E la paura di quel temporale come ci stringeva...

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                                                                                    Tommaso

Preparai velocemente le poche cose che avevo con me in ospedale, firmai il foglio di dimissioni e uscii fuori ad attendere Giada. Mi aveva mandato un sms dicendomi che stava arrivando. Non vedevo l'ora di tornarmene a casa. Il cielo si era imbrunito, prometteva pioggia. Pregai che non iniziasse proprio mentre aspettavo mia sorella. Sorvegliavo l'entrata e, quando vidi Giada dirigersi a passo spedito verso di essa, la chiamai a gran voce e la raggiunsi.

"Grazie..."

"Di nulla...come ti senti?"

"Meglio...e starò ancora meglio una volta a casa!"

"Ascolta...in macchina c'è Emma...eravamo in giro e..."

"Adesso capisco tutte quelle storie per venirmi a prendere..."

Prese il mio borsone e ci dirigemmo in macchina. Mi sedetti sui sedili posteriori, salutandola con un semplice ciao. Si voltò guardandomi con la cosa dell'occhio e ricambiando il mio saluto in modo piuttosto freddo. Mi appoggiai allo schienale, e Giada iniziò a guidare. Fu il viaggio più silenzioso e teso che ricordassi di avere mai fatto. Giada provò a sciogliere il ghiaccio dicendo ad Emma di provare un nuovo rossetto che aveva comprato e che era nella sua borsa. Ne frugò all'interno e ,dopo averlo trovato, abbassò l'aletta parasole e si passò quel colore bordeaux sulle labbra. Quando si accorse di come la guardassi attraverso lo specchietto si bloccò, chiuse l'aletta e rimise il rossetto nella borsa di mia sorella.

"Ti sta benissimo Emma!non pensi anche tu Tommaso?"

Si accorse subito di aver fatto una gaffe tremenda, ma per fortuna eravamo giunti sotto il mio appartamento.

"Si...penso le stia davvero bene...grazie del passaggio Giada! ciao Emma"

"Ciao Tommaso..."

Giada si offrì per accompagnarmi a casa, ma le dissi che non ce n'era bisogno. Diedi un'ultima occhiata all'auto di Giada, Emma mi guardò per due secondi e poi tornò ad orientare lo sguardo verso la strada. Ripartirono. Io rientrai nel mio appartamento, gettai il borsone vicino il divano e mi diressi in camera da letto, stendendomi sul letto: mi era mancato davvero tanto. Avrei dovuto aspettare un'altra settimana per togliere i punti, e quindi per poter fare una doccia completa. Ma il fatto di essere tornato a casa era già un grosso passo. Andai in bagno per darmi una sciacquata. Aprii l'acqua calda, ma stentò ad uscire. Scesi a controllare la caldaia nel locale lavanderia: era spenta. Quasi rimpiansi l'ospedale in quel momento. Fuori iniziò a piovere a dirotto e si alzò un forte vento, così forte che, una volta tornato in casa, mi accorsi fosse saltata la corrente. Sbuffai e mi misi le mani sui fianchi. Avevo fatto appena due rampe di scale, eppure sentivo la ferita pulsare. L'unica soluzione rimaneva quella di accendere il caminetto. Quando avevo comprato l'appartamento e l'avevo ristrutturato, mi avevano consigliato di toglierlo. Ma a me piaceva, quindi avevo deciso di tenerlo. Avevo della legna in garage, ma non potevo fare sforzi per caricarmela fino in casa. Provai a chiamare sia Caterina che Giada, ma nessuna delle due era raggiungibile. Stessa cosa per Bruno. Mio padre lo escludevo a priori: dopo la morte della mamma non aveva più guidato, e ci vedevamo solo se ero io ad andare da lui. L'unica soluzione era Emma, ma dovetti escludere anche lei: non mi avrebbe mai risposto . Presi una coperta e mi stesi sul divano. Quando la casa cadde quasi in totale oscurità, armato di torcia al cellulare, andai alla ricerca di qualche candela. Ne trovai due e le sistemai una in cucina e una in salotto. Dopo un'ora la noia ebbe la meglio: provai a richiamare mia sorella, ma nulla. Pensai che il mal tempo avesse interrotto anche la rete mobile. Mi decisi a comporre quel numero, tanto per provare che il mio pensiero fosse giusto. Invece no. Uno squillo. Due. Tre. Stavo per riattaccare, ma sentii quella voce.

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