Capitolo 12: Supposizioni

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[Sherlock's point of view]

Arrivato alla porta d'ingresso si sentì gli occhi del più giovane addosso. Girò lentamente il volto e vide che il più piccolo lo stava guardando preoccupato da metà scala.
«Ti prego, non immischiarti» disse, prima di chiudere la porta dietro di lui.

La porta si chiuse normalmente ma in quell'appartamento il moro iniziò a percepire uno strano senso di colpa e solitudine.  Senza proferire parola decise di tornarsene silenzioso al suo piano, per analizzare quella strana sensazione che lo attanagliava.

«Oh cielo Sherlock, è successo qualcosa?» chiese preoccupata l'anziana donna, che uscì dal suo alloggio a causa delle urla di John.

Il detective si fermò sul posto e girando la testa rispose pacatamente con un "non lo so" continuando poi la propria salita al primo piano. Arrivato in salotto si buttò immediatamente sul divano con le mani, come d'abitudine, giunte in mezzo alle labbra carnose.

Iniziò a riflettere. 

Lui si era sempre imposto di non analizzare il coinquilino come faceva con le altre persone poiché lui era diverso. 
Erano simili, persone diverse dai normali standard a cui piaceva l'adrenalina del mondo poliziesco. 

Si rese conto che quella mattina gliene aveva dette di tutte i colori, non notando per giunta lo stato d'improvviso stress manifestatosi nel coinquilino.

Quale problema avrebbe mai potuto avere John? Perché  non gliene aveva parlato?

Sopraggiunse la frustrazione.

Il biondo ogni volta che era arrabbiato reagiva sempre alla stessa maniera: prima se ne stava zitto tra le sue per poi finire a sbrodolare tutta la faccenda al più giovane che nel mentre stava seduto sulla poltrona con le mani giunte oppure suonava piano il violino. Se la situazione era tanto grave non ci pensava due volte a sfogarsi appena messo piede in salotto senza neanche lasciare spazio a un saluto.

Il corvino venne interrotto dal rumore di passi che stavano salendo le scale, ma non aprì gli occhi.

«Cucù, è permesso?» chiese la governante «Ti ho portato dei dolcetti» disse con un dolce sorriso, posando il vassoio sullo sgabello di fianco alla poltrona del moro. Si avvicinò poi piano al divano in cui era steso il detective e con cautela cercò le parole giuste per iniziare un discorso.

«Signora Hutson lei è davvero prevedibile. Lo so che vuole parlarmi» esortò continuando a stare immobile sul divano «Avanti, dica»

«Oh Sherlock, non credere che non possa preoccuparmi per voi due! Non so cosa stia succedendo e sinceramente il colpo di questa mattina mi ha fatto davvero spaventare! So che litigate molto spesso -e chi darebbe mai la colpa ad un coinquilino che ti legge la vita per le varie parti del corpo sparse per tutta casa- però sento che questa litigata è diversa.»

L'investigatore aprì gli occhi e, dopo averle lanciato uno sguardo assassino per aver fatto riemergere la problematica dei vari arti nel frigo, rispose pacato «Vorrei saperlo anche io. Ma come dico sempre per risolvere un caso ci vogliono degli indizi, delle prove da analizzare e-» 

Improvvisamente spalancò gli occhi, interrompendo ciò che stava dicendo. L'anziana donna lo guardò dubbiosa.

«Non vorrai mica trasformare tutta questa faccenda in un caso.. vero..?» 

«Se mi permette di scoprire cosa cavolo lo sta rendendo così strano allora si! E poi» aggiunse «in questo periodo non ho alcun caso tra le mani.. dunque.. perché no!»

La donna rispose a quella affermazione con un altro sorriso genuino e si avvicinò al giovane posandogli una mano sulla spalla.

«Sai Sherlock, le persone non sono esatte quanto la scienza. Ci sono molti più aspetti da analizzare però sono sicura che con la tua intelligenza ce la farai» sorrise di nuovo  e, con molta calma, si diresse verso la porta «In più puoi anche considerarti una persona di ghiaccio, come spesso dice anche tuo fratello, ma secondo me puoi capire gli esseri umani meglio di chiunque altro, soprattutto John» concluse sorpassando l'uscita.

Sherlock era in mezzo al salotto. Iniziò a guardare fuori dalla finestra, riflettendo tra sé e sé sullo strano stato d'animo che si era impossessato dell'amico e sulle parole appena pronunciate dalla signora Hutson.

Non riuscendo a trovare alcuna risposta prese in mano il suo preziosissimo violino e iniziò a suonare. Con quella strana ed improvvisata melodia, riuscì a formulare una teoria.

NOTA AUTRICE
Ed ecco altra tristezza! Come avrete potuto notare i capitoli 11 e 12  sono solamente dei punti di vista, dei pensieri che i personaggi formulano per dare risposte a ciò che sta succedendo.

Non mi soffermerò a descrivervi le mie impressioni sui capitoli però vi spoillero soltanto che siamo quasi alla fine!  (^ω^)

Se avete notato la stessa immagine del cap 10 non preoccupatevi, l'ho cambiata all'ultimo perchè per caso ne avevo trovata un'altra su internet che poteva descriverlo al meglio. (Anche se l'idea originale era di mettere in copertina John, visto che è il protagonista, ma chissene, Sherlock che suona il violino è uno splendore!!! Sorry Jown 👉👈)

Al prossimo capitolo e, come di consueto ricordare, ⭐️💬!

😘😘😘



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