Fa male, non me lo so spiegare.
Non so precisamente cosa mi provochi queste sensazioni tra cui oppressione, bruciore agli occhi, assenza totale di emozioni positive, delusione, un nodo alla gola, voglia di urlare e la necessità di prendere un qualsiasi oggetto possa ferirmi e farlo continuamente.
Spengo l'ennesima sigaretta su quella che dovrebbe essere la mia coscia, non sento nulla, ingerisco pasticche, ancora nulla, sento il vuoto e nient'altro, non fa male abbastanza, vedo e sento il sangue scorrere, ancora non è abbastanza, non è mai abbastanza.
Forse un po' inizio a comprendere cos'è, è la dipendenza dal dolore, il bisogno di provarlo in ogni sua forma, fisico o mentale, non conta, basta che faccia male.
Non so come sono arrivata a non sentire nient'altro, ma in assenza di dolore mi sento persa, vuota, spenta.
Mi ferisco, mi abituo, quella dose di dolore non basta più, ne voglio sempre di più, fino a non sentirne più il bisogno, ma quando accadrà non riuscirò a rendermene conto, la mia anima sarà andata persa per sempre, e se prima era a pezzi, da ora non dovrò più preoccuparmi di come rimetterli insieme.
Fa male, il costante bisogno di provare dolore. Fa male e basta.
Non sento più nulla, perché i polsi bruciano così tanto?
È tutto confuso, fa male, vorrei staccare la spina e non sentire più le grida, vi prego, non chiamate il mio nome, non voglio, non posso tornare indietro.
Le voci nella mia testa dicono che mi avete persa il giorno della mia nascita, buffo, vero?
Si narra di "filo rosso", destino, come altri lo chiamano, questo, le voci, dicono sia il mio.
Vi prego, non gridate che questo non era il mio momento, non versate lacrime per l'oblio che mi attira a sè, ridete invece perché i miei occhi si chiuderanno, il mio cuore cesserà di battere e solo allora io sarò felice, starò finalmente volando.
Non gridate in preda alla disperazione sul mio corpo inerme perché la mia vita è finita, gioite perché sarà la fine di questo atroce dolore, la fine del senso di vuoto.
La vita ti fa soffrire, hai bisogno di provare altro dolore, più pesante, per non pensare a ciò che ti fa soffrire, e così via fino a trovarsi in un limbo in cui l'unica via d'uscita è la morte, l'unica cosa che potrà darti pace, la morte è rapida, spesso indolore, ti da beatitudine, cosa che la vita non farà mai.
La morte può rendermi felice come la vita non ha mai fatto.
Siate felici perché quella, per me, non è mai stata vita, mi ha tolto ogni libertà.
Ma, nel momento in cui i miei polmoni smetteranno di bramare ossigeno, gioite, perché io sarò felice.
Prendo nuovamente la lametta tra le dita.
Fallo, gridano le voci, sovrastano ogni mio pensiero, non riesco a riflettere.
"Asia, apri la porta", questo sento da dentro la mia stanza, mi dispiace, non sono intenzionata a farlo, devo andare fino in fondo, voglio essere libera, voglio volare.
Le voci continuano a urlare, dicono che non sono mai stata abbastanza, dicono che sono un fallimento, dicono che è l'unico modo, io so che hanno ragione.
"Ti prego, apri", papà, non piangere, io starò bene, non gridare, non riesco a pensare lucidamente.
Nessuna lacrima scorre sul mio viso, non ricordo quand'è stata l'ultima volta in cui ho pianto, forse è passato troppo tempo.
È giunto il momento, questo dicono le voci.
Stringo le dita sulla lametta fredda, prendo un grosso respiro, la poggio su un polso, la premo su di esso e traccio una linea, brucia tremendamente, è così bello, un fremito misto al dolore mi attraversa il corpo, la lametta è sporca di sangue, ripeto lo stesso gesto nell'altro polso, il sangue scorre, il dolore è immenso, mi manca il fiato, vedo il rosso sui polsi, sulle dita e sul pavimento.
Mi gira la testa.
Cado.
Credo di aver sbattuto la testa.
"Ti prego Asia, apri questa cazzo di porta", dicono fuori dalla mia stanza.
Non ho la forza di rispondere.
Hai fatto un buon lavoro, questo dicono le voci.
Le palpebre mi si chiudono, non sento cosa dicono.
Il vuoto mi attira a se'.
Dopo il buio più totale.