Capitolo 2

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La ragazza correva a perdifiato nella boscaglia, cercando di non badare ai rami che le strappavano i vestiti graffiandole la pelle ambrata. Le foglie scricchiolavano sotto gli stivali, un rumore che le piaceva ma non poteva godersela in quella situazione.
Il suo inseguitore era a cavallo, ma non poteva tenere un'alta velocità per non rischiare di azzoppare il cavallo sul terreno irregolare trapunto di massi e grosse radici.
Il rumore del fiume si faceva più forte e la ragazza aumentò il passo. Il fiume rappresentava la sua salvezza: c'era un ponte per attraversarlo ma era troppo piccolo per passarci a cavallo, il cavaliere avrebbe dovuto cercare un altro punto di guado e nel frattempo lei lei era sicura di riuscire a far perdere le sue tracce. Ormai il ponte era in vista ma l'inseguitore si era avvicinato; la giovane aumentò la velocità nonostante i polmoni cominciassero a bruciare, ogni respiro era come una fitta ma il ponte era a portata. Venti metri, dieci metri, cinque… Il cavallo saltò sopra la sua testa e le sbarrò la strada appena prima del ponte. Il cavaliere balzò a terra in un lampo, prese la ragazza e la mise sul destriero con poca grazia.
La giovane, troppo stanca per tentare qualsiasi resistenza, incrociò le braccia sconfitta.

«Ti sembra il modo di trattarmi? Sei il mio schiavo, ti posso far frustare.»

«Veramente sono lo schiavo di tua sorella», rispose il ragazzo, che doveva essere due o tre anni più grande di lei, con un sorriso beffardo.

«Ed è stata lei a ordinarmi di riportarti a casa!
Aline, perché sei scappata di nuovo?» aggiunse con tono più comprensivo.

«Non devo risponderne a te.»

«Sei tutta graffiata, ti fa molto male?»

«No. Coraggio riportami a casa.»

Il giovane prese il cavallo per le briglie e lo accompagnò al passo.
«Dai Gillian, sali anche tu!»
«Bezzy non può sostenerci entrambi, si stancherebbe troppo.»

«Ma così ci metteremo molto più tempo.»

«Se non scappavi così lontano ci avremmo messo meno.»

Aline non aveva più voglia di ribattere e si limitò a osservare i capelli rossicci e cespugliosi di Gillian.
Arrivarono alla villa poco prima del tramonto. Appena varcato il muro di cinta trovarono ad aspettarli la sorella di Aline.

«Finalmente sei tornata! Gillian ha cose più importanti da fare che star dietro alle avventure di una ragazzina!»

«Allora perché non le fa?»

La sorella fece un respiro profondo.

«Aline, hai sedici anni, non sei più una bambina. Oggi hai perso un'altra lezione di galateo. Mancano solo pochi mesi al matrimonio.»

«Non voglio sposarmi con Balakan.»

«È tuo dovere! Se ci fossero i nostri genitori…»

«Ma non ci sono più!» rispose seccamente Aline dirigendosi a passo serrato verso l'ingresso della casa.
«Aline! Aline! » la richiamò la sorella, ma la ragazza non si fermò.
«Oh Gillian, cosa devo fare con lei?»

«Devi capirla padrona. Nel giro di pochi mesi il suo mondo è crollato: ha perso i genitori e ha dovuto separarsi dalla persona che amava.»

«Amore? Aveva quattordici anni, non era amore.»
«Perdonami padrona, forse non era amore vero, ma lo era per lei.»
La giovane scosse la testa.
«Io la capisco sai? Sposarsi con un uomo più vecchio che neanche le piace. L'ho fatto anche io, e almeno in quanto primogenita  ho potuto rimanere in questa casa, dove sono nata e cresciuta mentre lei dovrà andarsene. Ma non vuol dire che può fare tutto quello che vuole. E poi il suo matrimonio è stata la scelta migliore, non si poteva fare altro.»

«In realtà sì.»

«Adesso osi troppo, Gillian. Ora, se non vuoi essere punito, vai ad aiutare gli stallieri a preparare i cavalli, mio marito parte domani all'alba e grazie al cielo starà via un po' di tempo.»
Gillian si inchinò, per poi dirigersi verso le stalle.

***

La ragazza attraversò il lungo corridoio da cui filtrava la luce argentea della luna, finché non si trovò di fronte a una grande porta di legno con delle scene di cavalieri, nobili e principesse rappresentate in bassorilievo. Bussò alla porta.
«Aline, sono Emma. Apri.»

Non ci fu risposta.
«Aline, non sei scesa a cena, ti ho portato da mangiare»

«Perché non hai mandato un'ancella o uno schiavo?»

«Ti devo parlare.»

Poco dopo si sentì un rumore di chiavi e la porta si aprì.
Aline indossava una veste azzurra che la copriva fino alle caviglie e i capelli scuri scendevano lisci e setosi fino al seno abbastanza pronunciato, per poi curvarsi in un piccolo riccio. I suoi occhi erano penetranti come un coltello di ossidiana. Emma non riuscì a sostenere lo sguardo e chinò il capo prima di entrare nella stanza; appoggiò il vassoio con il cibo su un tavolino di fronte al camino e poi si sedette sul letto, a poca distanza.
Aline si mise al tavolo e ignorando le posate prese in mano un cosciotto e lo azzannò.
«Cosa vuoi?»
Chiese Aline, dopo aver ingoiato il primo boccone.

«Non potresti mangiare in maniera più consona?»
Per tutta risposta Aline masticò più rumorosamente. Emma sospirò preferendo ignorare la provocazione.
«Perché oggi sei scappata ancora? Dove volevi andare?»
«Lontano da qui, da te, da Raganar e tutti gli altri. Non voglio più stare in questa casa.»

«Menti. Tu ami questa casa.»

«Beh, tanto la dovrò lasciare presto! Per colpa tua.»
«Aline, non avevo scelta. Da quando i nostri genitori… Sono io che mi devo prendere cura di te. E devi sposare Balakan.»

«Io non lo amo, io non posso sposarlo.»

«Nemmeno io amo Raganar ma l'ho sposato lo stesso perché era il mio dovere.»

«Il dovere! E chi lo dice? I nostri genitori…»

«Avrebbero fatto le stesse cose che ho fatto io.»

Il drago di Arenal {sospesa} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora