Lei

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«Hai degli occhi bellissimi, lo sai?» cinguettò allegramente la maestra. La bambina sorrise con poca convinzione. «Grazie» borbottò sottovoce.
Non riusciva a pensare lucidamente: il braccio le faceva parecchio male e oltre tutto lo sentiva umido ed appiccicoso sotto le maniche.
Si sforzò di allargare il sorriso, ottenendo una smorfia più inquietante che carina.
La donna rimase stranita e ridacchiò, cercando di darsi un comtegno. Si sentiva a disagio, ma non voleva darlo a vedere. I grossi occhi rossi della bambina la affascinavano e allarmavano allo stesso tempo.
«Posso andare in bagno?» mormorò la piccola senza abbassare lo sguardo, una nota di urgenza nella voce.
«Certo» fece la maestra, a voce un po' troppo alta.
La bambina corse verso la porta, stringend il braccio destro. Attraversò il corridoio. Si chiuse nelle piccola stanzetta, inondata di profumo di limone, dei bagni. La ricreazione stava per finire, doveva sbrigarsi.

Fa male.
Fa. Male.

Scopre la pelle insanguinata. Il solo sfregamento del tessuto contro i tagli la fa quasi urlare.
Senza pensarci due volte mette il braccio sotto l'acqua gelida del lavandino.

Fa troppo male, ma il contatto con il liquido le da un mite sollievo.
Sorride, non come prima ma beatamente. Una parte di lei vuole, quel dolore: lo assapora. Perché provocarselo la rende libera di non essere solo carina e composta. Farlo è come urlare che non va tutto bene. Che dentro è marcia.
Che non vuole giocare con gli altri bambini. Sta tanto bene da sola.
Eppure deve fingere di essere come loro: divertita, allegra, spensierata.
Ignorare che ci siano problemi a casa. Illudersi che i suoi siano felici e la considerino. Del resto una bimba tanto carina che problemi potrebbe mai avere?
Perché non dovrebbe essere felice?
Quando si taglia, una parte di lei freme di eccitazione e gioia feroce. Si sfoga. Vorrebbe mostrarsi, sbandierare a tutti quello che cova dentro di sé. Ma si vergogna troppo.

Questa volta ha esagerato: le ferite sono troppo profonde e non si rimarginano. Le ricucirebbe, se sapesse come fare. La campana suona, ma non la sente: lo scroscio dell'acqua copre il suono.
Non importa: troverà alcol, ago e filo e sistemerà i tagli, capace o no. 

Deve ricomporsi. Sorridere.
È pallida. Troppo pallida.
Si pizzica più volte le guance. Ora paiono rosse e dolciotte come piacciono ai grandi. Magari la maestra non...

<<Oddio il tuo povero braccio!>>
La maestra si portò le mani alla bocca, scioccata. La piccola teneva sotto l'acqua il braccino, coperto da almeno una decina di tagli, di cui tre piuttosto profondi.
<<Tesoro... Chi ti ha fatto questo? Dobbiamo medicarti subito!>> Per un momento i loro occhi si incontrarono. Non c'era traccia del falso sorriso sul candido visino . Nello sguardo della bimba c'era solo terrore.

Ha visto.

<<Su, andiamo.>> la prese in braccio, ignorando l'inquietudine che provava. Ora non era importante.

Ha visto. Ma pensa che sia stato qualcun altro.
Non importa. Chiamerà i miei genitori...
"E perché non dovrebbe? Così sapranno che sei pazza e ti daranno un po' di considerazione, no?"
Non voglio. Ho paura.
"Di cosa?"
Ho fatto una cosa che una bambina non dovrebbe fare.
"Quindi ti vedranno per come sei, non è questo che volevi?"
No... no... loro... mi odieranno.

<<Mi metta giù, per favore.>>
<<Ok, ok. Ci siamo.>>
La mette a sedere sulla brandina dell'infermeria.
<<Dov'è andata quell'incompetente!?>> gracchia la maestra.
Potrebbe scappare. No... La maestra è più grande ed è in forze, a differenza sua... E poi dove andrebbe?

Non ho scuse. 

I tagli non possono essere dovuti ad un incidente: sono troppo regolari.
Ma forse... perché no? Potrebbe semplicemente dire la verità. È una bambina. La manderebbero dallo psicologo, sarebbero tutti così preoccupati... 

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