Dei fogli di Crowley e delle paranoie di Aziraphale

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E di gesti impulsivi..

Aziraphale si mise seduto sul letto, dopo avere interrotto la sveglia.
Si passò una mano sul viso, come aveva fatto la mattina precedente: Crowley non si faceva vivo dadue giorni.
Se avesse avuto impegni lo avrebbe sicuramente avvertito, no? O almeno, una telefonata per fargli capire che era al sicuro.
Dopo l’Apocalisse e la brutta esperienza con le proprie fazioni, la paura di essere costantemente in pericolo non era diminuita, affatto. Ovunque andasse, da solo e con Crowley, finiva per guardarsi con circospetto ed ansia, aspettando da un momento all’altro di riconoscere qualche faccia familiare. Di certo sapeva che il Paradiso non avrebbe lasciato correre per molto quel suo erroneo e folle comportamento di fermare la fine del mondo, buttando all’aria secoli di piani ed accordi tra le due parti; specialmente pensava che uno come Gabriel non avrebbe accettato di essere stato preso in giro da un angelo incompetente ed inferiore a lui.
Si alzò stanco, per niente pronto per affrontare quella giornata, che a vedersi dal vetro della sua camera, risultava grigia e scura come il suo animo in quel momento.
 
Alzò gli occhi verso l’orologio, le 9:00. Se non si fosse fatto vivo gli avrebbe fatto qualcosa lui, sì.
E le 9:00 diventarono 10:00; e le 10:00 diventarono le 11:00… fino ad arrivare alle 14:00. Nessuna notizia era ancora giunta ancora alle sue orecchie.
Sospirò frustrato, deciso a telefonargli; doveva provarci almeno, anche se non credeva gli avrebbe risposto. Compose il numero, rimanendo in attesa, nervoso; il telefono squillò ma scattò la segreteria;
Ciao, sono Anthony J. Crowley. Sai cosa fare. Fallo con stile.
Tossì leggermente – Ciao Crowley, sono io, Aziraphale – sospirò – che fine hai fatto? Non ti fai vedere da un po'... ti sei cacciato nei guai? – guardò un punto fisso – perché se lo avessi fatto me lo diresti…no? – rimase in silenzio per qualche secondo - dannazione Crowley, richiamami quando senti questo messaggio! – sbattè la cornetta, passandosi una mano tra i capelli, frustrato. Non poteva fare niente, niente, se non aspettare. La pazienza era sempre stata una delle sue virtù, quando riguardava gli altri. Già, gli altri, ma non Crowley. Con lui non riusciva ad esserlo, perché per un motivo o un altro gliela faceva perdere; quando faceva il testardo per convincerlo ad attuare un’idea o gesto fuori dalle sue abitudini, quando lo tentava col cibo o qualche altro peccatuccio di poco conto, o quando era nellamelma più totale e cercava il suo aiuto per rimediare. Ecco, soprattutto in quest’ultima si faceva prendere subito dal panico, perché in cuor suo lo avrebbe voluto proteggere a tutti i costi, ma gli riusciva molto difficile anche non disobbedire agli ordini dall’Alto; quell’argomento era stato uno dei principali nei loro litigi.
Rimurginare su cosa doveva o non doveva fare era una perdita di tempo; a quell’ora la libreria era chiusa per la pausa pranzo. Pensò di passare dal suo appartamento, sperando di non trovarlo in soqquadro.
Prese il cappotto ed uscì, fermando un taxi.
 
Per tutto il tragitto stette in ansia, dritto sul sedile, strofinandosi le mani; guardava fuori dal finestrino, notando come tutto andasse avanti. Le persone passeggiavano tranquille sui marciapiedi, magari spingendo una carrozzina o portando semplicemente al guinzaglio il cane. Per un attimo sentì di invidiarli.
Una decina di minuti dopo era davanti il grande palazzo dove risiedeva il demone. Prese l’ascensore che lo portò direttamente al piano e si incamminò fino alla sua porta blindata.
Sembra che non sia stata scassinata, pensò, con sollievo. Suonò al campanello, ma nessuno gli venne ad aprire. E se fosse stato dentro ma incosciente? Riecco le paranoie. Con un piccolo schiocco la porta si aprì, miracolosamente, facendolo piombare dentro con impazienza. Nulla, assolutamente il nulla più assoluto. Nella penombra riuscì a vedere che tutto era al suo posto: le piante verdi e splendenti nel loro angolo, la bozza della Gioconda che celava la cassaforte era integra e la stanza era impeccabile, come sempre.
La prima reazione che ebbe l’angelo fu di totale sollievo: Crowley non era stato attaccato in casa, ma ciò poteva significare che era stato catturato in un’imboscata.
Osservò meglio l’ambiente che lo circondava: sembrava tutto a posto, se non fosse stato per la porta del suo studio, chiusa. Si avvicinò e bussò per cortesia, rivelandola vuota; abbassò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave. Si rabbuiò, cosa aveva di così prezioso da nascondere in quel luogo? Ci pensò su, combattuto nel fare sicuramente la scelta sbagliata, ma ormai era curioso e determinato di sapere cosa si celava là dentro. Schioccò di nuovo le dita, aprendo la stanza. Trovò un semplice studio, con mobili in rovere ed una poltrona, con una scrivania dello stesso legno e piena di libri sparpagliati di sopra.
Ma... lui non leggeva.
Girò verso la poltrona, leggendo i titoli delle varie copertine, rimanendo sorpreso e quasi sconvolto.
Nietzesche, Baudelaire, Allan Poe… che diamine..?
Più leggeva, più si sentiva confuso. Che il suo amico stesse avendo una sorta di crisi del 6 secolo?
Trovò tanti fogli bianchi, ma anche matite, sopra quel tavolo, di grandezze e spessori diversi, molto utilizzate, pensò.
Cercò di focalizzarsi su altro, continuando a guardarsi attorno. Non c’erano librerie, ma solo un’enorme finestra dietro di lui che dava luce a tutta la stanza. Quando abbassò lo sguardo notò che i cassetti non erano chiusi del tutto. Una sbirciatina non avrebbe offeso nessuno, no? Si domandò, ma stavolta esitò. Aprire quei cassetti avrebbe significato invadere la sua privacy, più di quanto lui si permetteva di farlo in tempi di pace. Aveva sfiorato il pomello, senza muoversi; prese un respiro, aprendolo parzialmente, perché unapresenza davanti a lui lo portò a fare un balzo all’indietro, colto in fallo ed in pieno delitto.
- Cosa stai facendo, angelo? –domandò duro ma terribilmente calmo Crowley, con le braccia incrociate al petto e la schiena poggiata alla porta di quercia scura.
Aziraphale non sapeva che dire; era stato uno sciocco già solo forzando la porta d’ingresso, ma aveva terribilmente esagerato entrando anche in quella stanza personale, curiosando sempre di più.
- C-Caro! – esclamò con voce squillante – ero preoccupato! Sono quasi 48 ore che non ti fai sentire! –
- Ho avuto da fare –
- Ma almeno una telefonata… mi hai fatto stare in pensiero! – ammise l’angelo, rimanendo immobile, con le gote arrossate ed i battiti a mille.
- Così in pensiero da piombarmi, anzi, scassinare casa mia ed impicciarti nei miei affari? – la sua voce non era che un ringhio basso – questo è il miostudio e tu non dovresti essere qui –
- Mi dispiace caro – abbassò lo sguardo, colpevole – ma volevo solo…-
- Impicciarti, come al solito, angelo. Fuori – lo bloccò il demone.
- Come? –
- HO DETTO FUORI! –esclamò, aprendo il braccio, intimandogli di farlo.
Quel suo gesto dovette avere terrorizzato l’angelo, che uscì dallo studio e da casa sua in pochi secondi, prendendo pure le scale; e lui non faceva mai le scale, non andava nemmeno a correre.
Pochi minuti dopo era all’ingresso principale del palazzo, ansante, sudato e del tutto mortificato. Aveva una sola domanda: perché aveva reagito in quel modo?
 
 
 
Lo aveva letteralmente cacciato. E terrorizzato. Ma erano dettagli che al momento passavano in secondo piano. Crowley si avvicinò alla scrivania, guardando i cassetti aperti per metà. Quell’angelo ingenuo e invadente non era riuscito a vedere nulla, solo grazie ad un suo provvidenziale intervento. Li aprì e prese i fogli tra le mani, sedendosi stancamente sulla poltrona; quello era il suo tormento più grande, la sua ossessione più profonda. Non sapeva quanto ancora avrebbe resistito e soprattutto, quanto sarebbe riuscito a tenere alla larga Aziraphale da lì.
 
 
L’angelo tornò in libreria, con l’umore a terra. Avrebbe dovuto chiedergli scusa per anni, per farsi perdonare da lui. Non sopportava essere trattato male, ma quella volta se lo era proprio meritato, solo che… lo sguardo che aveva visto in quelle iridi dorate lo avevano destabilizzato. Paura? Stentava a crederci. Crowley non ne aveva e quando succedeva la nascondeva dietro un sorriso ironico e frasi senza senso. Era sempre più preoccupato per lui, perché gli voleva bene, si sforzò di dire. Strinse un pugno, amareggiato. Nell’ultimo periodo pensava costantemente a come sarebbe stato se fosse stato un essere umano normale, ignaro dell’esistenza del Paradiso e dell’Inferno, senza obblighi morali ed etici. Stava peccando di presunzione, lo sapeva, ma lui non aspirava a divenire più potente, tutto il contrario. Sospirò, alzando gli occhi al soffitto. Sia fatta la tua volontà.

Angelo dell'autrice:
Ehm.. salve ancora!
Premetto che questo capitolo non doveva svolgersi così, ma Youtube ha messo in loop canzoni tristi.. date la colpa a lui.
Non sono pienamente soddisfatta del risultato, ma non sapevo come aggiustarlo ancora, spero solo che sia decente.
Questo capitolo doveva uscire diversi giorni fa, ma eccolo qua.
A presto,
R.

Di libri curiosi e litigi imbarazzanti - alle prese con la sessualitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora