Ho ucciso mia moglie. La mia vita da questo momento è mutata cromaticamente dal bianco al nero, dal bianco della colpevolezza più sciocca, al nero della notte, del più profondo e torvo baratro, in cui anche la disgrazia è invisibile, in cui non posso vedere nemmeno i miei sensi di colpa.
La amavo, anche troppo, nonostante il fiore del suo corpo fosse caduco e devitalizzato dalla bestia del tempo. L'ho pugnalata con furia ferina al cuore, il sangue zampillava copiosamente, ed io riuscivo a rammentare le notti in cui giacevo con lei, e per verificare che il suo tenero corpo fosse colmo di vitalità, appoggiavo il mio volto sul suo petto, in guìsa da udire la più soave melodia della vita.
Nonostante i ricordi gravidi di passioni, la tetra melma che genera esalazioni pestifere mi pervade e satura la mia anima sporca, invasa da sorci e luridi scarafaggi, aulente di miasmi.
Prima di ammazzarla le ho urlato, infiammato di dolore e mestizia: "Smettila di vivere, smettila di essere amata da me, o folle creatura, l'amore soffoca e degrada l'amante, perció ti soffocheró, per poter respirare un'ultima volta quest'aria che profuma di libertà, che sia nell'inferno più dolente o nel paradiso più fulgente. "
Poi è morta, e l'amore che mi rendeva un simbionte nel suo organismo muore in silenzio, e finalmente io danzo e volteggio in quell'aria e in quello spazio leggero, senza gravità, in cui posso lasciare che questo mio corpo sia solo un ponte verso l'ignoto e la convergenza degli eventi.L'amore mi ha degradato ineludibilmente, mi ha reso banale e squallido come questi rospi delle città, questi fantocci di carta pesta, col sangue marcio e comune, disprezzo la loro bontà, che cela solo menzogne e falsità, disprezzo l'amore che mi rende mortale, a causa di questo tempo vorace, che porta ogni ente con sé nella sua infinita linea orizzontale, disprezzo l'indifferenza e l'ipocrisia di chi osserva questo spettacolo come se non esistesse in questo mondo, disprezzo chi mi ha dato la vista, perché così sono condannato a vedere solo abissi e a sentire la vertigine dinanzi agli uomini, con la perenne paura di sprofondare nella loro città.
Adesso vivró come un cane, e precipiteró nell'orrore, nella più turpe dimensione, all'interno di un'edificio che ottenebra ogni porcheria che faró, vivrò di degradazione e godimento, talmente lubrico e disgustoso, da far ripugnare il più viscido dei porci. Sguazzeró nei liquami e trascineró il mio corpo per le strade come un corpo morto, con gli abiti fradici e pesanti, lasciando la mia bava sul cammino come una lumaca.
Adesso fate quello che volete del mio corpo, linciatemi, tagliate le mie membra fino a quando nemmeno la lama più affilata potrà dividere ancora la mia carne, fino a quando nemmeno il cane più affamato vorrà sbranarmi.
Non potrete mai vincere su di me, popolo indignato di iene, me ne frego dell'inferno e del paradiso, moriró nel piacere, grazie."Dove non si puó più amare, bisogna passare oltre."
Friedrich Nietzsche