Il giorno dopo i miei genitori mi portarono in ospedale, per capire cosa mi stava succedendo.
Nella stanza in cui stavo c'erano quattro letti, le pareti erano bianche e verdi, e potete immaginare che tristezza c'era. Un posto freddo, triste, malinconico. Sopratutto un posto senza quel calore di casa. E col calore intendo l'amore, la sicurezza, tutto un insieme di queste cose.
I miei genitori non sapevano che i medici avrebbero deciso di ricoverarmi, e non avevano portato nessun cambio, quindi mia madre si fece accompagnare a casa a prendere quello che serviva per stare qualche giorno.
Passarono più o meno quattro giorni, e in quei quattro giorni mi fecero tutti gli esami che si fanno normalmente, e potete immaginare i pianti e gli strilli che facevo, dato che provavo dolore e paura.
E poi arrivò il giorno del mio compleanno, e pensavo che i medici almeno per quel giorno speciale mi mandassero a casa a festeggiare con la mia famiglia e sopratutto la mia migliore amica, ma non andò così. Festeggiai il compleanno li in ospedale, gli invitati erano quelli che stavano nella mia stanza, due persone, io e i miei genitori, e nessun altro. Nessuno dei miei amici è venuto, neanche la mia migliore amica. Nessuna telefonata, niente di niente. Mia madre mi regalò una piccola torta come regalo, e il mio compleanno fu così. Poteva essere un giorno felice, come lo è sempre stato, ma era soltanto un giorno da dimenticare. Posso affermare che quello era il compleanno più brutto della mia vita. Avevo compiuto sette anni.
I giorni passavano e i medici ancora non avevano una diagnosi precisa, non riuscivano a capire cosa avessi, se un virus, una specie di influenza, nessuno riusciva a capirlo. Così presero la decisione di trasferirmi all'ospedale di Napoli.
Arrivammo anche nell'ospedale di Napoli, e anche li mi fecero gli stessi esami. A Napoli ci restammo un mese, senza mai fare ritorno a casa. L'unica cosa che mi consolava di quel posto era una piccola stanza dei giochi, dove c'era un televisore, ogni tanto si bloccava ma era già qualcosa.
Nella stanza dove dormivo c'erano altri bambini, ma la cosa non è che mi entusiasmava molto, dato che mi ero chiuso un po' in me stesso, dopo tutto quello che stavo passando.
Anche a Napoli purtroppo non avevano una diagnosi precisa, avevano qualche sospetto di qualcosa ma non ne erano così sicuri, così decisero di mandarmi in un'altro ospedale, questa volta a Milano.
Per andare a Milano prendemmo L'Aereo, ed era la prima volta per me, quindi ero emozionato all'idea di fare una cosa nuova, ma allo stesso tempo ero triste perché sapevo che neanche questa volta sarei tornato a casa.
Arrivammo finalmente a Milano e andammo a casa di amici di mio padre, che ci ospitarono per la notte, perché l'indomani saremmo andati dritti in ospedale.
L'indomani ci svegliamo presto perché dovevamo arrivare presto in ospedale. Prendemmo il taxi e andammo.
Quando stavo nel taxi pensavo che almeno in questo nuovo ospedale mi avrebbero fatto cose normali, tipo analisi e cose varie, ma in realtà mi aspettava altra sofferenza, altre paure e altri dolori.
I giorni passavano anche li, l'ospedale era grande, e per mia fortuna c'era anche li una stanza con la televisione e un videoregistratore, giocattoli e i famosi librottini, sicuramente ve li ricorderete.
E da lì nacque anche la passione per la lettura, per le fiabe. Perché nelle fiabe il mondo era diverso, era più bello. C'erano risate, gente allegra, e tanto altro. Nel mondo in cui vivevo io non era così, era molto ma molto diverso, forse è anche per questo che mi sono fatto tutto un mondo mio nella mia testa, per scappare dalla vera realtà e rifugiarmi nel mio piccolo mondo.
Un giorno mi portarono a fare un esame molto particolare, e il medico come al solito mi disse che non era niente di doloroso, e invece era dolorosissimo. Questo esame consisteva nel mettere tanti aghi in tutto il viso, e ad un certo punto sentivo come delle piccole scosse, e il dolore aumentava. Non ricordo quando durò, ma sembrava una eternità, io dicevo basta e il medico continuava, non gliene importava nulla del dolore che provavo, volevo vedere lui al posto mio.
Un paio di giorni dopo un medico mi venne a prendere nella sala giochi e mi portò nella stanza dove facevano le analisi, e pensai che mi dovessero fare un prelievo o semplicemente sentirmi i bronchi, ma in realtà dovevo subire un'altro esame doloroso. Mi alzarono la maglietta e mi dissero di stare immobile. E ad un certo punto sentì un dolore fortissimo alla schiena, perché mi avevano infilato un ago nella spina dorsale. Non ricordo con precisione come si chiamasse quel esame, ricordo soltanto un forte dolore.
Poi arrivò quel giorno dove i medici fecero la diagnosi, ovviamente io non c'ero, stavo con gli altri bambini nella sala giochi. I medici dissero ai miei genitori che la malattia si chiamava Paralisi Bulbare Progressiva. Mia madre perse i sensi e cadde a terra, mio padre si sentì male. È brutto per due genitori scoprire che il proprio figlio ha una malattia, perché fino a qualche tempo fa era un bambino come tutti gli altri e ora si ritrova a dover combattere contro una cosa che è più grande di lui.
••
Spazio Autore.
Chiedo scusa se per caso mi sono ripetuto con le parole o per qualche errore di scrittura, ma come ben saprete io non sono uno scrittore, e quindi mi viene spontaneo scrivere così, in modo genuino.
Spero che questa mia storia vi faccia capire che bisogna avere rispetto di ciò che si ha, e che non bisogna mai esagerare, perché voi rispetto a me, siete FORTUNATISSIMI, quindi godetevi la vita sempre rispettando i limiti.
Se vi va lasciate una stellina e un commento. ❤️