2. Gusti particolari

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Fischi ed applausi si irradiarono per tutto il locale. Le ThreeC erano già sparite dalla circolazione, e nessuno riecheggiava il loro nome. Meglio, così avrei dato loro un’altra lezione. Le luci si spensero, ed il rumore dei miei tacchi fece fischiare qualcuno che capì che era arrivato finalmente il mio momento. Mi posizionai dietro un pannello bianco, sarebbe sembrata una tela a dir la verità, ma non mi importava. Questo era il mio unico mezzo per proteggere la mia identità: nessuno sapeva veramente chi ero.

<Vai bambola!>

Ascoltai un ragazzo un po’ ubriaco e la cosa mi fece sorridere, nonostante non avesse mai visto il mio viso, mi dava della bambola. “Aspetta di vedere il resto, ragazzino”.

Mi posizionai su una pedana, di spalle al pannello che non mi permetteva di vedere quanta gente fosse realmente lì ad assistermi. Mi sistemai i guanti e feci un cenno a Layla che era sotto il palco per far partire la musica. L’adrenalina mi scorreva nelle vene, stavo per ballare in un posto in cui quasi nessuno mi conosceva veramente. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. “Dirty dancer”,  cominciò a riempire la stanza satura di alcool, ma niente fumo. Evidenziai sin dall’inizio la mia allergia al fumo e a quello che mi provocava, quindi Layla si dovette adattare; ma quando anche i clienti capirono il perché di questo enorme cambiamento nel locale, nessuno ebbe  il coraggio di ribellarsi, e tutti adesso fumavano all’esterno della struttura. Forse era anche per questo che mi pagava così bene. Non sopportava neanche lei l’abuso del fumo nel locale.

Una luce dietro il palco si accese, per la precisione era un faro bello grande, puntato solo su di me. Tutte le altre luci erano spente, per questo sul palco si vedeva solo un pannello bianco abbastanza grande da coprirmi interamente, ed un’ombra: la mia.
Fischi e complimenti volarono nell’immensa sala, ed il mio tacco destro iniziò a picchiettare sulla pedana, che aveva sotto un sensore che permetteva al suono provocato dal mio tacco di espandersi fino alle casse collegate alla console. Un’idea di Derek, “fantastica” aggiungerei.

La canzone cominciò, ed io mi mossi lentamente andando a ritmo della musica, sollevando un braccio e fermandomi appena la musica si abbassò di qualche tono. Ed un attimo dopo, mi piegai sulle ginocchia, sollevandomi e avvicinando il sedere al pannello, senza toccarlo. Mi voltai di lato ancheggiando e muovendomi con una tale sensualità da attirare ancora più urla. Quando la musica entrò nel vivo del suo ritmo, cominciai a ballare decisa nei movimenti, sfilandomi un guanto che lasciai cadere appena accanto alla pedana. Una cosa mi ero imposta sul lavoro: non regalare a nessuno pezzi dei costumi di scena! Spendevo una fortuna per acquistarli, Layla me lo rimprovera sempre.

<Dolcezza, vuoi soldi facili? Devo lavorare a modo mio.>

Le rispondevo ogni volta e lei si zittiva, capendo che i suoi investimenti portavano un sacco di soldi a casa, a fine serata.
Sulle note di Enrique Iglesias mi muovevo divinamente, riuscivo a immedesimarmi nel ruolo da perfetta seduttrice, mi trovavo a mio agio sui tacchi, che si mostravano parecchie volte quando sollevavo la gamba. Anche l’altro guanto era sparito, l’avevo appena tolto con i denti e fatto scivolare dalla schiena in giù, provocando un’onda con il mio corpo. Mi voltai di spalle al telo, slacciandomi la giacca e facendola scendere dalle spalle, tenendola però sui bicipiti. Non ero un tipo scheletrico, avevo messo su massa muscolare facendo palestra e danza. Era stata una parte importante della mia adolescenza, ma non è il momento di spiegare come ci sono arrivata a saper ballare così bene.

Dicevo..
Il mio corpo si trovava a suo agio mentre camminavo sulla pedana, sentendo in un qualche modo gli occhi di tutti puntati addosso. Era una sensazione meravigliosa che proviamo noi donne, ad esempio quando ci vestiamo eleganti per un appuntamento e nel ristorante dove ceniamo ci guardano tutti, o magari quando proviamo a cambiare taglio di capelli. E’ una cosa che non si può spiegare, ma lo percepiamo, un po’ come sesto senso. E ci fa sentire dannatamente potenti.
Enrique parla del fuoco che si accende in una donna quando balla, ed io mi sentivo invadere dal calore che due fiamme provocarono ai lati del palco. Ogni volta che ballavo sulle note di una canzone “piccante”, la sceneggiatura di Derek era sempre impeccabile. Era lui che incideva le canzoni, le sceglieva per me. Ovviamente l’ultima parola era la mia, ma la maggior parte delle volte coincideva con la sua proposta. Aveva capito che tipo ero, e ci trovavamo bene a lavorare insieme. Ok, me l’ero portato a letto qualche volta, ma non era stato niente di che, al lavoro eravamo professionali e nessuno aveva capito cosa ci fosse tra me e lui.
Quando mi sollevai da una spaccata, ormai ero senza vestiti, all’apparenza. Lavoravo sempre con un completo intimo più piccolo sotto quello che faceva parte del costume: i clienti credevano che mi spogliassi completamente, ma in realtà ero più che coperta, almeno per i miei canoni.
La melodia del mio pezzo terminò, ed io ero ferma a prendere un po’ di fiato, con un braccio sollevato e l’altra mano sul fianco, di spalle al telo. Sorrisi appena, si sollevò un polverone di applausi e di commenti incomprensibili tra la folla rimasta più che soddisfatta dal mio spettacolo. Attesi che il sipario si chiudesse, e potetti finalmente scendere dalla pedana; qualche altro passo e Layla mi baciò la guancia, complimentandosi con me come al solito. Le mostrai un sorriso e allungò le braccia mentre il mio assistente, Mark, mi infilò l’accappatoio che indossavo dopo ogni spettacolo. Mi sollevai i capelli con una pinzetta e mi diressi nel camerino. Avevo bisogno di una doccia e potetti anche farla nel mio bagno personale. Altro motivo per cui quelle gallinelle delle ThreeC mi odiavano: loro non ne avevano mai avuto uno.

Feci scivolare l’acqua sul mio corpo e chiusi il rubinetto prima di avvolgermi nel mio accappatoio: dico mio perché aveva le mie iniziali incise sopra. Piccolo regalino che mi ero fatta quando mi avevano accettata a lavorare qui,nel Layla’s. Proposi alla padrona del locale di cambiare il nome, era lì da troppi anni ormai, ma le gallinelle ebbero la meglio; l’avevano influenzata a tal punto da rivoltarmela contro perché pensava che pretendessi troppo. Un solo weekend passò per far sì che fossi di nuovo nelle sue grazie, e quelle tre stronze poterono baciarmi il culo.
Una volta uscita dal bagno non persi troppo tempo ad indossare un completo intimo completamente firmato – ci tenevo ad essere più che presentabile per ogni “imprevisto” – che coprii con una t-shirt ed un jeans aderente. Un paio di decolté facevano al mio caso, le amavo: mi sentivo molto sensuale con quelle scarpe, anzi. A mio avviso, si capisce molto dalle scarpe di una donna: potevi capire se è audace, se vuole cercare di piacerti, se è un’egocentrica, se è un tipo estroverso. Mi guardai allo specchio, feci due mezzi giri su me stessa. “Sei un incanto, tesoro” dissi a me stessa sorridendo maliziosa. Afferrai la borsa ed uscii dal camerino, salutando tutti con fare un po’ vago. Mi diressi al bancone, sedendomi sullo sgabello ed ordinando una vodka al melone, la mia preferita.

<Ormai vieni qui da un bel po’ di tempo, credo di meritare di sapere il tuo nome..>

Sollevai lo sguardo ed il barista stava fermo con la bottiglia di vodka in mano.

<Ti ho chiesto una vodka, non un appuntamento.> Dissi mentre appoggiavo il gomito sul bancone, ed il mento sulla mano chiusa a pugno. Mi dava terribilmente fastidio l’insistenza di certa gente: se ti ho detto no, è no. Ed il barista – di cui non ricordavo il nome – stava continuando ad insistere.

<Lo sto chiedendo io a te.> Mi rispose, ma io non volevo scocciature: era alto, un po’ rotondetto al livello fisico, ma non ero tipo da relazioni, e lui ci era già cascato con entrambi i piedi. Si vedeva che era cotto di me, anche se ci eravamo scambiati solo qualche battuta da quando lavoravo lì. Odiavo quel tipo di ragazzo, quello che ha gli occhi a cuoricino appena ti vede, solo perché sei una bella ragazza – una gnocca, nel mio caso.


“Senti, non è serata.” Affermai scocciata e mi alzai dallo sgabello, con i nervi a mille. Salutai Layla con un cenno della mano, la vidi dall’altra parte della sala, ma poi mi voltai verso l’uscita. Non ero neanche dell’umore di bere adesso. Avrei mangiato un panino a casa, ed sarei andata a letto; l’alcool non faceva per me quella sera.

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