NATURA ABHORRET A VACUO

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Fiato corto. Sudore lungo la schiena. Sangue e saliva sulla lingua. Le nocche dolenti. Le urla entusiaste.

Il linguaggio con cui parlava il corpo di Jungkook non si riduceva alla parte superiore del corpo, ma si estendeva sulla totalità dei muscoli, scalfendo la sicurezza di combattenti esperti solo coi pugni.

E infatti troneggiava lì, sul ring, il sorriso d'un pazzo sul viso e gli angoli della bocca imbrattati di sangue non suo. Le palpebre spalancante gli spedivano un pizzicore inebriante agli occhi, ché evitavano di chiudersi per non perdere nemmeno un dettaglio di quel delirio.

La guancia ruvida del suo avversario premeva contro il pavimento, la suola della scarpa di Jungkook non accennava a interrompere i colpi che gli lanciava contro lo stomaco. Risalì lungo il petto, schiacciò il collo e si bloccò sulla porzione di viso che gli veniva offerta solo quando dita morbide si attorcigliarono contro il suo polso.

Chiuse gli occhi dopo quelli che apparivano anni. Gli incitamenti di quei vecchi porci che sventolavano banconote gli permisero di non concentrarsi sulla presa viscida e disgustosa che esercitava Park Jimin sul suo corpo, o del suo sorriso maligno mentre sventolava una vittoria che non gli apparteneva.

Abbandonò il ring col fiato corto e le nocche dolenti. Ignorò sguardi e parole d'incoraggiamento, ogni cosa che veniva pronunciata all'interno di quel macello non gli sfiorava nemmeno i padiglioni delle orecchie, e si fiondò negli spogliatoi.

Quella situazione cominciava a sfuggirgli di mano. L'emozione che gli brulicava nel corpo mentre combatteva, quelle scariche di adrenalina assuefacenti, il piacere del sangue. Tutti quei particolari macabri che lo facevano sentire vivo erano, al tempo stesso, la causa che gli aveva stretto un cappio al collo e minacciava di lasciarlo pendere nel vuoto ogni istante.

Lo facevano stare bene le cose che gli torturavano continuamente i polpacci mentre manteneva l'equilibrio su una corda sospesa nel nulla. Jungkook si era perso in un labirinto che aveva deciso di esplorare nonostante il cartello d'avvertimento.

La sensazione orripilante di colpa, panico e disgusto verso se stesso lo assalì solo quando fu alienato dalle voci esterne e si trovò solo. Paradossalmente, le debolezze emergevano nel momento successivo all'incontro, mai nella manifestazione stessa della violenza: grugniti, dolore e odore di vittoria gli tarpavano l'udito e gli ostruivano la vista, non lasciandogli scorgere al di là delle proprie emozioni. La consapevolezza giungeva solo dopo, e Jungkook tentava continuamente di ignorarla.

L'abitacolo era buio ed emanava un pessimo odore di muffa, ma almeno costituiva un angolo distante dalla presenza assidua e feroce di Park Jimin. Jungkook sospirò e, prima che riuscisse a muovere un passo all'interno della stanza, captò un fruscio. Aggrottando la fronte, scaglionò mentalmente tutte le posizioni dei suoi conoscenti: Taehyung quel giorno non avrebbe combattuto, Hosek era incastrato nel letto d'ospedale, Seokjin aspettava il suo momento ai piedi del ring.

Silenzioso, si mosse furtivamente, scivolando lungo i tre armadietti che sostavano all'interno della stanza; trattenere il respiro riuscì a fargli captare quello dell'intruso, che sostava davanti la fila d'armadietti opposta alla sua. Inspirò, prima di scattare e scagliarsi contro lo sconosciuto. Di forza ne aveva ancora, l'adrenalina aveva ripreso a scorrergli nelle vene nonostante le energie risucchiate dall'incontro di pochi attimi prima; le mani di Jungkook si affrettarono a stringersi contro le spalle dello sconosciuto, gli occhi si sbarrarono quando incontrarono un volto vagamente famigliare.

«Chi cazzo sei?»

Namjoon alzò le mani in segno di resa, la schiena schiacciata contro gli armadietti e il respiro pesante. «Non volevo rubare niente, lo giuro. Cercavo solo il bagno...»

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora