Mi sono sempre sentita come se la mia anima galleggiasse fuori dal mio corpo e lo guardasse insistentemente. Odiavo e odio ancora ciò che vede, come mi comporto, il modo in cui parlo, ciò che sono, e odio ancora di più il fatto che non so come cambiare l'opinione che ho di me stessa.
Ho paura, paura di me, ogni volta che mi guardo allo specchio, ogni volta che mi sento osservata, ogni volta che la mia testa mi ricorda quanto il mio corpo sia inadeguato, sono spaventata perché so ciò di cui sono capace, so quanto male io possa procurarmi.
"In gola ficcati due dita", questo dice la voce nella mia testa ogni volta che mangio un po' più del solito, mi fa sentire colpevole, colpevole per ciò che vedo quando mi guardo allo specchio. Quell'immagine, che non riesco a guardare per più di dieci secondi senza occhiali addosso, è così vivida, mi fa scoppiare in lacrime.
Mi impegno così tanto per cambiare ciò che vedo, eppure sembra inutile, i cambiamenti sono minimi e ciò che vedo continua a farmi schifo.
Quando esco di casa mi sento costantemente giudicata, le persone mi guardano, tiro la larga felpa più in giù, cerco di coprire quanto possibile come se servisse a qualcosa. Sfrego insistentemente le dita della mano destra sul polso sinistro, mi estraneo da ciò che mi circonda, la vergogna e i pensieri negativi si impossessano di me.
Tornano vivide e reali le immagini delle conseguenze di ciò che provo per me stessa. Ripenso a me accovacciata davanti al water, due dita in gola stimolano il reflusso, l'altra mano che tiene i capelli, il conato mi pervade e sfilo le dita, ho raggiunto l'obbiettivo, vomito e con esso espello i sensi di colpa che so torneranno poche ore dopo.
Ribrezzo.
Ripenso alle lacrime che scorrono sul mio volto mentre guardo quella persona che non riesco ad accettare sia io, l'immagine, seppur sfocata, è troppo dettagliata. La rabbia mi pervade, le braccia si muovono da sole, il vetro si rompe a contatto con il mio pugno, il sangue esce dalle nocche, cola sul pavimento.
Disprezzo.
A questo ripenso mentre torno a casa.
Osservo il pranzo che i miei nonni hanno preparato per me, sento un nodo alla gola e lo stomaco pesante.
"Non ho fame, vado a studiare", così mi giustifico per l'ennesima volta.
Tolgo le scarpe e entro nella mia stanza, chiudo la porta, sfilo i pantaloni e li poggio sulla scrivania, mi siedo sul letto e prendo un quaderno in cui riordinare i pensieri della giornata. Tiro fuori l'astuccio dallo zaino, lo apro e cerco una matita, scrivo poi la prima frase.
"Why do I look like this?"
La matita si spunta, ne cerco un'altra, ma non la trovo. Prendo quindi il temperino, lo osservo, lo sfioro con le dita, lo passo tra esse stando attenta, come fosse quanto di più prezioso io abbia.
"Fallo", dice la testa.
"Ne hai bisogno", grida il cuore.
Frugo ancora nell'astuccio, ricordavo di avere un cacciavite all'interno, ma non lo trovo, deduco qualcuno l'abbia trovato prima di me, non importa, il mio tesoro contiene una vasta scelta.
Apro il cassetto del comodino che si trova proprio accanto al letto e tiro fuori un rasoio, lo poggio di fianco a me e prendo una penna, il quaderno è ancora sulle mie cosce, decido di scrivere l'ultima frase della giornata.
"Vorrei andare dove nessuno sa chi sono", questo scrivo per poi poggiare la penna.
Una lacrima mi attraversa il viso, la lecco via quando raggiunge il labbro superiore.
Ricordo le parole di mia madre: "Non puoi permetterti debolezze", e ricordo il suo schiaffo come conseguenza delle mie lacrime.
"Anestetizza qualsiasi emozione, solo così dimostrerai di valere qualcosa, solo così smetterai di provare dolore", questo diceva guardandomi dall'alto con addosso una smorfia di disgusto.
Accarezzo le lame del rasoio con un dito procurandomi un taglio superficiale, sorrido e lo prendo tra le dita, lo poggio sull'avambraccio e traccio una linea dritta tenendolo premuto con forza. Il sangue schizza sulle pagine del quaderno, la vista mi si annebbia, la testa gira, la sento pesante, il braccio è come se pulsasse, chiudo il quaderno e poggio la testa sul cuscino.
"Sei fiera di me, mamma? Ora non sento nulla.", sussurro con un sorriso prima di chiudere gli occhi.