Capitolo 2: Salute

1.5K 106 42
                                    

John vide Sherlock muoversi; si stava svegliando.
Il dottore lo fissò; vederlo così naturale, senza quella solita maschera di indifferenza e priva di emozioni gli fece sciogliere il cuore, provando il doppio dell'affetto.

Il detective si strofinó piano gli occhi e si alzò dal divano: guardò la coperta, poco dopo il coinquilino, deducendo che gliela avesse messa lui.
Ne fu felice al pensiero.
Diede un'occhiata all'orologio, poco dopo un'ulteriore sguardo verso il dottore. Accennò un sorriso e poi si diresse verso la cucina.
«Mi hai guardato, non è così?» chiese punzecchiandolo, mentre preparava il tè.

«Bè» iniziò John «Ti ho visto dormire ed ho pensato ti avrebbe fatto piacere una coperta. Però, tranquillo, non ti sono stato a fissare» scherzó il dottore.

«Sono andato a dare una mano alla signora Hudson, sono arrivato ora»

Che bugiardo. Ma a Sherlock piaceva.
Gli piaceva la naturalezza che usava nell'inventare scuse.

Per lui John non aveva segreti. Nessuno li aveva! Lui leggeva le persone come se fossero libri aperti, gli bastavano pochi minuti -a volte secondi!- per capire il carattere e la vita di una persona. Ma John era speciale. Era suo amico, il suo unico vero amico, quindi si impose di non "leggerlo" e di guardarlo con occhi diversi, con occhi che volevano soltanto godere dei momenti.

Ovviamente, questo obbligo a volte non veniva rispettato.

Sherlock non capiva perché il suo coinquilino lo coprisse di gentilezze, come per esempio quel giorno con la coperta. Che fosse solo cortesia? Che volesse fargli capire che gli voleva bene? A lui non importava perché gli piacevano quelle attenzioni. In passato si era imposto di stare lontano dalle emozioni, talmente tanto che piano piano le eliminava, dimenticandole, e quando riaffioravano non riusciva a catalogarle e si limitava ad ignorarle. Affermava infatti di essere disgustato da tutte le emozioni, in quanto rappresentavano uno svantaggio pericoloso, portando solo alla sofferenza. Inoltre per lui erano totalmente irrazionali e inutili, come la polvere in uno strumento delicato o come l'incrinatura sulla lente.

«Ecco» disse Sherlock porgendo a John una tazza di tè caldo e mettendosi successivamente a sedere sulla sua poltrona. John lo ringraziò con un cenno, sorridendogli amichevolmente. Sherlock lo guardò, accennando un sorriso che però si spense dopo aver notato il giornale sistemato sul tavolino, probabilmente portato dal dottore, ed iniziò a leggerlo con foga.

«Ancora niente» affermò rassegnato il dottore, portandosi alle labbra la tazza.

«Come?»

«Non hanno scoperto ancora niente sul caso Sherlock! Non troverai nulla su quel giornale. Non credi che se Lestrade avesse scoperto qualcosa ci avrebbe avvertiti?» rispose esausto.

«E' passato troppo tempo» si difese l'altro. Stava per iniziare a pronunciare una delle sue solite liste su tutti gli aspetti negativi sulla lentezza nel risolvere i casi ma il dottore lo interruppe di colpo.

«Sherlock, so che ci metti tutto te stesso nel risolvere i casi, davvero, ma....non puoi farlo con questi ritmi!»

«Ma questi sono i miei ritmi!»

«No Sherlock!» intervenne il dottore con tono deciso e autorevole «Non è normale quello che fai! Non mangi, non dormi.... non ti curi di te stesso solo per stare dietro ad un caso! Non dico che dovresti smettere ma.... cavolo accetta i tuoi limiti!»

«Perché tanta preoccupazione?» chiese il detective scocciato incrociando le braccia, anche se, in cuor suo, era curioso della risposta.

«Perché?» chiese sorpreso «Perché il tuo corpo ha bisogno di nutrirsi, di riposarsi.... sono bisogni primari! Solo soddisfandoli potrai risolvere al meglio i casi, concentrandoti di più e senza quei tuoi....attacchi di noia....che mi rendono la convivenza con te impossibile» disse finendo la frase in modo ironico, alleggerendo la solita predica.

John sapeva che Sherlock non lo avrebbe ascoltato, che non avrebbe voluto sentire i suoi discorsi da dottore iper-preoccupato -come lo definiva poeticamente in queste situazioni- e che avrebbe fatto, come sempre, di testa sua. John lo sapeva. Sapeva che al detective dava fastidio questa sua costante preoccupazione, ma voleva provare. Voleva provare a fargli cambiare idea, voleva provare a fargli capire che se era così insistente e tedioso su certi argomenti era perché ci teneva a lui e perché non voleva si sentisse male. Era un medico, sapeva quali potevano essere gli effetti sul suo corpo.

Sherlock rimase in silenzio per alcuni minuti fissando il coinquilino negli occhi, percependo il suo dispiacere.

«Hai ragione» disse inaspettatamente, distogliendo poi lo sguardo, facendolo vagare successivamente su punti indefiniti del camino.

«Cosa?» chiese stupefatto il più grande; non si aspettava davvero quella risposta, o forse la sperava a tal punto da ritenerla impossibile, ma invece....

«Hai sentito benissimo» ribadì il detective cercando di trattenere il sorriso che gli si stava formando sulle sue labbra «Lo sai che odio ripetermi»

John lo guardò stupefatto: credeva fosse lui quello che stava dormendo. Sherlock notò lo stupore -e la frustrazione- nella faccia del soldato.

«John lo so benissimo questo, non serve che tu me lo ripeta ogni volta» affermò in tono seccato l'investigatore, come a voler incominciare una predica a sé stesso.

«Ma....» lo incitò l'altro, come per fargli ammettere i suoi torti.

Il piú giovane lo guardò alzando un sopracciglio.

«Ma sai già che non ti darò retta, quindi arrenditi» concluse in tono ironico e si alzò dalla sua poltrona, fermandosi ai piedi del divano, davanti alla grande mappa che ormai si era riempita di puntine, immagini e molteplici fili rossi che le collegavano a vari luoghi di Londra.

«Che stai facendo?» mugugnò il dottore.

«Questa conversazione mi ha fatto venire voglia di riprovarci. Magari è la volta buona» rispose, portandosi le mani giunte sulle labbra.
«Il puzzle è quasi completo, mancano solo alcuni pezzi da collegare.... e dopo di che....»

«Sei sempre il solito!» lo ammonì scherzosamente John, alzandosi dalla poltrona ed dirigendosi verso il piú giovane.
«Posso fare qualcosa?» Proprio mentre finì di pronunciare la frase arrivò un messaggio al detective da parte di Lestrade:

Forse abbiamo scoperto qualcosa. Vieni appena puoi.

John vide formarsi un sorriso nel volto del detective, e ne intuì la ragione.

«John la noia è finita. Il gioco continua»

Cosa dice il tuo cuore? [Johnlock]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora