Capitolo 3

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Avevo indossato il mio abito più carino.

La stoffa blu, morbida e setosa, scivolava lungo i miei fianchi con dolcezza. Mi arrivava appena sopra al ginocchio; la lunghezza giusta per una cena da degli amici di famiglia. Sufficientemente lungo da non essere inappropriato, ma abbastanza corto da non farmi sembrare una cinquantenne. Forse lo scollo era un tantino audace, ma il mio seno prorompente avrebbe attirato l'attenzione anche se avessi messo un sacco di iuta.

Non era mica colpa mia, se avevano continuato a crescere anche quando avrei preferito che si fermassero...

Finii di spolverarmi le guance con un blush leggermente rosato e indossai le scarpe: un paio di favolose spuntatine argentate dal tacco vertiginoso.

«Giulia sbrigati. Siamo in ritardo.»

Afferrai la pochette, controllando che ci fosse dentro tutto l'occorrente, e mi diressi verso le scale.

«Arrivo.»

Scesi i gradini alla velocità massima concessami dai quindici centimetri di tacco, maledicendomi per non averli indossati dopo aver affrontato due rampe di scale.

I miei genitori e mio fratello, tutti acconciati di tutto punto, mi aspettavano accanto al portoncino d'ingresso. Io ci provavo, a essere puntuale, ma succedeva sempre, sempre, qualcosa che mi faceva perdere tempo. Quella volta ci si era messa la piastra, che si rifiutava di funzionare per chissà quale ragione; motivo per cui alla fine mi ero rassegnata a raccogiere i capelli in una lunga treccia; cosa che detestavo fare. Ogni volta che ci provavo i muscoli delle mie braccia cominciavano a dolere così tanto che puntualmente mi ripromettevo di dare una spuntatina a quella chioma lunga e pesante; cosa che però non avevo mai trovato il coraggio di fare.

«Andiamo, i Romano ci stanno aspettando.»

Storsi il naso alle parole di mia madre: non era mai capitato che partcipassi a una delle famose cene tra amici organizzate da mio nonno, e dopo la sua morte ne avevo ancora meno voglia; ma mia madre aveva deciso che ormai ero abbastanza grande per prendervi parte. Non che incontrare Luca e la moglie mi dispiacesse, ma ci sarebbero stati anche i figli. Le vecchie rimpatriate tra amici si erano per caso trasformate in riunioni di famiglia?

Il tragitto in macchina durò una mezz'ora buona, tempo che passai con la fronte appoggiata al vetro del finestrino. Avrei preferito passare il sabato sera in giro con Chiara, ma non potevo pretendere troppo dalla vita.

Chiusi gli occhi, cercando di non pensare al fatto che avrei rivisto l'uomo di fronte al quale avevo scordato di avere una dignità.

Quella settimana il mio cervello era corso a quell'episodio più di una volta, mostrandomi la scena di continuo, quasi avesse paura che lo scordassi.

Come se fosse possibile... In un angolino della mia mente speravo con tutta me stessa che Andrea Romano disertasse, così da darmi la possibilità di evitare la scena imbarazzante che sarebbe stata il nostro secondo incontro.

Distratta com'ero non mi ero resa conto che papà aveva fermato la macchina di fronte a un'imponente villa che mostrava tutta la raffinatezza e la ricchezza dei proprietari.

Scendere dall'auto senza slogarmi una caviglia e camminare su quei maledetti sanpietrini, fu una tortura. Il tacco a spillo si infilava in ogni singola incavatura della pavimentazione, facendomi traballare tutta e, mentre la mia famiglia era già all'ingresso, io ancora cercavo di non cadere.

«Su, ti aiuto io.»

Qualcuno parlò alle mie spalle e d'un tratto un braccio tonico e muscoloso si avvolse intorno alla mia vita.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 06, 2020 ⏰

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