VI

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Nathan camminava a passo spedito, mentre Jayson cercava di tenergli il passo, fallendo miseramente. Durante la notte era scesa una fitta neve, e adesso camminare era difficile, per fortuna erano armati e gli scarponi da neve chiusi nello stanzino erano stati utili.
«Puoi fermarti?» si lamentò cercando di mantenersi in piedi.
«Andiamo di fretta, non posso fermarmi»
«Nathan! Non riesco a camminare» sbuffò.
«Non mi interessa» rispose continuando a camminare.
«Se sei arrabbiato con me, perché mi hai chiesto di venire con te oggi?» domandò fermandosi guardandolo di spalle. Anche Nathan si fermò, e si voltò per fronteggiarlo.
«Perché è il mio lavoro, e una stupida litigata con un ragazzo altrettanto stupido non vale la pena smettere di fare ciò che so fare meglio» rispose con un sorrisetto che fece innervosire il giovane.
«Scusami? Sarei io lo stupido?!»
«Negli ultimi giorni ho visto solo te, quindi...» fece finta di pensarci. «Direi di sì»
«Qui l'unico stupido sei tu. Pensi di sapere come sono, be', non sono più il Jayson che conoscevi» sbottò, incrociando le braccia al petto.
«Scusa, non ti sento» gli voltò le spalle e riprese a camminare lungo il viale. Si fermò subito quando ricevette un colpo dietro la schiena, lentamente si girò trovando subito lo sguardo dell'altro, il quale lo guardava riuscendo a stento a trattenere una risata.
«Sei veramente un bambino viziato»
Jayson a quel punto non riuscì più a trattenere la risata, e cercò di nascondersi per evitare che l'altro potesse colpirlo ricambiando il colpo.
«Guarda che ti prendo, e quando lo farò, rimpiangerai questo tuo scherzetto» disse iniziando ad inseguirlo, ma Jayson era più avanti di lui e riuscì a sfuggirgli. Continuò a guardarsi indietro, fino a quando non lo vide più, ma fu sorpreso alle spalle proprio dall'altro e quando si voltò lo trovò ad un palmo dal proprio viso, sentendo perfino il respiro caldo dell'altro soffiare sulle labbra. Si guardarono negli occhi, e a Jayson sembrò essere tornato a tanti anni prima quando sapeva che avrebbe fatto di tutto per quei occhi, per quel ragazzo. Si allontanò di un passo, e distolse lo sguardo fingendo di guardare il luogo intorno a loro, nonostante fosse un semplice viale.
«Dovremmo andare» disse, continuando ad allontanarsi.
Nathan si schiarì la voce, e non rispose, ma ritornò sulla strada per continuare a camminare, Jayson lo affiancò e non disse più una parola.
«Dobbiamo andare da Moose, ci sta aspettando dal venditore. Vediamo gli alberi, ci dici se ti piacciono altrimenti andiamo da un'altra parte» disse Nathan, rompendo il silenzio.
«D'accordo» rispose solo. Arrivarono in poco tempo, e trovarono subito Moose con il caffè in mano, che parlava con un ragazzo poco più basso di lui, ma si accorse subito di loro.
«Ne avete messo di tempo! Siamo pronti?» esclamò contento, abbracciando sia uno che l'altro.
«Ciao, Jessie. Tuo nonno è dentro?» domandò Nathan al giovane sconosciuto, almeno per Jayson.
«Si, vi sta aspettando» gli sorrise e poi puntò lo sguardo su Jay, e gli porse una mano.
«Sono Jessie, il nipote di Yuri, il proprietario» Jayson ricambiò la stretta e si presentò a sua volta, poi seguì gli altri per conoscere Yuri e scegliere finalmente gli alberi da mettere in casa.
Furono accolti da un omaccione dai capelli ricci e rossi, con grandi occhi azzurri, a tratti faceva anche paura per quanto fossero chiari, ma poi quando abbracciò - o meglio, stritolò - Nathan, si poteva benissimo notare quanto fosse buono. Yuri gli consigliò i più bei alberi di Natale mai visti e alla fine Jayson scelse tre alberi veri; stava già pensando a come addobbarli e quanto si sarebbe divertito nel farlo. Una lieve malinconia lo accolse, e Nathan se ne accorse; per questo appena salutarono Yuri e Jessie, uscirono e disse a Moose di cominciare ad andare, e che loro lo avrebbero raggiunto poi. Prese la strada di casa di Jayson, ma poi invece di fermarsi proseguì dritto. L'altro subito lo guardò.
«Guarda che era quella casa mia»
«Si, lo so»
«E allora dove stai andando?»
«Ti voglio portare in un posto, e poi torniamo da te. Tanto Moose farà le sue solite soste» spiegò, e l'altro decise di fidarsi. Come sempre. L'auto si fermò dopo pochi minuti, e Jayson spalancò la bocca appena riconobbe il posto in cui l'altro lo aveva portato. Uscì subito dalla macchina, per fiondarsi sulla collina e ammirare così le luci della città, alcune auto che andavano e venivano, e le persone sembravano formiche minuscole.
«È bellissimo qui» disse appena sentì l'altro affiancarlo.
«È vero. Tutto è cambiato nella mia vita, ma questo posto resta sempre uguale» sospirò sedendosi sull'erba. Jayson lo seguì subito.
«Ti riferisci ai tuoi genitori?» domandò sapendo quanto l'altro avesse sofferto per la morte dei suoi genitori adottivi. Per fortuna Nathan in quel momento non si trovava con loro, perché era con Jayson e suo fratello, ma avrebbe potuto rischiare grosso anche lui, e Jayson ricordava il dolore al sol pensare di poterlo perdere. Alla fine lo aveva - in un modo completamente diverso - perso.
«Si, ma non solo» lo guardò ma l'altro distolse subito lo sguardo.
«Sembravi triste nel negozio» cambiò discorso, Nathan, mentre entrambi guardavano verso il panorama.
Jayson alzò le spalle. «In questi giorni mi sento solo, torno a casa e non c'è nessuno. E stavo pensando a quanto sarebbe stato divertente fare tutto questo con Marcus, e invece lui è dall'altra parte a pensare al lavoro» sospirò.
«Mi dispiace» disse, nonostante sapesse con tutto se stessa che non era assolutamente la verità.
«Sei un bugiardo» rispose infatti Jayson, che lo conosceva bene tanto da sapere quando diceva una bugia, e lo stesso valeva per l'altro.
«È vero, mi dispiace che tu ti senta solo. Meno che ti manchi il tuo ragazzo» ammise, però sorrideva.
«Tu hai avuto qualche relazione dopo il college?» domandò anche se avrebbe voluto dire: dopo di me.
«No» rispose. «O almeno niente che fosse importante. E non perché non c'è ne sia stata l'occasione, ma quando un ragazzo provava anche solo a dirmi di uscire per un appuntamento, farmi conoscere qualche loro amico o famigliare io entravo in panico. Non ho mai smesso di pensare a te» ammise.
«Nathan, sei stato tu a lasciarmi. E se non si fosse messo in mezzo mio fratello penso che tu non mi avresti mai cercato»
«E quindi? Se ti avessi cercato tu avresti lasciato il tuo compagno per me?» domandò ironico.
«No!» esclamò, stupito che l'altro potesse anche solo pensarlo. «Ma avremmo potuto chiarire, comportarci da adulti. Io ti ho scritto dopo il college ma tu non hai mai risposto, ti comportavi da offeso nonostante fossi stato io quello lasciato senza nemmeno una spiegazione»
«Avevo bisogno di stare da solo— dopo la morte dei miei genitori niente sembrava più avere un senso, nemmeno la mia storia con te» quelle parole furono solo una pugnalata al petto per Jayson. Sentirgli dire che la loro relazione non aveva più un senso, e che probabilmente lui aveva smesso di amarlo, non potè negare che fece più male del previsto.
«Voglio tornare a casa» disse alzandosi, si pulì il jeans e raggiunse subito l'auto senza aspettare l'altro.
«Jay, devi sentire i miei motivi. Adesso posso dirteli» lo raggiunse costringendolo a guardarlo in faccia.
«Non mi interessa. Io ci sono stato per te, sempre, anche quando eravamo amici. Quando io poi sono stato male, tu non ti sei fatto vivo. Quindi scusami se adesso non ho voglia di stare a sentire le tue scuse patetiche» sbottò.
«Il motivo per cui ti ho lasciato era perché non volevo trascinarti giù con me, io stavo davvero male— Cassy e Lucas erano tutto per me e quando li ho persi avevo paura di perdere tutto perché non riuscivo più a vivere—»
«Avresti dovuto dirmelo prima, non oggi. Ti avrei dato il tuo spazio, mi sarei fatto da parte e avrei capito invece hai deciso anche per me e questo non te lo perdonerò mai» si sentì un tuono in lontananza e poco dopo iniziò a piovere.
«Apri l'auto» disse con la voce ovattata dalla pioggia. Entrarono un'auto, e Nathan si sbrigò a mettere in moto. Per un po' ci fu solo silenzio nell'abitacolo, poi il cellulare di Jayson cominciò a squillare: Marcus.
«Amore? Ciao» Nathan alzò gli occhi al cielo, ma non disse niente. Jayson continuò a parlare al telefono, ma Nathan decise di non ascoltare la loro conversazione, riuscì solo a percepire il tono triste e rassegnato del giovane.
«Si, anche io» mormorò, cercando di non farsi sentire dall'altro, ma era praticamente inutile visto che c'erano solo loro nell'auto. Jayson mise giù, e il silenzio tornò in quel piccolo spazio che condividevano. La pioggia continuava a battere incessantemente sui vetri.
«Come fai ad amare uno così?» non riuscì a trattenersi dal dire.
«In che senso uno così? Non lo conosci nemmeno»
«Tuo fratello me lo ha descritto benissimo»
«Tuo e Mitch avete parlato di me e Marcus?» chiese nonostante sapesse già la risposta.
«Non è andata proprio così» cercò di risolvere la situazione.
«Ah no?! Sicuro mio fratello avrà usato termini poco consoni. Ti ho già detto che Marcus è una bella persona e lui—»
«Come fai a difenderlo dopo che ti ha tradito?!» alzò la voce cercando di non distogliere l'attenzione dalla strada, ma con la pioggia e il parlare la cosa diventava sempre più difficile.
«Troppo facile giudicare me! Ma che ne sai tu di cosa ho passato! Non è stato facile, ok? Ma l'ho perdonato e non devo dare conto a nessuno, è la mia vita! La mia!» urlò.
«Nessuno ti ha costretto a farlo! Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Lo sai che chi tradisce non ama, e lui lo ha fatto più volte! Hai paura di restare solo, e per questo dici di averlo perdonato, non perché lo ami»
«Tu non sai niente, Nathan. Niente» mormorò stanco.
«Si, lo so. E non capisco come tu possa aver perdonato lui, ma continui ad odiare me»
«Perché tu te ne sei andato!» urlò di nuovo. «Io ti amavo! Avrei dato tutto me stesso per te! E ho capito perché l'hai fatto, ma poi saresti dovuto tornare» Nathan cercò in tutti i modi di toccarlo, perché voleva chiedere scusa a suo modo ma appena incrociò i suoi occhi, entrambi furono illuminati da una luce potente e il rumore di un clacson li riscosse. Jayson urlò e Nathan cercò in tutti i modi di sviare l'auto che gli stava venendo addosso, ma per scansare quella dovettero uscire fuori strada e schiantarsi contro un albero. Jayson iniziò a respirare affannosamente, mentre Nathan si passava le mani sul volto sconvolto per ciò che era successo.
«Stai bene?» domandò guardandolo, mentre l'altro cercava di regolarizzare il respiro, e annuì lentamente. In un attimo le loro labbra erano incollate, non seppero dire chi dei due iniziò, ma non aveva importanza. L'unica cosa che contava era continuare a baciarsi, dapprima in modo lento e dolce, ma poi divenne sempre più passionale, fermarsi era impossibile. Si scostarono, ma solo per spostarsi nei sedili posteriori e poi ripresero a baciarsi. Con gesti quasi frenetici iniziarono a spogliarsi, e nonostante fuori stesse piovendo e ci fossero poco più di due gradi, la loro pelle era bollente. In un attimo il giovane salì a cavalcioni sulle gambe di Nathan, riprendendo a baciarlo. In poco tempo erano entrambi nudi, Jayson afferrò un preservativo dai pantaloni dell'altro, ma fu bloccato dall'altro.
«Sei sicuro?» domandò per evitare che l'altro potesse pentirsi di osare così tanto con lui. Ma l'altro invece di rispondergli, gli infilò il preservativo e lo prese dentro di sé. A quel punto Nathan dovette arrendersi, ma sapeva in cuor suo che era esattamente ciò che voleva. Jayson mosse i fianchi, provocando gemiti di piacere ad entrambi, Nathan osò un po' di più e portò le sue mani suoi glutei dell'altro, li strinse e lo fece poi vicino al suo corpo. I loro respiri si mescolarono, le labbra si sfioravano e i loro corpi diventarono lucidi, il ritmo si fece sempre più veloce e i gemiti sempre più rumorosi. Nathan gli lasciava baci sul collo, sul petto, su ogni parte del viso mentre Jayson si aggrappava a lui con tutte e due le mani, afferrando i suoi capelli, e li tirava quando sentiva il suo corpo scosso dal piacere che stava per arrivare. In poco tempo raggiunsero - quasi contemporaneamente - l'orgasmo. Jayson poggiò la fronte su quella dell'altro, e chiuse gli occhi, rilassando i muscoli e poggiandosi completamente sull'altro, accettando le carezze che gli stava donando. Per un po' stettero in silenzio, poi Nathan parlò.
«Mi sei mancato» sussurrò, come se avesse paura che con quelle parole Jayson sarebbe potuto scappare, nonostante sapesse che era quasi impossibile. Jayson aprì gli occhi, gli fece una carezza, gli diede un bacio sulle labbra e poggiò la testa sulla sua spalla. In quel momento non servivano le parole.

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