Cap 18

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Cap 18

E' mattina. Il risveglio mi trova incapace di localizzarmi spazialmente in modo veloce e corretto. "Dove sono? In quale letto mi trovo? Che ore sono?" L'orologio del cellulare indica le 4.08 e un leggero russare mi avverte che non ho dormito da sola.
Mi alzo in silenzio per non svegliare nessuno e mettere ordine nei miei pensieri. Cosa affronto oggi? Sarà un confronto decisivo, sono più che determinata ad affrontare l'argomento separazione. Non posso usare le prove dei messaggi trovati da Veronica per non metterla nei guai. Posso però farlo io. L'imbeccata ce l'ho, devo solo trovare il coraggio di cercare nel cellulare di Paolo.

Arrivo in cucina e anche se è presto decido che mi serve la caffeina per rendere lucidi il cervello e conseguenti pensieri. Con la tanto amata tazza in mano mi avvio verso il salotto. Solitamente è sul divano che Paolo abbandona il suo iphone.
Così è infatti. Prendo il cellulare ed entro in WhatsApp. Cerco "Ditta vernici" e un mondo parallelo mi appare. Per timore che la chat venga cancellata mi inoltro almeno quei messaggi che mi sembrano più significativi e compromettenti. Non ho finito del tutto quando ...
- Cosa stai facendo? – tuona Paolo alle mie spalle.
- Avevo bisogno del cellulare e guarda che sorpresa ho trovato – rispondo io – ti fai la Ditta vernici adesso?
- Non dire stupidaggini – dice cercando velocemente scuse da abile bugiardo qual è
- Non dico niente a vanvera – continuo ora più che mai pronta a concludere – questa è la dimostrazione che i tuoi tradimenti sono continuati e che la stupida sono sempre stata. E pensa che ci stavo ricascando.
- Ti ripeto che è solo una questione di sesso con le altre. Io amo solo te, per la miseria.
- Ma di quale amore parli? Non solo la Laura di Petrarca, io. Se non sei capace di tenerlo nei pantaloni non parlare di amore con me.
- Adele smettila, finiscila per favore.
- Oh no, non finisco proprio. Nei prossimi giorni parlerò con l'avvocato e voglio avviare la pratica della separazione.
- No, io non voglio. Già ora mio padre mi dà il tormento in azienda, figurati se facciamo una cosa del genere.
- A me non interessa proprio cosa può pensare la gente di questo paese. Falsi e bacchettoni come sono avranno di che parlare. Penso di andare per un periodo a Venezia da Veronica fino a quando le chiacchiere scemeranno. Poi vedrò di trovarmi un lavoro.
- Ma cosa dici? Finiscila. Il tuo posto è qui. Tu non ti sposterai da questa casa. - sentenzia.
- Lo vedremo – così dicendo mi alzo e mi avvio verso la camera.
Una mano però mi ghermisce e una scarica di ceffoni mi colpisce con violenza. Un labbro a contatto con la pietra dura del suo anello si spacca e comincia a sanguinare. Mi libero a fatica e corro in bagno. Mi chiudo dentro e cerco di pulire il taglio con un asciugamano bagnato.
- Apri questa porta maledetta. - grida in ripetizione alzando sempre di più il tono della voce.
- Scusa, scusa, scusa. - ripete – non volevo farti male. Lascia che entri. Ti voglio solo aiutare. Lo sai che quanto mi arrabbio non capisco più niente.
Mi lascio cadere scivolando con la schiena lungo la porta, come a mettere un ulteriore ostacolo. Sento le lacrime scendere lungo le guance, non riesco a capire se piango per il male fisico o per il malessere interiore che sento montarmi dentro.
- Vai via, vai via, vai via – grido, ma più lo ripeto tra i singhiozzi, più si affievolisce la voce.
- Ti prego scusami, non volevo farti male – dice attraverso la porta. Sento che anche lui si lascia andare a terra. - Mi dispiace, davvero, mi dispiace. Perdonami.

Restiamo così, schiena contro schiena, divisi solo dal leggero legno della porta per molto tempo. Poco alla volta i singhiozzi si calmano e si trasformano in un pianto leggero. Alla fine sento che si alza, è tempo di prepararsi per andare al lavoro. Lo sento uscire e avviare la sua auto. Dovrà trovare anche una scusa per giustificare la mia assenza. Proprio non mi importa.

Mi alzo e mi guardo allo specchio. Faccio schifo, il labbro si sta gonfiando anche se ha smesso di sanguinare. Fra poco si vedranno i lividi e penso sia meglio che io sparisca prima che arrivi la domestica. Sarebbe una perfetta testimone, ma non sopporterei la sua commiserazione.
Entro in camera, prendo il trolley che non ho neanche svuotato e controllo l'orario dei treni. Tra quaranta minuti passa il locale diretto a Venezia. Giusto il tempo di comprare il biglietto e partire. Inforco gli occhiali da sole, mi proteggeranno da sguardi indiscreti durante il viaggio.

Lascio l'auto, che si sa non è intestata a me, nel parcheggio della stazione. Potrà sempre recuperarla con la seconda chiave quando vorrà. Non voglio niente che sia suo. In camera sul comodino ho lasciato gli anelli e la fede. Sarà chiaro il messaggio? Mi lascerà in pace? Interferirà, come al solito, mio suocero? I miei come la prenderanno? Decido che non è un mio problema immediato e se preferiscono i soldi a me non mi meritano.
Solo quando sono salita nel treno mi sento sicura e mi accorgo che ho ripreso a respirare normalmente e non ad ansimare. Prendo il cellulare e mando un messaggio a Veronica: "Sono sul treno e sto arrivando".
Un minuto dopo laconica la sua risposta: "Ti aspetto".

E' quasi mezzogiorno quando arrivo alla stazione di Santa Lucia. Esco e scendo la scalinata con calma e sono quasi travolta da un gruppo di maschere. Oddio è tempo di Carnevale. Sarà la solita bolgia in questi giorni. Meglio così, tra la folla cercherò di seminare i miei pensieri se non proprio dimenticarli.

Alla fine della scalinata mi raggiunge Veronica, tutta trafelata dopo le lezioni del mattino.
- Oddio. Mamma cosa è successo? - mi chiede preoccupata
- Il solito. - rispondo io rassegnata – Posso restare qualche giorno da te?
- Certo che puoi stare da me. Ora chiamo Marco e lo faccio venire a cena. Avremo modo di parlare di questa storia. Non puoi continuare così. Deve finire di maltrattarti. Cosa crede di risolvere con la violenza.
- Lo so. Non vuole accettare la separazione. Per questo tuo padre mi ha picchiato. Secondo me ha paura del nonno. A me non importa più niente. Non c'è nulla da salvare. Voi siete grandi e noi comunque, anche se divisi, saremo i vostri genitori.
Ora però andiamo a casa. Sono stanca.

Squilla il mio cellulare, guardo il display, è Paolo. Non rispondo. Dopo pochi secondi squilla quello di Veronica. Ancora Paolo. Non risponde. Ricomincia il mio e poi quello di Veronica. E così di seguito. E' ora di pranzo e sarà tornato a casa per mangiare. Si sarà accorto che non ci sono e forse si starà preoccupando della mia assenza. Meglio rispondere.

- Dove sei?- chiede allarmato.
- Ti avevo detto che sarei venuta a Venezia, ho lasciato l'auto nel parcheggio della stazione. Vai a recuperarla con le altre chiavi, così non darà nell'occhio. - rispondo nel modo più neutro che riesco.
- Vengo a prenderti – afferma con sicurezza.
- Non torno a casa con te – ribadisco con fermezza – risparmiati il viaggio. Io resto qui.
Senza dargli la possibilità di ribattere, chiudo la telefonata e mi metto nuovamente a piangere sommessamente.

Adele.  I conti con il passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora