9. Punizione ~ pt 2

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Il mio respiro accelerò maggiormente perché non mi aveva mai privata della vista e non sapere cosa facesse mi rendeva nervosa. Mi baciò il lobo strappandomi un gemito prima di sussurrare «adesso parliamo dei tuoi errori ragazzina..»

Si allontanò e sentii la sua voce distante «partiamo dal più evidente: hai deliberatamente ignorato il mio ordine».
I suoi passi si avvicinarono «non pote-» il cuoio si abbatté secco sul fianco spezzando le mie parole e forse era meglio così, se non fosse che il mio padrone aveva già colto il senso della frase e non l'avrebbe ignorato. La sua mano mi passò sulle clavicole fino a serrarsi ancora sul collo esposto «te l'avevo già detto.. se dico che hai sbagliato tu dici "scusa Padrone, ti prego perdonami". Qualsiasi altra parola non ti aiuterà di certo».

Deglutii con difficoltà e sentivo il battito accelerato, il respiro pesante. Di colpo lasciò la presa e un'altra sferzata raggiunse il ventre. Non vedere i suoi movimenti rendeva ogni colpo più doloroso, anche se un istante prima riuscivo ad intuire il leggero sibilo prodotto dall'oggetto e, almeno quello, preannunciava il dolore.
«Piuttosto che pregarmi di scambiare quell'ordine con un altro, come una sottomessa meno inesperta di te avrebbe fatto, sei stata fredda, come se tra noi non ci fosse niente».
Quelle parole fecero più male del colpo al seno che le seguì.

Perché di punto in bianco mi stava paragonando a qualcun'altra? Non l'aveva mai fatto e mi lasciò una sensazione amara. Aveva ragione, non eravamo innamorati e non lo saremmo mai stati, ma un legame tra noi c'era ed era innegabile.
Lo sentii girarmi attorno, percepivo il suo respiro sul collo che venne morso un istante dopo, strappandomi un gemito di piacere. «Mi hai chiamato varie volte come se volessi parlarmi, ma non mi hai cercato in altro modo. Allora dimmi, volevi ti rispondessi solo per dissipare le tue insicurezze? Non sei venuta da me perché non ti importava abbastanza?».

Non attese una risposta prima di colpirmi ancora, stavolta sul gluteo. Sentivo il suo sguardo su di me e cercai le parole, sforzandomi di capire qualcosa a cui, in effetti, neanche io avevo pensato. Perché volevo parlargli? Perché non sono andata da lui quando non mi ha risposto?
«I-io non lo so Padrone. Non volevo ce l'avessi con me, ma non ti ho cercato perché non l'ho mai fatto, sei sempre tu a decidere e.. io con te ho paura di sbagliare.. se fossi venuta avrei potuto rovinare tutto, così ho aspettato che decidessi per me, di nuovo..».

Sentii le sue labbra sulle mie, in un bacio quasi casto e senza dubbio confortante. «Sei libera di fare quello che vuoi Leyla, se rispetti quelle semplici regole non devi temere di sbagliare» il suo tono fu meno severo del solito.
Rise piano «pensi che mi dispiacerebbe trovarti davanti casa mia, magari con solo un cappotto e delle calze?» sorrisi, leggermente sollevata.
Non ebbi il tempo di pensare che forse la punizione era finita, perché dopo aver baciato il mio lobo la sua voce tornò dura «ma non credere che i tuoi errori siano finiti ragazzina» percepii il sorriso e la fossa creatasi sulla guancia ruvida.

Trovai strano come leggesse i miei pensieri, ma smisi di curarmene quando le sue labbra si impossessarono del mio collo. Scese verso la spalla e si fermò su un punto dove tirò le pelle tanto da lasciare un segno, tanto da farmi gemere, non ero sicura se dal dolore o dal piacere, forse per entrambi.
«Quando ti ho detto della tua punizione, mi hai risposto come se ti avessi comunicato il meteo. Dovresti aver capito ormai come si risponde, comincerei quasi a credere di non averti istruita bene, ma so che non è così».
Mi strinse un capezzolo con forza ed emisi un verso perché non avevo sentito l'avvicinarsi della mano. Maledissi di nuovo quella benda, mentre la sua presa mi fece contrarre il viso dal dolore «ti do la possibilità di ritrattare Leyla. Devi dirmi qualcosa?».

Capii che non avrebbe lasciato la presa finché non avessi trovato la risposta giusta, ma non ricordavo nemmeno la domanda. Mi sforzai, inarcandomi sotto al suo tocco e gemendo ancora quando la lingua raggiunse il succhiotto appena lasciato, facendo soffrire la pelle sensibile.
«S-scusa Padrone, ti prego perdonami!» gemetti. Finalmente le sue dita si staccarono, sostituite dalla lingua che mi accarezzò rigenerante.
«Allora qualcosa l'hai imparato..».

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