«Cazzo, aspetta!» la voce del gigolò cambiò tono, da dolce e devastata passò a diventare terrorizzata e quasi in ansia, seria. Yoongi si girò togliendo la mano dalla maniglia, osservò la figura dell'altro ormai mutata, ormai senza quella maschera che aveva in realtà tenuto o, meglio, aveva trasformato.«Aspetta...» Jimin si passò le mani tra i capelli «Non posso continuare così». Yoongi avrebbe voluto andarsene, ma la curiosità batté la bellezza artistica del momento, così fece un passo verso di lui, crucciando il volto confuso e aspettando di sentire altro.
Gli occhi del moro fissavano un punto tra loro, a terra, senza riuscire a risalire sul volto dell'altro: «I-io...» si morse il labbro inferiore «Cazzo, non so nemmeno come dirlo».
«Dillo e basta.» rispose il maggiore, ancor più curioso e leggermente spaventato dalla sua reazione. Sebbene ipotizzasse fosse una scusa per tenerlo lì e convincerlo, la sua espressione e la sua voce gli impedivano di esserne sicuro.
Tutto si fece statico, poi Jimin trovò il coraggio: «Mi hanno pagato per farti innamorate di me».
Yoongi rimase immobile per un solo istante poi il suo volto cambiò repentino; gli occhi si spalancarono, la bocca si aprì e la pelle diventò ancora più bianca: «Cosa?» chiese boccheggiando per un istante a vuoto e scuotendo il volto «È uno scherzo?»
Jimin sembrò sparire, il viso si ritirò nel collo, il corpo sembrò nascondersi dietro le braccia incrociate, lo sguardo andò a finire su un punto a fianco all'artista; il gigolò sembrava provare in ogni modo a diventare invisibile, senza riuscirci: «E-ecco io...» si morse il labbro inferiore, non tornò con gli occhi su quelli neri dell'altro «Mi... dispiace, io...» senza parole e senza nessuna scusa perché non servivano parole per spiegare cosa fosse successo e non vi erano scuse per far si che potesse essere perdonato.
«Quindi tutta questa storia del fatto che fossi innamorato di me, le lacrime e il venire con te erano stronzate?» il maggiore rimaneva sulla porta, fissando l'ex-amante, con la bocca ancora spalancata e le braccia a peso morto ai fianchi, senza saper bene che fare.
Jimin deglutì, si strinse ancor di più in quel solitario abbraccio: «Vorrei davvero tu venissi con me...» e avrebbe preferito mille volte che lui gli urlasse in faccia, lo prendesse a schiaffi o se ne andasse, ma non quel silenzio successivo, quel rumoroso silenzio durante il quale sentiva il suo sguardo pungergli il volto «Penso che potremmo davvero... Cioè, se noi uscissimo assieme f-forse...»
Yoongi sentì la rabbia ribollirgli in petto, si sentì usato, si sentì preso in giro e, soprattutto, si sentì stupido. La vergogna coprì ogni cosa, anche l'insensato odio che avrebbe dovuto provare, facendogli diventare il volto rosso improvvisamente, facendogli abbassare lo sguardo, facendolo boccheggiare nel silenzio nullo.
L'unica cosa di cui era certo, Yoongi, era che mai più in vita sua avrebbe voluto vedere quel ragazzo a pochi metri da lui, che sarebbe voluto scappare, avrebbe voluto dimenticarsi di tutti quei giorni insieme, di ogni bel momento, far finta che nulla fosse mai successo; avrebbe voluto, ma qualcosa di più importante andava chiesto: «Chi è stato?»
Jimin sgranò gli occhi e trattenne il respiro, improvvisamente sentì il peso delle sue decisioni sulle spalle, più che negli ultimi giorni. Non avrebbe dovuto accettare quel lavoro, non avrebbe dovuto continuare a stare insieme a lui, non avrebbe dovuto accettare i soldi. Non si era di certo innamorato di Yoongi, ma aveva capito che persona fragile fosse, aveva capito fosse nei guai e che ciò che aveva fatto l'avrebbe potuto distruggere. Non avrebbe dovuto dire nulla, non avrebbe dovuto rispondere alla sua domanda, ma il senso di colpa lo fece cedere: «Tuo cognato.» sospirò, chiuse gli occhi «Il fratello di tua moglie».
Yoongi chiuse la bocca lentamente, portò le mani ai capelli e li tirò con forza, nervosamente: «Seokjin?» non seppe neppure perché lo chiese dato che sua moglie aveva un solo fratello, ma l'annuire di Jimin gli fece perdere ogni speranza «P-perché?»
Jimin deglutì, riaprì gli occhi e, ancora, continuò a fissare un punto senza riuscire a guardarlo in faccia: «N-non lo so Yoongi, i-io...» si bagnò le labbra lentamente, con la punta della lingua «Non l'ho chiesto».
Rimasero immobili in una nebbia statica di pensieri confusi, veloci, impossibili da elaborare, non in quel momento, non insieme, non senza starci male. Jimin non alzò lo sguardo, ma fece un passo avanti, e sebbene Yoongi non lo stesse guardando lo sentì muoversi e lo intravide avvicinarsi a lui: «Non ti avvicinare cazzo.» fece un passo indietro, sbattendo la schiena contro la porta d'ingresso, continuando a tenere le iridi nere puntate sul pavimento, così come l'altro teneva i finti occhi azzurri incatenati al muro.
«Va bene, va bene.» alzò le mani e fece un passo indietro, deglutì «Senti... Lo so che ho sbagliato e che n-non dovevo fare una cosa del genere ma...» boccheggiò nel vuoto, cercando parole che non sembrassero vuote, senza trovarle «Vieni con me davvero, in un posto dove non dovrai mentire su chi sei, sposare una donna che ti odia e con un cognato che cerca di toglierti di mezzo!»
«Non parlare di me, non far finta di sapere cosa sia meglio per me...» rispose in un sospiro, stanco, mentre la testa cominciava a dolergli, mentre lo stomaco continuava a stringersi.
Non c'era via d'uscita, tutto ciò che c'era stato tra loro – finto o vero che fosse – era terminato lì, in quella stanza; entrambi se ne resero conto nello stesso istante e, entrambi, seppero che non c'era più nulla da dirsi per provare a salvare il loro nulla.
«Gli dirai che te l'ho detto?» la voce di Jimin sembrò più fredda, più seria, ma i suoi occhi continuarono a provare vergogna, a fissare il muro.
«Perché? Non ti paga altrimenti?» sbuffò una risata dalle narici, ma il silenzio successivo sembrò un assenso alla sua ironica domanda e la sua espressione si incupì «Ah, bene, vuoi pure che ti faccia il favore di farti guadagnare a mie spese...» si morse il labbro inferiore, rimase immobile per un istante, poi tutto successe all'improvviso: Yoongi tirò il portafoglio fuori dalla tasca, lo aprì ed estrasse le banconote così velocemente che quasi rischiò di strapparle, gettandole poi per terra «Scusa, non sono molte, preferisco la carta di credito».
Jimin rimase immobile, ma entrambi sapevano che quando lui se ne sarebbe andato le avrebbe raccolte; perché tanto ormai non aveva più vergogna di niente, ormai non sentiva di avere più un orgoglio.
Yoongi si girò e, di nuovo, poggiò la mano sulla maniglia e, di nuovo, la voce di Jimin alle sue spallo lo bloccò: «Yoongi...» il cuore che batteva nel petto di entrambi fu l'unico rumore che sentirono «Stai attento, io lo chiamerò per dirgli che non hai accettato di venire con me... Ti prego, mi è sembrata una persona pericolosa...»
Forse se si fosse girato, se lo avesse guardato e, per caso, Jimin avesse alzato lo sguardo allora avrebbero potuto guardarsi finalmente senza filtri. Forse se Jimin gli avesse davvero chiesto scusa e Yoongi gli avesse chiesto il perché avesse accettato, avrebbero potuto capire la situazione, perdonarsi. Forse se a uno dei due fosse importato più dell'altro che di sé stesso avrebbero potuto anche provarci.
I loro occhi non si incrociarono mai, i loro cuori rimasero chiusi e i loro bisogni vennero prima di ogni altra cosa.
Yoongi non rispose, aprì la porta e scese le scale, lasciandosi dietro tutto quello che aveva vissuto e provato, ogni minuto di vero sé stesso, ogni senso di libertà; fu veloce, l'artista, a pitturarsi dietro le spalle un muro di tempera che, però, era più duro del diamante. Mai più, di questo ne era sicuro, avrebbe fatto entrare qualcuno nella sua vita, non così. Avrebbe continuato a vivere nella menzogna.
Si rimise la maschera sul volto, ma la sentì debole e crepata, la sentì distruggersi per metà perché capì in quel preciso istante, quando mise piede fuori dal palazzo e si ritrovò in strada, che non c'era mai stato e mai ci sarebbe stato qualcosa di peggio e di meglio di Park Jimin nella sua vita, distruttore e assolutamente completante insieme.
Se fosse stato coraggioso, se avesse davvero amato l'arte in ogni sua forma, in ogni sua libertà di pensiero, allora si sarebbe girato, avrebbe perdonato ogni cosa e sarebbe andato con lui o, forse, sarebbe semplicemente scappato da solo. Ma Min Yoongi non era coraggioso, non lo era mai stato.
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Red Light District
Fanfiction{Conclusa} Min Yoongi è un famoso pittore coreano, la sua fidanzata una donna di successo, figlia del proprietario di una grossa multinazionale. I due, ormai dopo una relazione duratura, stanno per sposarsi e il giovane artista, insieme al suo amico...