrizzare e poi chinare il collo in avanti.

Teneva ancora la mia treccia tra le mani e mi costrinse a guardarlo, strattonando ancora.

«So che verrò punita, Signore.»

«Avremmo davvero potuto passare una bella serata, eppure...»

Lasciò la frase a metà, spingendomi ancora una volta a maledirmi per quello sbaglio che avevo commesso. In quel momento avrei dovuto essere in un ristorante di lusso ad assaggiare pietanze squisite che mai avrei pensato di poter mangiare.

Stupida. Sono una stupida.

«Alzati.»

Altro velluto sulla mia pelle, accompagnato da brividi di paura. Sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male, non sul serio; eppure non riuscivo a non rabbrividire al suono della sua voce quando assumeva quel tono. Quando era così lontano dall'uomo che mi prendeva in giro chiamandomi Giulietta.

Allungai la mano, sicura di trovare la sua ad aiutarmi, e feci leva sulle ginocchia indolenzite.

Finalmente in piedi, con la mano inghiottita dalla sua, feci qualche passo incerto verso la scrivania in mogano che torreggiava lungo una delle pareti dell'ufficio.

Non avevo bisogno che mi dicesse cosa fare: sfilai le scarpe e i jeans, poi la camicetta e il reggiseno.

La sua mano, gelida a contatto con la mia pelle, si posò sulla mia schiena, spingendomi a piegarmi sulla superficie di legno già sgombera. Si era già preparato.

Con nient'altro addosso se non un pezzetto di pizzo striminzito, mi abbandonai al mio destino. L'ansia stava pian piano corrodendo i miei nervi, l'attesa era estenuante.

Andrea mi accarezzò le natiche, ancora leggermente indolenzite dopo il nostro ultimo incontro.

«Queste le togliamo, non sei d'accordo?» chiese mellifluo infilando le dita tra la stoffa delle mie mutandine e la pelle bollente dei miei fianchi.

In quel momento gli avrei concesso tutto, gli stavo concedendo tutto.

«Conta, mia cara.»

Per alcuni lunghissimi secondi, il silenzio fu straziante. Poi arrivò il bruciore familiare che avevo imparato a conoscere fin troppo bene, accompagnato da un sonoro schiocco.

«Uno, mio Signore.»


L'angolo di Lena

*Sbircia in giro per vedere se c'è qualcuno*

Ciao lettori, mi fa piacere vedervi da queste parti! Ehm... che ne pensate?

Okay, devo dire che mi aspettavo di peggio, ma c'è anche da dire che non è che per ora quei due abbiano combinato chissà che...

Questo piccolo prologo mi serviva un po' da introduzione, per farvi vedere com'è che andranno le cose, più o meno. Quello che avete appena letto, però, è abbastanza in là nella storia, quindi credo che per adesso dobbiate raffreddare i bollenti spiriti, anche perché nella mia testa Andrea e Giulia ancora non si conoscono, e ce ne vorrà, prima di arrivare a questa situazione.

Per ora vi saluto, sperando che questo assaggio vi piaccia. 

Un bacione virtuale, 

Lena. 


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