1770 a.c. // Il primo vino

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Una cosa che Crowley non era mai riuscito a digerire di Ninive - di tutta la maledetta terra fra i due fiumi, in realtà - era la polvere.

Polvere era, e polvere era rimasta, senza bisogno di trapassare; non era possibile mettere piede in strada senza trovarsene immediatamente la sgradevole sensazione fra le dita, per non parlare dei giorni di vento.

Ma le città, aveva imparato Crowley, richiedevano strade; le strade si riempivano di passi, di esseri umani e bestie, e poi di ruote, di carri pesanti e di portantine; l'erba non cresceva, il suolo diventava duro e impenetrabile, la terra battuta e ribattuta si vendicava con la polvere.

Era una buona cosa non essere più Crawly, non dover strisciare ventre a terra fra il sudiciume e il fango; era già abbastanza odioso dover battere le strade su piedi che si inzaccheravano subito.

E Crowley era spesso in strada; il suo da fare stava aumentando a dismisura con la concentrazione in poco spazio di sempre più esseri umani.
Non ci si poteva distrarre un attimo, ti voltavi un momento per seminare un po' di zizzania fra due tribù di pastori, e lì in città avevano già inventato le tasse, la galera e la corruzione.

Davvero; estenuante.

Ora che la giornata volgeva finalmente al termine, il sole disegnava lunghe ombre viola nell'arancio della strada. Il vociare incessante si andava facendo più dolce, le persone che avevano passato il giorno a lavorare rincasavano, e si preparavano a uscire quelli che Crowley aveva imparato ad amare come gli abituali abitanti della notte: ladri, giocatori d'azzardo, prostitute e - naturalmente - coloro che tendevano ad attrarli tutti quanti sotto la propria ala.
Gli osti.

Crowley scivolò nella sua taverna preferita a Ninive.
Il concetto era ancora abbastanza nuovo, e in effetti non si presentava troppo diversamente dalle altre abitazioni: mura di mattoni crudi, un tetto per tenere fuori il maltempo e il sole, un cortile ombreggiato da un grande albero di fico.
Ma in questa casa tutti erano i benvenuti, e il padrone non era troppo preoccupato di come i suoi ospiti decidevano di passare il tempo, purché comprassero il suo vino.

Questa taverna in particolare aveva già catturato il fascino di quello che molto, molto tempo dopo si sarebbe chiamato dehors; il cortile era stato trasformato in un giardino, dove affondare le dita nell'erba, sdraiarsi sotto i gelsomini e addormentarsi ascoltando il frinire delle cicale e il sussurrare degli amanti.

Almeno, quando non era in corso una festa, tutte le torce erano accese e gli avventori sembravano determinati a bere per due e far baccano per dieci.

Crowley scivolò con una smorfia lungo il muro di cinta, cercando invano un angolo di tranquillità. Stava già considerando una ritirata strategica quando udì una voce familiare.

"Ma basterebbe incidere anche questo, no? ...Sì. Sì esatto, come per il conto delle tue giare di orzo!"

La nuvola di capelli biondi spiccava come un sole fra le teste nere chine intorno a un tavolo.

"Esatto. Delle tavolette come quelle. Ma per conservare la legge. Poi se ne potrebbero fare copie, e..."

Crowley sorrise; allungò una mano per rubare un dattero dal tavolo più vicino e lo proiettò con diabolica precisione proprio sul cocuzzolo di quella testolina bionda.

Aziraphale (e chi altri?) si alzò guardandosi attorno come un cucciolo sorpreso. Appena vide Crowley, si illuminò di quel suo stupido sorriso disarmante.

"Ah - voi continuate a lavorarci sopra, ok? E' un'ottima idea - ora però, se volete scusarmi..." e sgusciò fuori dalla calca per arrivare a Crowley. Reggeva in mano una brocca d'argilla.

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