Capitolo 6

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La suoneria peggiore che esista suona ininterrottamente ma io ancora non mi decido ad uscire dal mio sogno. Quando riparte per quella che penso sia la quindicesima volta, riesco a malapena ad aprire un occhio e a guardare quel congegno infernale dal quale esce la melodia che odio di più al mondo, la stessa che mi dice di alzare le chiappe e ad andarmi a preparare. Sto per richiuderla quando noto che il comodino sul quale è poggiato il telefono non mi è affatto familiare e dopo aver realizzato dove mi trovo faccio uno scatto in avanti che neanche l’uomo ragno avrebbe saputo fare. Nel giro di un secondo sono in bagno a lavarmi i denti e ad organizzare mentalmente la giornata lavorativa. Afferro il programma datomi dallo Stregatto e mentre do uno sguardo veloce agli orari, squilla il telefono in camera sul quale mi precipito non sapendo chi possa essere e soprattutto temendo che sia Reine.
<<Ehi boss, buon giorno!>> la voce del mio assistente è musica per le mie orecchie.
<<Ciao Dylan, buondì. Sei pronto?>> chiedo con finta calma,
<<Si, è tutto pronto! Stavo per scendere a fare colazione considerato che abbiamo ancora due ore prima del brunch e dato che molto probabilmente non toccheremo cibo mentre lavoriamo, meglio fare il pieno adesso>> mi fa notare con lungimiranza e in effetti ha proprio ragione.
<<Giusto, non ci avevo pensato. Andiamo insieme allora, ti raggiungo in stanza fra un momento, il tempo di vestirmi e prendere tutto.>>
<<D’accordo a fra poco.>> richiudo la cornetta e penso a quanto sia strano parlare da un telefono fisso, non credevo neanche che ne esistessero ancora a dire il vero.
Niente tacchi oggi, solo un paio di comode francesine, che normalmente sono lontane anni luce dal mio stile, ma che si sono rivelate più che utili per lavorare. Pantalone nero, camicetta beige a giro maniche e i capelli sempre sciolti sulle spalle. Un trucco leggero giusto per coprire difetti e dare un po’ di colore e sono pronta per racimolare l’attrezzatura per affrontare la giornata.
Una volta arrivati a quello che a quanto pare sia l’unico ristorante che serva la colazione, ci sediamo ad un tavolino sulla terrazza che da sul mare ed io mi godo il sole intanto che arriva la nostra ordinazione. Ho dimenticato gli occhiali da sole in camera e non è una cosa positiva visto che quando Dylan parla sono costretta a mettere una mano a coprire i raggi, altrimenti non vedo nulla. Dopo un paio di volte che faccio questo gesto mi rassegno e semplicemente li tengo chiusi, rivolgendo il viso al sole, magari riesco a prendere un poco di colore.
Il mio assistente mi racconta qualche episodio della sera precedente che devo essermi persa e insieme ridiamo mentre arrivano le tazze di caffè fumanti e un paio di pancakes per me. Dylan invece ci da dentro con le omelette al bacon e altra robaccia americana che io ripudio con tutto il mio essere pensando fra me e me: “se mia madre ti vedesse ti fucilerebbe”, dato che per lei è inconcepibile mangiar salato al mattino, ma evito di esternare il mio pensiero.
<<Eve, vorrei dirti una cosa, ma vorrei davvero che non la prendessi male>> sputa fuori all’improvviso e la curiosità mi assale.
<<Oddio se me lo dici così…di cosa si tratta?>> scruto il suo sguardo per cercare di indovinare, ma lui abbassa gli occhi.
<<Un po’ di tempo fa lavorammo insieme al battesimo del piccolo Simon, te lo ricordi?>> inizia lui lentamente mentre io annuisco invitandolo ad andare avanti.
<<Beh, notai più volte che…si insomma, che le tue mani….>> si passa una mano tra i capelli indeciso su come proseguire, ma io serro la bocca intuendo qualcosa e non ho nessuna intenzione di farlo per lui.
<<…le tue mani tremavano spesso ecco….quindi una volta l’ho chiesto a Carter ma lui ha negato tutto. Poi però prima di partire l’ho un po’ messo alle strette dicendogli che volevo sapere se ci fosse qualcosa che non andasse, se non altro per essere in grado di aiutarti nel caso in cui qualcosa fosse andato storto e lui…beh lui mi ha fatto giurare di non dirlo ad anima viva altrimenti mi avrebbe strangolato e alla fine…si insomma, me l’ha detto>> lo guardo sconvolta, con gli occhi sbarrati non sapendo come reagire. E’ una cosa che sanno in pochissimi quindi davvero non so come affrontare il discorso.
<<Oh…>> riesco solo a sibilare. Mi infastidisce che lo sappia, anche se riflettendoci comprendo il motivo per cui Carter gliel’ha detto. Probabilmente anche lui è preoccupato non essendo qui, magari conoscendolo avrà voluto assicurarsi che fossi in buone mani.
<<…ma non preoccuparti, giuro che non lo dirò a nessuno e non cambia nulla per me, nel senso che per me è solo un sollievo sapere cosa ti succede e che stai bene.>> quasi balbetta in palese difficoltà e visto che apprezzo la sua sincerità provo a dargli una mano. <<Non fa nulla Dylan, non ti agitare. In ogni caso so gestirlo da sola e non c’è bisogno che ti preoccupi>>
Faccio per chiudere quell’argomento che proprio non mi piace. Lui per fortuna lo capisce e dopo qualche momento di silenzio cambia soggetto della conversazione.
<<Sai nelle foto che ho scaricato ieri sera ce n’è una che ho pensato volessi conservare>> mi informa mentre infila in bocca un grosso boccone.
<<Io? Perché dovrei conservare una foto di questo evento?>> gli chiedo confusa alzando un sopracciglio.
<<Vorrei che la vedessi, dopo te la invio sul cellulare>> annuisco e dopo aver sparso lo sciroppo d’acero addento anche io la mia colazione che sparisce in fretta nel mio stomaco. Eh si, la mattina ho sempre fame. Do un lungo sorso al mio caffè-latte e ritorno nella posizione iniziale con gli occhi chiusi a prendere il sole. “Oh, questo si che è relax” penso mentre ascolto il verso dei gabbiani e respiro l’odore del mare che è in cima alla classifica delle cose che amo di più a questo mondo.
Mentre mastica, Dylan borbotta qualcosa che il mio cervello percepisce come arabo.
<<Che hai detto?>> gli chiedo scoppiando a ridere <<Non ho capito nulla!>> lo prendo in giro ancora ad occhi chiusi prendendo un sorso di caffè, poi si schiarisce la voce e riformula: <<Uhm….troppo tardi.>> Ancora non capisco ma quando apro gli occhi per indagare, mi prende un colpo e quasi cado dalla sedia, mentre il caffè vola dritto in faccia a Michael che resta impalato difronte a me. Ci guardiamo entrambi senza parole e quando si toglie gli occhiali da sole gocciolanti non resisto e scoppio di nuovo a ridere. Sorride anche lui ma non credo che se la stia godendo quanto me. <<Oddio mi dispiace, non mi aspettavo che…..si insomma che ci fosse qualcuno>> mi giustifico trattenendo un’altra risata e fingendomi in colpa.
<<che ci fosse lui volevi dire…>> mi prende in giro a bassa voce Dylan coprendosi la bocca con una mano per poi fingere di tossire, ma si zittisce in un istante dopo avergli lanciato un’occhiataccia.
<<Aspetta vado a prenderti qualcosa per asciugarti>> gli dico prima di sparire all’interno.
Esco un attimo dopo con una manciata di fogli assorbenti che gli cedo, ma questa volta mi sento davvero in colpa per la meravigliosa camicia di lino bianca che adesso si è trasformata in un colore marroncino a chiazze. Mi porto una mano sul viso e mi offro di portarla io in tintoria ma lui sminuisce la cosa. <<Non preoccuparti, tanto oggi fa proprio caldo!>> e così dicendo da il via ad uno spogliarello disinvolto mentre io vorrei fuggire all’istante dai pinguini al polo sud perché effettivamente il calore inizio a sentirlo anch’io. Non sono sicura che il motivo sia lo stesso, ma lascio passare. Resto incastrata con lo sguardo sulla tartaruga che era ben nascosta dal lino un attimo prima ed è quasi una tortura dover posare gli occhi altrove. Le mie guance si tingono di rosso fuoco e a Michael non sfugge il mio imbarazzo, infatti un sorriso soddisfatto gli fa sollevare gli zigomi.
<<Sto per andare a fare surf, ti va di venire?>> Suggerisce l’uomo che indossa troppo pochi abiti difronte a me.
<<Ehm…>> mi schiarisco la voce prima di proseguire <<…io non posso grazie, devo, ehm, devo prepararmi per il brunch. Sai l’attrezzatura e tutto…vero Dylan?>> balbetto come un’idiota cercando il supporto del mio angelo custode.
<<Oh si, abbiamo un sacco di cose da fare noi due…>> conferma lui ghignando ed io benedico ogni minuto in cui è con me anche se mi rendo conto che suona veramente strano il modo in cui l’ha detto. Mike serra i pugni e la sua espressione muta rapidamente, ma decido di non darci peso visto che ormai combino un disastro dopo l’altro.
<<D’accordo allora ehm…allora noi andiamo, buona surfata!>> Riesco a dire mentre raccolgo rapidamente la borsa con la reflex, giro i tacchi e me la svigno.
Dylan mi segue a ruota pur avendo ancora un pezzo di pane in mano.
<<Ti devo una colazione…>> lo informo piena di gratitudine quando mi affianca.
<<solo quella?>> mi fa notare lui sorridendo.
<<Beh in effetti mi hai salvata già diverse volte nelle ultime ventiquattr’ore. Forse ti dovrò comprare una reflex nuova considerando che abbiamo ancora tutto oggi e domani da affrontare!>> gli concedo, continuando a camminare senza una meta precisa.
<<Non mi devi nulla stai tranquilla, anzi a dire il vero mi diverte un sacco vedere quel tizio come ti mette in difficoltà.>>
<<Beato te, io invece non mi diverto affatto.>> gli confesso seccata.
<<Oh Signore, sei proprio cotta!>> mi prende anche in giro adesso.
<<Vorrai scherzare spero. Non sono cotta di Michael, anzi piuttosto mi da sui nervi e mi sta sempre tra i piedi.>> replico mostrando la versione di me irritata.
<<Sta tranquilla è cotto anche lui!>> incalza l’infame ridendo.
<<si certo e gli asini volano in New Jersey, non lo sapevi?>> rispondo in tono cinico <<davvero Dylan non sai di cosa stai parlando!>> affermo con certezza.
<<Sicura? Io dico che è anche geloso, se non ti rincoglionissi ogni volta che vi incontrate, avresti notato come guardava anche me…>> rincara la dose mentre io cerco di fare il collegamento che non mi torna.
<<Ovvero? Dici che è bisex?>> E’ il mio turno di sfotterlo.
<<Oh smettila Eve, sai bene di cosa sto parlando, quando ci ha visti in ascensore se avesse potuto mi avrebbe steso con un pugno sul naso, per non parlare della sua espressione di poco fa!>> asserisce sicuro, mentre io incasso il colpo.
<<Io credo che tu abbia frainteso alla grande, quel ragazzo è fatto di soli istinti…>>controbatto scettica mentre mi avvicino alla porta della mia stanza.
<<Beh io fossi in te mi chiederei per quale motivo il suo istinto gli suggerisce di picchiarmi ogni volta che ci vede insieme!>> ammicca lui convinto delle sue teorie ma a me non convince.
<<Nah….>> insisto inserendo il codice d’apertura della mia stanza.
<<D’accordo, credi ciò che vuoi, ma te lo dimostrerò se è quello che ti serve.>> persevera Dylan troppo convinto.
<<Ci vediamo giù fra un’ora?>> devio il discorso prima di rintanarmi nella mia camera.
<<Va bene, a dopo..>> conferma e se ne va con un sorriso malizioso mentre io mi chiudo la porta alle spalle e rielaboro quell’ultima conversazione riflettendo sulla remota ipotesi che Michael possa provare qualcos’altro che non sia pura attrazione fisica, ovvero l’unica cosa che è sempre stata palese fra noi dall’età in cui mi sono spuntate le tette. Ma gelosia? Quella implicherebbe il fatto che in un certo senso vorrebbe –sempre ipotizzando per assurdo- che fossi solo sua. “Pff…anche solo pensarlo suona ridicolo, non ci crederei nemmeno se lo vedessi con i miei occhi. Nah…non lui”, mi dico in conclusione.

Un’ora dopo come previsto mi ritrovo al brunch in uno dei meravigliosi giardini dell’hotel. Ci sono siepi perfettamente intagliate in forme geometriche, sentieri cosparsi di piccole pietre bianche lungo i quali si passa sotto splendidi archi con le bouganville viola intrecciate al legno. Due gazebi bianchi sono posizionati al centro del prato con le tende bianche velate aperte e due tavole lunghissime sono già apparecchiate con decorazioni e piante di gelsomini che scendono a grappolo dai vasi sospesi in aria. Decisamente incantevole. Non si sono fatti mancare proprio nulla e devo dire che Reine è stata davvero brava nella gestione dei particolari.
Gran parte degli invitati è già qui, i camerieri girano con vassoi colmi di calici e assaggi di ogni tipo. Ho già fotografato molti dettagli e ho ripreso gli ospiti nei loro gesti spontanei mentre chiacchierano e ridono all’impiedi tra loro. Non ci saranno eventi particolari, quindi in realtà non avrò molto da immortalare se non qualche foto di reportage per raccontare la giornata e potrei dire che ho quasi terminato. Faccio qualche altro scatto alla futura sposa vestita con un tailleur a gonna del colore del cielo, mentre ride di gusto abbracciata a Mr. Johnson, e la mia attenzione viene attirata da un ragazzo vestito di bianco che fa il suo ingresso sotto le bouganville. Non posso fare a meno di continuare a scattare e approfitto del fatto che si sia avvicinato alla madre a dirle qualcosa per riprendere quel raro momento in cui si rivolgono la parola, come da richiesta esplicita della wedding planner. Michael deve aver avvertito il mio sguardo su di se, quindi si volta e mi rivolge un sorriso che attraversa la reflex e arriva direttamente alla sinistra del mio petto provocando l’aumento istantaneo del mio battito cardiaco. Mi decido a cambiare soggetto perché non sopporterei un’altra giornata carica di tensione e mi rivolgo alle sorellastre vestite in maniera piuttosto eccentrica. Cinguettano tra di loro e ignorano totalmente la mia presenza, come la maggioranza degli ospiti, che penso siano abituati alle attenzioni e ai riflettori. Mi avvicino a Dylan che sembra occupato nello sperimentare una messa a fuoco diversa dal solito e lo fa in una posa buffa con il busto all’indietro quasi come si stesse preparando a fare il limbo.
<<Hei collega che stai combinando?>>  interrompo la sua concentrazione.
<<Guarda qui…>> mi mostra lo scatto appena fatto sullo schermo della sua Sony.
<<wow! bella prospettiva, bravo!>> Il dettaglio dei segnaposto è meraviglioso, con una sfocatura netta sul fondo ed una luce che oserei dire perfetta.
<<grazie…>> afferma fiero di se mostrandomi un sorriso sincero. Poi si avvicina al mio orecchio, più vicino di quanto sia mai stato, e mi cinge  la vita con una mano mentre io mi chiedo che diamine gli sia preso.
<<fa finta di nulla e reggimi il gioco.>> mi dice a bassa voce in tono divertito.
<<ovvero? Che succede?>> chiedo totalmente ignara del suo piano malefico.
<<ti ho detto che te l’avrei dimostrato, quindi adesso lasciami fare.>> afferma lui avvolgendo il braccio intorno alla vita ed io inizio a comprendere le sue mere intenzioni, che a dirla tutta non mi dispiacciono così tanto. Quindi ricambio il sorriso e lo lascio fare.
<<Non ti girare, guardami negli occhi e fa finta che abbia detto qualcosa di spassoso e ridi, ridi di gusto.>>
<<Oddio tu sei tutto matto….hahaha!>> e in effetti rido in maniera teatrale seguendo le sue istruzioni, se non altro per capire dove vuole arrivare, pur sentendomi un’idiota.
<<Bingo! Fin troppo semplice…>> fa lui a bassissima voce, ma io davvero non capisco visto che mi ha ordinato di non voltarmi a guardare, il che equivale ad una tortura cinese.
<<posso girarmi adesso?>> chiedo incapace di tenere a bada la curiosità,
<<non ancora…e tre, due, uno….>>
<<Ehi Eve!>> irrompe Michael alle mie spalle ed io riesco a stento a trattenere una risata, questa volta vera. Ma cos’è un mago??
<<Ciao Michael, qual buon vento?!>> oddio ma che sto blaterando!? Mannaggia, sono pessima.
<<mi chiedevo se per caso ti andasse di fare due passi, vorrei mostrarti qualcosa>> mi propone ignorando totalmente la presenza di Dylan al mio fianco.
<<oh….cioè…io non so se posso….>> inizio a balbettare finché il mio assistente mi soccorre per l’ennesima volta.
<<certo che puoi Evelyn, tanto qui abbiamo praticamente finito e se succedesse qualcosa che valga la pena di essere fotografato ci sono io, va tranquilla!>> Afferma troppo convinto il lupo travestito da agnello.
<<Ottimo>> replica lui e non può sfuggirmi lo sguardo di sfida che rivolge a Dylan, che in realtà non fa che confermare le sue tesi e dare valore al suo piano diabolico.
Michael mi fa strada e ci incamminiamo, ma mi volto un’ultima volta a guardare il mio collega che sghignazza alle nostre spalle e gli lancio uno sguardo assassino. In che guaio mi sto cacciando!
<<Da quanto tempo lavori con…come si chiama?>> Inizia lui una volta inoltrato un sentiero in quello che sembra un labirinto tra le siepi. <<chi intendi? Dylan?>> fingo di non capire.
<<Si, lui>> conferma mostrandosi indifferente.
<<A dire il vero ci ho lavorato solo qualche volta insieme, in genere lavoro con Carter, ormai da tantissimo tempo.>> gli spiego con finta disinvoltura.
<<beh sembrate piuttosto vicini per essere solo colleghi.>> ammette marcando il concetto di vicinanza.
<<oh no, in realtà lui è, ehm, diciamo un tipo molto espansivo.>> mento senza ritegno adesso che mi sento incastrata in un angolo.
<<capisco…quindi voi non…?>> chiede lasciando la frase in sospeso mentre io reprimo un sorriso. Forse Dylan non aveva tutti i torti.
<<chi noi? Oh no, siamo abbastanza in sintonia e abbiamo in comune diverse cose ma non siamo null’altro che colleghi al momento>> gli confermo, pur sapendo di avergli lasciato intendere che c’è una possibilità aperta e non posso nascondere che inizio a provarci gusto. Devo ammettere che vederlo in difficoltà è in qualche modo perverso appagante.
Svoltiamo a destra in un altro viale e comincio a perdere il senso dell’orientamento, quindi mi affido a Mike che invece sembra essere un veterano a confronto.
<<posso chiederti una cosa anch’io?>> azzardo, pur sapendo quanto sia riservato in genere.
<<certo.>> acconsente avanzando con le braccia congiunte dietro la schiena.
<<sembra che tra tutti i presenti tu sia quello meno gioioso in questi giorni e non capisco perché, dato che è la tua famiglia che sta celebrando.>> gli svelo il mio pensiero senza girarci troppo intorno.
<<uhm…non mi entusiasmano i matrimoni.>> taglia corto lui.
<<tutto qua…?>> incalzo cautamente e lui si prende qualche secondo per rispondere mentre sbircio il suo profilo, continuando a camminare a passo lento.
<<beh a dirla tutta non mi entusiasma nessun tipo di cosa quando si tratta della famiglia di mia madre.>> ammette poi in tono distaccato.
<<Oh….come mai? Non hai un buon rapporto con loro?>> e sto attenta a non dire “con lei” sapendo che non scorre buon sangue tra i due.
<<Non ho mai legato con nessuno di loro e sembra brutto dirlo, ma neanche con mia madre. Siamo troppo diversi, lei è per l’apparenza, io per la sostanza e anche in occasioni come queste a lei importa solo ciò che pensa la gente, non ciò che conta davvero. Per lei se non hai un titolo importante, a meno che tu non sia un dottore plurilaureato, praticamente è come se non contassi nulla nella vita. Mentre io sono per la libertà d’espressione, credo che ognuno debba fare ciò che ama o ciò per sui si ha talento.>> spiega in tono non troppo entusiasta.
<<e con tuo padre invece?...è diverso?>> gli chiedo mentre svoltiamo l’angolo in un altro vialetto. Lui guarda a terra mentre la sua espressione si rattrista all’istante ed io capisco di aver toccato un tasto sbagliato, quindi cerco di riparare, <<forse ti sto facendo troppe domande, lascia stare…>>
<<Non preoccuparti, te ne parlerò un’altra volta, adesso preparati…>> mi rassicura prendendomi per mano e mi conduce svoltando dietro un cespuglio, dove i miei occhi si riempiono di meraviglia: un piccolissimo laghetto, nascosto tra le siepi e circondato da fiori di ogni colore immaginabile si materializza davanti a noi. Un salice imponente rende lo scenario ancora più fiabesco ed un ponte di legno che attraversa il laghetto porta su una panchina a dondolo ricoperta di gelsomini rampicanti.
<<Dio, questo posto è stupendo…>> dico totalmente incantata.
<<Sapevo che ti sarebbe piaciuto>> afferma soddisfatto ed io gli rivolgo uno sguardo incerto mentre sempre per mano mi porta sul ponte di legno e me la lascia solo per indicare dei pesci grandi e colorati che passano al di sotto, nell’acqua dello stesso colore dei suoi occhi.
<<Incantevole…>> ribadisco e proprio non riesco a fare a meno di guardarlo con aria interrogativa. Perché mi ci ha portata? Perché ha pensato proprio a me? Vorrei chiederglielo ma mi manca il coraggio.
Scendo dal ponticello e mi siedo sul dondolo tra i gelsomini dando una leggera spinta con i piedi. Michael si avvicina sedendosi con me e quando poggia la mano accanto alla mia, la nostra pelle si sfiora generando una piccola scossa elettrica che non posso ignorare, ma nonostante ciò non la sposto. Credo l’abbia avvertita anche lui perché la sua sorpresa gli si legge negli occhi e neanche lui sembra intenzionato a muoverla. Decido di interrompere il silenzio con il quale non ho un ottimo rapporto ultimamente.
<<come hai scoperto questo posto? C’eri già stato prima di questo weekend?>>
<<Già…quand’ero piccolo mia madre mi ci ha portato diverse volte in questo hotel. Pensavo venisse qua per il mare e le comodità, invece mentre io cercavo un posto dove nascondermi e leggere in pace…>> fa un cenno con la testa ad indicarmi il laghetto, <<..lei cercava un uomo con cui sostituire mio padre. E’ per questo che si sposano qui, è il luogo in cui si sono conosciuti.>> spiega rammaricato.
<<non avrei mai detto che fossi un tipo solitario da piccolo, voglio dire, il ricordo che ho di te racconta tutt’altro.>> sottolineo l’osservazione evitando di parlare di sua madre e mi rivolge uno sguardo curioso.
<<ovvero? Cosa ricordi esattamente?>> indaga voltandosi a guardarmi.
<<dipende, parli delle scuole elementari o delle superiori?>> ne avrei di storie da raccontargli, specialmente di quando gli sbavavo dietro di nascosto, ma questo lo tengo gelosamente per me. Tutti a quell’età abbiamo fatto cose di cui ci vergogniamo.
<<entrambi.>> afferma sicuro, ma non sono certa che rivelargli i miei pensieri in merito sia una cosa positiva.
<<uhm, vediamo…alle elementari ricordo un bambino dispettoso dallo sguardo vispo, uno di quelli sempre arrabbiati. Eri terribile con tutti ma devo ammettere che con me non lo sei mai stato.>> rivelo con una punta di imbarazzo sulle ultime parole, senza confessargli che in realtà questa cosa mi faceva sentire un po’ speciale, anche se probabilmente la sua era solo indifferenza.
<<…che a pensarci adesso, credo che in realtà fossi solo un finto teppista. Non ho mai pensato che fossi cattivo come quelli che erano marci dentro già da piccoli. Credo che lo facessi perché in realtà dietro quell’atteggiamento sempre incazzato celassi un gran bisogno di affetto. Non mere attenzioni, proprio affetto.>> continuo a spiegare vagando nella mia memoria, non realizzando che forse sto dicendo più di quanto dovrei.
<<…va avanti.>> mi esorta sorridendo, poggiandosi con i gomiti sulle ginocchia.
<<beh alle superiori eri molto diverso. Qualcosa di inspiegabile è cambiato, non avevi la stessa luce negli occhi. Non eri indispettito, eri….>> non so se azzardare o meno ma trovo conferma nella sua espressione che mi incoraggia a proseguire senza inibizione, <<…mi sembravi più ferito che arrabbiato. Non ci vedevo più la stessa grinta, solo tanta tristezza, che però devo dire non ti sei mai limitato nel compensare, considerando le persone che frequentavi e le feste a cui partecipavi!>>
<<non ne perdevo una…>> conferma con lo sguardo perso nel vuoto e la cosa strana è che ci leggo più rimpianto che nostalgia.
<<ad ogni modo, per tanto tempo ho pensato che ti circondassi di tutto quel chiasso per non sentire il silenzio…o qualcosa del genere.>> prendo una pausa sentendo il suono delle mie stesse parole <<ma cosa potevo saperne io, giusto? Ero solo una ragazzina>> cerco di sminuire la frase forse troppo filosofica e provo a cambiare tono accorgendomi di averlo in qualche modo turbato ancora. A quanto pare sto diventando un esperta in questo.
<<una ragazzina che ci aveva visto lungo però…>> conferma lui con mio stupore, rivolgendomi un’espressione dubbiosa, come se in realtà ne fosse sorpreso anche lui.
<<…in ogni caso, ho imparato a gestire quella rabbia con il surf. L’oceano esercita un potere calmante su di me. Non è qualcosa legato solo allo sforzo fisico, ma ha proprio a che fare con le onde, il suono e la calma che mi trasmette. Ho iniziato proprio qui sai?>> chiede indicando un punto a caso in direzione del mare. Resto in silenzio e lo lascio proseguire:
<<Cape May è dove ho toccato la prima tavola, durante uno dei sempre più frequenti weekend di mia madre. Una volta mi ritrovai a fare a botte con Jake, il figlio dell’istruttore di questa spiaggia. Non ricordo il motivo preciso, so solo che avevo bisogno di sfogare la rabbia in qualche modo, e suo padre mi disse che non mi avrebbe denunciato e non avrebbe coinvolto i miei, solo a patto che iniziassi ad allenarmi con Jake ed il suo gruppo. All’inizio credevo fosse fuori di testa, ma col senno di poi, penso che aveva capito che se non avessi incanalato la rabbia in qualcosa di costruttivo avrei finito per distruggermi. O per distruggere qualcun altro. Quell’uomo, Paul, forse neanche lo sa, ma in un certo senso mi ha salvato la vita.>>
spiega con lo sguardo velato di tristezza e la curiosità si fa spazio in me.
<<perché eri così arrabbiato?>> quando glielo chiedo noto un mutamento nella sua espressione e sono certa di aver fatto uno di quei passi sbagliati. Non voglio insistere ma conoscere il suo passato mi aiuta a comprenderlo. Come se i suoi racconti mi stiano dando un quadro più completo della sua persona e ho come la sensazione che capire il motivo di quella rabbia, sia la chiave per capire Michael.
<<qualcosa che ha a che fare con mia madre credo. Come avrai potuto capire, non è mai stata una di quelle che ti prepara la cena e ti rimbocca le coperte con amore. Mi ha sempre affidato alla tata di turno e non ricordo di aver mai condiviso momenti particolarmente felici con lei.>> mentre lo dice mi chiedo come mai non nomina il padre, ma dopo la reazione di prima, non azzardo a chiederlo ancora.
<<diciamo che ha iniziato a considerarmi solo quando ho finito le scuole superiori, cercando in tutti i modi di convincermi a seguire la strada che aveva progettato per me, ovviamente ottenendo il risultato opposto>> afferma con un sorriso soddisfatto cercandomi per la prima volta con gli occhi.
<<voleva che ti laureassi?>>
<<già, ma non le ho dato questa soddisfazione, non solo per il gusto di contrariarla, anche perché non ho mai voluto fare il chirurgo o qualunque altra cosa avesse in mente per me. Volevo fare qualcosa per me stesso, qualcosa in cui fossi bravo ma che soprattutto mi facesse sentire completo. >>
<<e adesso? Che progetti hai?>> chiedo colpita dalle sue parole, nelle quali in un certo senso mi rispecchio.
<<non lo so esattamente a dire il vero, le possibilità sono diverse. Forse mi piacerebbe fare l’istruttore di surf e chissà, magari aiutare il prossimo ragazzino incazzato con il mondo.>> confessa ridendo e quando lo fa il sorriso gli arriva fino agli occhi ed è decisamente l’espressione che preferisco di più.

<<in realtà vorrei costruire una casa sulla spiaggia e svegliarmi ogni giorno in riva al mare.>> aggiunge con sguardo sognante.
<<ti accontenti di poco…>> lo prendo in giro e lui ride di gusto. <<scherzi a parte, non è un cosa così impossibile, devi solo lavorare duro per arrivarci. Hai già un piano?>>
<<Diciamo che sono in attesa di una sorta di segno.>> spiega tenendosi piuttosto vago, ma decido di non chiedere oltre, probabilmente me lo dirà quando sarà pronto.
<<del destino?>> lo assecondo.
<<se così lo vuoi chiamare…quali sono i tuoi progetti?>> cambia soggetto con quella che può sembrare una domanda innocente e, sapendo dove potrebbe andare a finire, un po’ mi preoccupa.
<<Non ne sono certa, quest’estate lavorerò molto….>> decido di omettere il fatto che a breve ripartirò, anche se sento di essere un po’ scorretta dopo le sue confidenze, ma forse non lo faccio solo perché non voglio essere influenzata in alcun modo.
<<Tutto qui? Che vita noiosa la tua…>> mi prende in giro ma non mi importa perché vederlo sorridere di nuovo è piuttosto piacevole.
<<Non sono noiosa, ho tanti progetti in verità, è solo che per ora non sono concretizzabili…tutto qui>>
<<Ad esempio? Dimmene uno…>> indaga con sguardo curioso mentre si rilassa sullo schienale.
<<Uhm….>> ci rifletto un attimo e non sono sicura di volerlo condividere con lui.
<<Avanti, hai parlato addirittura al plurale e adesso non te ne viene in mente neanche uno?>> incalza.
<<Te lo direi ma poi dovrei ucciderti.>> ribatto ammiccando un sorriso che rende ciò che ho detto davvero poco credibile, se non ridicolo.
<<haha…andiamo, non farti pregare!>> persevera mentre con un piede spinge a terra e lascia che la panchina ci culli.
<<Beh….se proprio ci tieni a saperlo, ho intenzione di comprare un furgoncino, uno di quelli vintage, magari un Volkswagen…. e con il tempo voglio trasformarlo in un mini camper per poter viaggiare e andare dove mi pare. Così potrei portare tutta la mia attrezzatura e avere la libertà di andare a scattare le foto che amo, senza dover trascinare borse pesanti, dormire nei motel o cambiare mezzi di trasporto in continuazione.>> confesso in fine, sentendo le mie stesse parole ad alta voce risuonare come quelle di una ragazzina disillusa. Nella mia testa sembrava molto meglio di così.
<<Oh…ok.>> è tutto ciò che dice ed io vorrei prendermi a testate da sola.
<<Sapevo che lo avresti trovato stupido….per questo non volevo dirtelo.>> bene, ho appena vinto il primo premio per la sfigata dell’anno. Il mio sguardo cola a picco e i piedi solo l’unica cosa che riesco ad inquadrare.
<<Non lo trovo affatto stupido, semplicemente non me l’aspettavo….anzi, lo trovo entusiasmante e se devo dirtela tutta credo che tu sia abbastanza caparbia per farlo sul serio.>> Devo ammettere che tutto mi sarei aspettata tranne che questa risposta. Mi giro a guardarlo stupita e i suoi occhi mi confermano ciò che dice.
<<Davvero ci credo….sono sicuro che puoi ottenere ciò che vuoi Eve, sei una delle ragazze più ingamba che conosco! Il coraggio per azzardare non ti è mai mancato e nemmeno la grinta. L’ho capito quando te ne sei andata e ci hai mollati tutti qui e forse questo è ciò che più mi piace di te.>>
Chi è quest’alieno e dov’è finito il ragazzo stronzo e arrogante di sempre?
<<Cioè? Ti piace il fatto che io molli tutto in continuazione?>> provo a capirci cosa ci trova di bello, dato che io l’ho sempre reputato un problema.
<<In un certo senso…sai, quelli come me sentono sempre di aver troppo da perdere, siamo così legati alle nostre radici, pur disprezzandole a volte, che spesso finiamo per lasciarci scivolare il meglio tra le dita. Tu invece te ne freghi dei rischi e ti metti in gioco. Ti ammiro sul serio per questo e un po’ ti invidio.>>
Lo guardo sorpresa da ciò che ha appena detto e proprio non so cosa pensare se non al fatto che il mio petto si stia surriscaldando.
<<Grazie Mike…lo apprezzo, davvero.>> ricambio il sorriso tenero che si è formato sul suo viso mentre la sua mano si avvicina ancora di più alla mia e i mignoli si sfiorano dolcemente. Li osservo mentre si intrecciano e quando riporto lo sguardo su di lui il mio respiro aumenta impercettibilmente insieme ai palpiti del mio cuore. Lo vedo avvicinarsi lentamente mentre in lontananza sento una voce familiare che mi chiama, la quale decido di ignorare per non rovinare questo momento stranamente perfetto. Michael deglutisce e si avvicina ancora un po’, ma la voce inconfondibile di Reine si fa sempre più vicina, finché dopo un momento di silenzio assoluto non sbuca alle nostre spalle urlando il mio nome, facendomi quasi venire un infarto per lo spavento.
<<Evelyn! Ecco dov’eri finita! Ti stavo cercando, devo parlarti di una questione importante!>> annuncia con la voce più acuta della storia mentre io e Mike ci allontaniamo l’uno dall’altro simultaneamente.
<<Arrivo subito!>> le faccio quasi il verso, ma mi costringo a trattenermi e a non alzare gli occhi al cielo. Sto per andarmene e Michael afferra la mia mano e mi fa voltare un’ultima volta. <<ci vediamo dopo>> sussurra piano ed io non confermo verbalmente ma penso che il mio sorriso lo faccia per me.
Sulla stradina di ritorno al brunch, ormai finito da tempo, lo Stregatto mi fa un elenco infinito di richieste assurde degli sposi per il giorno seguente e si raccomanda per la festa che si terrà questa sera.
<<Inizieremo con un aperitivo sul tetto panoramico, proseguirà la festa nella sala al piano inferiore e poi ci sposteremo in spiaggia per i fuochi d’artificio e il falò. Tutto chiaro?>> si accerta camminando talmente veloce che non capisco come faccia a non avere il fiatone.
<<chiarissimo. C’è dell’altro?>> chiedo esasperata sapendo che probabilmente me ne pentirò.
<<Per ora no, ma ti aggiorno dopo. Ah e per favore, la prossima volta che decidi di sparire porta con te il cellulare.>> Insinua con una faccia da schiaffi. Volevo dirle che l’ho lasciato per sbaglio nella borsa della reflex con Dylan ma ovviamente in un nano secondo si è già volatilizzata, quindi lascio perdere. Rientro in camera con i pensieri confusi su ciò che è accaduto e che forse stava per accadere con Michael poco fa, cercando una spiegazione nella mia mente sempre più combattuta. Un momento prima lo odio e un minuto dopo sto quasi per baciarlo. E’ una sensazione inspiegabile e ciò che mi fa arrabbiare è proprio il fatto di non saperlo gestire. Sono convinta di volerlo evitare e quando me lo ritrovo davanti mi sciolgo al suolo come un pupazzo di neve ad agosto. Spero solo che questi due giorni passino in fretta così da poter ritornare alla normalità priva di colpi di scena che portano il nome di Mike a caratteri hollywoodiani.

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Per questa sera sono indecisa su cosa mettere, potrei mettere dei pantaloni comodi, ma forse è il caso che metta qualcos’altro per la festa. Guardo più volte le alternative e alla fine mi faccio coraggio ed indosso un vestitino bianco ricamato ad uncinetto che arriva al ginocchio. Mi sta bene nonostante sia semplicissimo e infilo un paio di sandali bassi color oro. Applico un trucco leggero e ravvivo i capelli scuotendoli con le mani a testa in giù. Ho già preparato tutta l’attrezzatura e quando Dylan bussa alla mia porta sono pronta ad affrontare la prossima missione.
Arriviamo in anticipo come sempre per riprendere i soliti dettagli dell’aperitivo, questa volta disposti su un tavolo rotondo al centro del terrazzo all’ultimo piano. La temperatura è perfetta e arrivati in cima al tetto la vista è mozzafiato per cui ne approfitto per scattare qualche foto per il mio portfolio. Jersey Cape è coperta dai colori del tramonto mentre l’oceano è una tavola piatta ed io ne invidio la calma. Più mi immergo in quel dipinto naturale e più me ne innamoro. Resto ancora un po’ a guardare quella meraviglia persa nel rosa e nell’arancione che il sole ha lasciato dietro di se affondando nel mare. Osservo le nuvole che sembrano batuffoli di ovatta impregnati di colore quando una voce roca alle mie spalle distrae i miei pensieri.
<<Bello vero?>> non posso vederlo ma dal tono in cui lo dice percepisco che ne è colpito anche lui.
<<Dire solo che è bello sarebbe un eufemismo. E’ molto di più…>> affermo quasi sussurrando.
<<già…>> concorda mentre io decido di voltarmi a guardarlo. Con le mani in tasca e i capelli disordinati ha sempre il suo fascino, ma nei suoi occhi ancora persi all’orizzonte c’è una luce diversa. Mi rendo conto che nonostante mi spaventi a morte questa consapevolezza, la sua bellezza è innegabile e le emozioni che mi provoca sono irrazionali.
I suoi occhi contornati da ciglia scure lunghissime si posano nei miei e per un attimo vorrei che tutto il resto sparisse, che ci fossimo solo noi per continuare questo discorso che non ha bisogno di parole.
<<Buona sera Curly.>> ricomincia col nomignolo ed io non posso non sorridere, questa volta abbassando gli occhi.
<<Buona sera Michael.>> ricambio per poi oltrepassarlo esitante e cominciare a lavorare.
Presto il tetto si riempie di persone che assaggiano di tutto dal buffet e bevono champagne come non ci fosse un domani. Dylan mi lancia occhiatacce per palesare quanto ne abbia già le scatole piene di queste abboffate e soprattutto di questa gente snob che non si risparmia minimamente.
Circa un’ora dopo i camerieri coordinati da Reine invitano tutti a scendere al piano di sotto dove avranno inizio le danze. Ad aprirle sono gli sposi e le luci si abbassano mentre Frank Sinatra canta “my way” ed io e Dylan scattiamo da ogni prospettiva. A seguire le figlie dello sposo si alzano con due giovani che sembrano tutt’altro che poverelli, accingendosi a ballare anche loro. Mentre scatto mi accorgo che Michael è in piedi dall’altro lato della sala con le mani affondate nelle tasche e gli occhi fissi su di me. Quando ricambio lo sguardo mi sorride facendo un cenno con la testa in direzione della pista da ballo ed io capisco dove vuole andare a parare. Sorrido anch’io e scuoto la testa in fretta per fargli capire che non se ne parla, non lo farò di nuovo. Per fortuna non abbiamo molto tempo per pensarci perché in pochi minuti la canzone sfuma in un twist dove gran parte degli invitati si alzano e si aggregano ai presenti per sfoggiare mosse al quanto bizzarre. Io e Mike continuiamo a mandarci segnali da lontano prendendo in giro i vecchietti che sembrano i più scatenati e mi stupisce quanta complicità si stia creando tra noi in così poco tempo. Luci colorate si accendono mentre parte un mambo accompagnato dalle urla dei ballerini forse a quest’ora già su di giri. Dylan è poco distante da me e ride anche lui di gusto nel fotografare questi momenti esilaranti. La musica continua a crescere e dopo qualche minuto si accende anche la luce stroboscopica. Avverto un fastidio agli occhi che mi costringe a sbattere le palpebre più volte. I flash potenti mi stordiscono ed il fastidio aumenta mentre la testa inizia a girarmi e le mani a tremare nel giro di pochi secondi. Sento il respiro aumentare insieme al calore intorno al collo mentre mi guardo intorno spaesata. I lampi di luce sono così forti che nel percepirli mi fa letteralmente male la testa. Perdo quasi l’orientamento ma Dylan, che deve essersi accorto che qualcosa non va, mi si avvicina ed io riesco solo a chiedergli di prendere la mia reflex e di continuare a scattare.
<<Vado a prendere un po’ d’aria, non muoverti da qui e continua a lavorare finché non torno! Ti prego…>> quasi gli ordino prima, finendo per supplicarlo subito dopo.
La testa gira più forte e riesco a stento a raggiungere l’ingresso, barcollando a vista d’occhio. Mi spingo fino all’ascensore e la mano mi trema così tanto che ho difficoltà anche solo a spingere il bottone del mio piano. Mentre l’ascensore scende verso il basso, il respiro si fa più veloce e avverto che sto per entrare in iperventilazione. Devo assolutamente raggiungere la mia stanza il prima possibile, non posso perdere i sensi qui dentro, mi dico ormai in preda al panico. Provo con gli esercizi della respirazione ma senza risvolti positivi, sono già troppo oltre. Per fortuna la stanza è appena di fronte all’ascensore e nonostante tutto riesco ancora ad arrivarci e, cosa più difficile, se non impossibile, riesco miracolosamente ad inserire il codice sul tastierino numerico per entrare. Spalanco la porta e provo a raggiungere il letto accanto al quale c’è il mio kit di soccorso, ma faccio un altro passo e le mie gambe cedono clamorosamente, lasciandomi cadere a terra a pochi centimetri dalla borsa. La vista si annebbia e tanti puntini neri appaiono davanti ai miei occhi mentre sento tutto il corpo che inizia a tremare. Prima di perdere completamente conoscenza avverto solo una voce distante gridare il mio nome: <<Evelyn!!>> e poi buio totale.

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Spazio dell'autrice

🐾

Un capitolo lungo ed intenso!! Spero di riuscire a trasmettere le stesse emozioni che provo io nel vivere questa storia con i suoi alti altissimi e bassi bassissimi. Eve é brava a mascherare le sue debolezze, ma quanto riuscirà ad avere effettivamente il controllo della situazione? Ma soprattutto a chi appartiene quella voce che ha marcato l'aria come inchiostro sulla pelle appena prima che la luce diventasse oscurità assoluta?

❤️ Vi aggiornerò a breve!
Ps: commentate, stellinate se vi piacciono i capitoli che avete letto!

Love,
Mia 💞

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