LA LUCE E L'UOMO CHE TENTÓ DI SUPERARLA.

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Dal Sole immerso nel suo sangue dorato, zampillava tumultuariamente una lingua di fuoco veemente, che si diffondeva nello spazio vicino.
Oltre al caos del fuoco, dal grande astro precipitava un velo mielato di luce soffusa, che rivestiva il cielo morente, infondendogli un clima placido e amèno.
Ad osservare il gaudio color miele, concesso dal Sole, c'erano due giovani amanti, che attraverso il vetro della casa, a sua volta coccolato dal leggiadro aroma dell'aria, e ferito dai fasci di candida luce, menavano l'ultima frazione del dì.
I due giovani, leggermente affievoliti dai piaceri della carne, da poco saziati, si scambiavano con grazia, delle delicate effusioni, mediante dei graziosissimi baci sulle labbra e sul collo, concessi facendo una certa pressione con le labbra, in guìsa da lasciare l'impronta della propria passione sui corpi.
La ragazza era splendida, con la pelle vellutata e le movenze leggiadre, che le concedevano una forma divina, invece la sua vorace cupidigia di erotismo, la rendeva una fatal donna.
Il giovane uomo, invece, era un gioiello di ambizione, era colto e curioso, peró era anche disposto a concedersi voluttuosamente all'anelito di sesso della ragazza. Egli riusciva a domare la compenetrazione delle figure opposte di lei, ovvero l'angelo fulgente e il diavolo sensuale. Lui era seriamente pervaso dalla curiosità, che riteneva essere la fonte celeste della conoscenza e del piacere puro, e quindi soleva trascorrere le sue mattinate, alla ricerca dell'estremo, con la brama di voler smentire le verità assolute dell'universo, ritenute da lui una grande menzogna, una inibizione alla potenza geniale dell'uomo. Secondo lui, credere in una verità assoluta, significava mentire a sé stessi, incatenandosi in fondo ad un pozzo, in attesa che qualcuno venga a demistificare le nostre certezze, per incatenarci da qualche altra parte.
La sua vita era armonica, artatamente bilanciata tra l'amore ferino e selvaggio della fidanzata, e la compostezza e il rigore dei suoi studi, spinti anch'essi da una misteriosa curiosità passionale, contenuta all'interno dell'apollineo.

I due ragazzi si riposavano dinanzi al dí pigro, che stava per farsi avvolgere dalle ombre e dal silenzio gelido della notte. Lei era distesa in seno a lui, pensosa e sospesa in un vuoto, che le donava una leggerezza meravigliosa. Veniva accarezzata dalla mano candida e saggia dell'amante, che le sfiorava il collo e le guance, avvolgendola in un nucleo di affetto e dolcezza, come se fosse cullata dall'amore di una madre.
Subitaneamente il ragazzo deformó il suo viso, con una espressione di sollievo, alquanto misteriosa, poi balzó in piedi con gli occhi chiusi, e pronunció delle parole gravide di ardore e passione: "La senti tesoro? Una lieve pressione sul viso e su tutto il corpo? Una entità che riveste lo splendore divino di tutto ciò che esiste, e ci penetra? La senti tesoro?".
Lei, dopo queste parole, si trovó in una sorta di fascinazione ipnotica, esercitata dall'amante; ma nonostante ciò, ancora non capiva l'enigma del ragazzo, e perciò rispose ingenuamente: "Amore mio, che ragazzo romantico che sei! La bellezza e la tenacia del tuo corpo vigoroso, sono solamente il contorno di un'interiorità intrigante ed infinitamente sfaccettata! Ciò che permea la totalità dell'esistente, e che penetra nei nostri corpi, è l'amore nostro, vero? È l'eterno amore di noi due tesoro? ".
Egli rispose infervorato: " Anima mia, è oltre! È oltre! È ciò che rende possibile vedere il tuo corpo sfavillante, la tua natura policroma, equivalente a lei. È la luce! Luce! ".
Ella lo guardó gaudente e disse: " Che meraviglia! Lei concede senso alla vista, lei è vera! Siamo luce fulgida, velocissima e irraggiungibile dal resto del mondo! ".
Lui rispose con la voce che tuonó con veemenza: " Io amore, supererò la luce per te! Io, sconfinerò oltre le cose, oltre tutto l'universo! Voglio di più! Voglio portare la mia passione oltre le certezze assolute, oltre la luce!".
La ragazza commossa e confusa, tentó di dare senso a ció che aveva appena detto lui: " Amore, nell'artificiosità del linguaggio sei unico al mondo! La tua voce è erotica, è la tua passione tradotta in parole. Stiamo vivendo un amore da fiaba, negli ultimi anni non sono mai stata così bene. Che ne dici se facciamo ancora un po' di sesso? Poi prepareró una cena perfetta, con il lume della candela che ci riscalda i visi pallidi, poi passiamo il resto della notte intrecciati nei nostri profumi e nel nostro sano amore. Che ne dici? Amiamoci a velocità luce! ". Poi con un sorrisetto stampato sul viso, inizió a stuzzicare l'amante, che in preda ad un'amara emozione gridò al cielo: "Smettila! Ho appena detto di voler superare la luce, e te lo traduci come un artificio utilizzato per essere sensuale? Di solito siamo avvezzi a giocare con le parole, però questa volta io sono stato vero! Io, supererò la luce amore! Io non credo alle verità! Essere chiamato relativista per me è un dannato complimento, va bene? ".
Dopo questo intervento, ella tacque, inquieta e turbata dall'estrema ambizione che lo dominava.
Calò la notte.
La mattina, il Sole inondava di fibre luminose la casa, svegliando la dolce fanciulla dal sonno amaro. Alla porta c'era l'eroe, pronto per partire, dominato da un'ambizione di carattere velleitario, eccessiva per la realtà, eppure era lì, con una superbia tale, che pareva essere nato per superare la luce. Se ne andó, sotto le grida disperate e languide della fanciulla, che restava inerme e triste in quella casa, in quella debole, ma unica certezza...

Nuvole leggere, frammentate e sparse nel grande telo celeste, caratterizzavano il giorno dell'impresa, dell'oltrepassamento della luce.
Un'enorme navicella spaziale porterà l'eroe nello spazio siderale, e attraverso dei propulsori infinitamente potenti, giungerà fino alla regina delle velocità, per poi andare oltre.
La sua tenera amante, tormentata per questa impresa, andò nella stazione spaziale, per poter vedere mediante dei monitor connessi con dei sofisticati sistemi di osservazione spaziale, le gesta eroiche dell'amato.
L'universo era pronto. La maestosa navicella accendeva i motori e prese il volo, lasciando il cielo arso dal fuoco della tecnica. Superò velocemente l'atmosfera, dirigendosi verso le profondità dell'infinito. I sistemi di osservazione iniziavano a riprendere la macchina spaziale che accellerava progressivamente.
L'energia prodotta per proiettare quella macchina, era spaventosa, si manifestava con uno spaventevole bagliore perlaceo, che saturava il nero dello spazio abissale.
La velocità raggiunta era immensamente elevata, l'energia che lo spingeva era tale da soverchiare l'intera energia prodotta dagli uomini sulla Terra, andava oltre ogni realtà, verso l'inconoscibile orizzonte, oltre lo spettro. Dai monitor si iniziò a vedere il paradosso.
La navicella stava incrementando follemente la sua massa, fino a tendere all'infinito, man mano che si avvicinava all'eterno. Quella massa che incrementava, agiva in sintonia con lo stramaledetto cronòtopo che iniziava a deformarsi, come le carni al tatto, e più la massa aumentava, più la deformazione dello spaziotempo si accentuava. Dai monitor si vedeva questa massa gigantesca muoversi a rallentatore, a causa della profonda deformazione del tessuto dell'esistente. Lo spazio si accorciava e il tempo rallentava, con un'armonia onirica; c'era silenzio, ma pareva che ci fossero migliaia di stromenti diversi, che suonavano la stessa sinfonia.
La speranza di superare la luce, si dissolveva inesorabilmente, sotto le lacrime che ornavano il volto di lei. Silenzi profondi.
L'eroe all'interno della nave, non notava cambiamenti, ma si accorse che l'universo lo aveva rallentato, demolendo le sue aspettative.
Si rivolse al cosmo: " Che cosa sono dinanzi a te? O grande universo. Perché esisto se non posso conoscerti? Perché lo spaziotempo mi impedisce di superarti? Perché penso? Solo per essere cosciente della mia infinita nullità? Oppure penso, e quindi l'essere cosciente della mia nullità, mi rende inevitabilmente più grande di qualsiasi altra cosa esistente? Perché non vuoi farti conoscere? Che nascondi? Cosa occulti dietro l'oscuro mantello dello spazio aperto? Che cosa sei? Mi senti?
Ascolti la mia inquietudine, o sei indifferente a tutto? Oppure non esisti, vero? Perché dovrei credere nella tua esistenza, nella tua materialità se poi non riesco a vedere altro all'infuori della mia coscienza? Perché dovrei credere ad un oggetto che esiste in se per sé, senza alcuna prova? Non sono io stesso a percepirti? La percezione deriva dalla tua materia, oppure dall'idea in sé, che tramite la percezione diventa realtà? Non è solamente un presupposto arbitrario credere che esista una cosa in sé, un "noumeno"? Esiste solamente la percezione delle cose, che la mia coscienza ha, l'essere è la percezione delle cose, "esse est percipi".
Allora, perché devo disperarmi? Perché non ho superato la luce? Che sciocco che sono, non esiste la luce, solo l'idea della luce.
Lo spaziotempo non mi ha remato contro, nemmeno la massa, non esisteva nessuna impresa, non esiste la materia, essa è solamente qualcosa di astratto, invece sovente crediamo che le idee siano astratte e la materia no. La realta non esiste in sé, esisto solo "Io" che guardo la realtà.
È tutto una menzogna, tranne questa stessa affermazione, ero solamente un credulone, nel presupporre che esistesse qualcosa in sé. Non mi fido più nemmeno dell'artifizio della mia parola, dell'amore della mia donna, e della gente. Non esiste nulla all'infuori della mia coscienza.
Credevo di essere relativista, adesso sono più scettico invece, non credo nella realtà. Esiste solo lo spirito, l'idea delle cose.
Chi crea le idee, se non esiste materia?
Dio? Non lo so. Sento solo una grande angoscia dinanzi alla totalità del nulla.

La storia è finita nell'angoscia, il sentimento del nulla. È iniziata nella vacuità delle descrizioni gonfie e traboccanti di vuoto cosmico, i dialoghi si sono svuotati di senso e di significato, la vicenda sfuma dietro le idee, una parola: Nichilismo.
Trovate risposte, oppure solo altre domande.
Io una risposta, forse l'ho già trovata...

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