Capitolo 11. "Scapolo John Watson"

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[John's point of view]

Arrivato alla porta d'ingresso si sentì gli occhi del più giovane addosso. Girò lentamente il volto  e vide che il più piccolo lo stava guardando preoccupato da metà scala.
«Ti prego, non immischiarti» disse, prima di chiudere la porta dietro di lui.

La realtà che circondava il giovane dottore sembrò di colpo incupirsi; la strada in cui stava camminando senza una meta precisa era deserta e la maggior parte dei negozi chiusi.
Quella strada usava essere sempre molto trafficata da automobili di gente che andava a lavoro o che si spostava per necessità,  dagli autobus dall'inconfondibile colore rosso che regalavano vitalità alla carreggiata nera petrolio e dai soliti amati taxi vigili sui soliti segni di fermata. Anche i marciapiedi erano molto popolati. Si incontravano sempre nonni insieme ai nipotini, gente col cane, persone che correvano, impiegati in divisa che camminavano con lo sguardo fisso al telefono, gruppi di ragazzi, negozi aperti e bar la cui musica si poteva sentire anche da parecchi metri di distanza.

Era una strada di Londra completamente diversa.

Il biondo era afflitto, stanco e depresso. 
Il detective aveva capito i suoi pensieri, aveva intuito il suo problema. Durante quella passeggiata monotona a vuoto, John si chiese molte volte se l'amico aveva intuito la sua cotta. Una parte di lui era ferma sul "no" poiché non possedeva prove a sufficienza -il campo delle ipotesi era molto ampio- ma d'altro campo temeva il possibile "si".

"E se lo avesse capito dal mio commento al suo pezzo di violino? Da quella volta in cui lo sono stato a fissare come un perfetto idiota? Probabilmente quel giorno in cucina.. Oh, oppure magari quella volta sul taxi!" questi i continui pensieri che emergevano.

Più si ricordava, più si sentiva patetico.

Il comportamento umano è imprevedibile; per quanto una persona sia legata alla scienza e provi continuamente a fare ipotesi non riuscirà mai a trovare una risposta certa e universale ad esso.  
Sherlock però poteva anche non arrivare a comprendere a pieno le emozioni e i sentimenti ma sapeva leggere le persone: ogni azione, ogni movimento di troppo, ogni cambiamento corporeo. Ritenendosi già di per sé un libro aperto -cosa che durante l'infanzia gli veniva sempre sottolineata da amici, compagni di scuola e parenti- era quasi sicuro che il detective avesse scoperto lo scomodo segreto.  

Mentre camminava sfiorò con lo sguardo il suo orologio e gli diede un'occhiata.  Erano le quattro e venti. Avendo saltato pranzo la fame iniziò a farsi sentire e il nuovo obiettivo diventò la ricerca di un piccolo bar economico.

"Sono pure uscito con pochi soldi, che scemo!" si maledisse.

Girò l'angolo sulla destra ma si accorse di essere finito nella stessa via del ristorante italiano "Da Angelo", in cui era solito andare con il detective. Subito storse un po' il naso ma alla fine decise comunque di entrare -tra l'altro aveva iniziato una nuova attività con servizio bar solo in alcuni giorni della settimana.

Non fece neanche in tempo a superare la porta con tutto il corpo che Angelo gli si fiondò addosso.

 «Oh John che piacere rivederti, da quanto tempo!» lo abbracciò felice  «Vieni, vieni, il solito tavolo è libero»

 «Grazie Angelo» rispose cortese.

Prese in mano il menù color arancio pastello sul tavolo e lo esaminò per bene; vi erano moltissime scelte di dolci, merende salate e bevande.

 «Allora deciso?»

 «Prenderò una focaccia farcita e del tè, per favore»

 «Subito» replicò l'altro, sparendo dietro le pareti per poi ricomparire con l'ordinazione sul vassoio. Posò il tutto ordinatamente sul tavolo, però non andò via come fece precedentemente.

 «E' proprio vero che sei solo tu!» iniziò, mettendosi a sedere nel posto libero di fronte al dottore.

 «Cosa?»

 «Di solito venivi sempre con Sherlock. Mi fa strano vederti da solo. Avete per caso avuto qualche litigio? Qualche incomprensione?»

 «Ah emm no, tutto nella norma. Oggi avevo voglia di uscire un po', sai anche tu quanto è dura stare chiusi in un appartamento con lui che si agita in continuazione perché è a corto di casi!»

Angelo si mise a ridere.  «Bè fortunatamente non conosco questo suo lato. Tu sai sicuramente più cose di me riguardo a lui ma dimmi, come stanno andando i casi? Ne avete risolto altri ancora non raccontati nel blog?»

Angelo era una persona molto vivace con l'inconfondibile carattere napoletano: allegro, divertente e con una parlantina molto vispa. John da puro inglese a volte non capiva il perché di tutta quella felicità che emanava però considerava il ristoratore come un amico di famiglia ormai. In più si dimenticò completamente dei suoi problemi perché parlando con lui si finiva a discutere dei più disparati argomenti. Il tutto si prolungò fino alle cinque e mezza. 

 «Sono stato benissimo oggi, grazie infinite della compagnia» ringraziò il biondo.

 «Non preoccuparti, sai sempre dove trovarmi. Salutami Sherlock e digli anche a lui di passare più spesso. Magari a una pizza non saprà rinunciare»

 «In realtà ci rinuncerebbe senza problemi ma grazie, gli riferirò tutto. A presto!»

Si mise di nuovo a camminare diretto questa volta all'appartamento. Sulla via del ritorno iniziò a ripensare ad alcune frasi dette da Angelo: «E' proprio vero che sei solo tu!» «Di solito venivi sempre con Sherlock. Mi fa strano vederti da solo.»

Perché non poteva essere normale il fatto che lui entrasse da solo in un bar? Perché doveva essere sempre considerato come l'ombra del più giovane?

Proprio così: un ombra, una spalla. Ecco come si sentiva.

Un ricordo emerse prepotentemente, come a voler sostenere le considerazioni di sé stesso appena affermate. Si ricordò di quella volta che aprì il giornale per leggere le varie notizie, burlandosi poi con Sherlock per la foto stampata in copertina che lo ritraeva con il cappello da caccia che gli era stato regalato dai vari membri di Scotland Yard, divenuto poi il suo simbolo. Nel corpus dell'articolo il dottore notò una frase che lo dipingeva come "scapolo" di Sherlock. Ovviamente chiese spiegazioni al più piccolo che però lo ignorò,  impegnato com'era a capire come avrebbe dovuto usare il cappello appena ricevuto, paragonandolo addirittura ad un freesbie.

Era possibile che la sua figura non potesse esistere senza quella del giovane corvino?

"Bè stiamo sempre parlando di Angelo dopotutto,  lui ha sempre avuto quello sguardo malizioso nei nostri confronti"pensò, ma poi si bloccò di colpo. Non solo lui li aveva scambiati per fidanzati il primo giorno in cui si conobbero ma anche la Signora Hutson, il fratello Mycroft e sul suo blog ci furono alcuni  commenti -scritti da un vecchio amico e da sua sorella- che intuivano la stessa cosa, per non parlare poi dei dubbi di Lestrade sulla scena del crimine della "donna in rosa".

Il corpo rincominciò a tremare.

"E' tutto vero? Sto diventando matto? Io.. Io.. sarei.."

A differenza delle reazioni precedenti, alzò la testa, si sistemò per bene in posizione eretta e con i pugni stretti decise di marciare verso l'appartamento.

Non sarebbe tornato indietro da quella decisione.

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