Mascolinità e femminilità

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Simone era seduto, il foglio bianco sembrava ormai fissarlo da una buona mezz'ora, la matita era giusto a qualche centimetro di distanza, ma quella sera estremamente scomoda: così tanto da rendergli impossibile impugnarla per disegnare.
Aveva in mente ogni dettaglio: la piega della bocca, l'inclinazione del collo, le gambe piegate con le ginocchia appena sotto il mento, i capelli lunghi che in parte cadevano con morbidezza, ma in maniera scomposta, sulle spalle, in parte raccolti da una molletta avorio. Quella, poi doveva essere l'unico punto di luce del disegno: tutto il resto doveva assolutamente essere scuro e sporco. Era necessario che Lei apparisse sconvolta, come se avesse appena deciso di accovacciarsi a piangere dopo una rovinosa caduta a terra. Ma nessuna lacrima doveva nascere dai suoi occhi, non doveva nemmeno sembrare in sofferenza dall'espressione del viso.
Solo un aspetto del disegno non era stato ancora deciso, era questo che gli rendeva impossibile iniziare: lo sfondo era il grande mistero. Sicuramente sarebbe stato scuro, ma avrebbe dovuto trasmettere speranza o sconforto? Doveva dare un finale felice oppure desolante al disegno?
Tutte queste cose Simone le sentiva, ma non le sapeva formulare a parole: non era in grado di dare un filo logico alle alternative che apparivano al suo occhio interiore. Riusciva a vedere chiaramente tutte le possibilità come delle polaroid affiancate nella sua mente, ma non avrebbe saputo spiegarle.
Finalmente decise: era necessario, anzi vitale, che lo sfondo fosse roccioso, aspro; come fossero macigni sparati da un vulcano e rumorosamente atterrati su un terreno soffice. Tuttavia la ragazza non doveva assolutamente sembrare ferita dalle rocce, né doveva essersi sporcata con quelle. La polvere che la ricopriva doveva essere volatile, impalpabile: come fosse fumo pronto a scoprirla al minimo accenno di vento. Anzi, non doveva nemmeno essere sporca, molto, molto meglio, il fumo. Sì, sarebbe stata accovacciata sui lapilli è avvolta dal fumo.
Si era graffiata. Ma quei graffi erano dovuti a un cespuglio di rose, che non poteva essere parte dello sfondo. Andava, però, messa una rosa che, con le spine, si era in qualche maniera aggrappata alla spalla di destra, senza riuscire a farla sanguinare.
Perché questo disegno? Chi era quella ragazza? Perché era finita lì?
Chi sei?
La risposta l'avrebbe data soltanto la matita. Quella matita era così scomoda, così pesante per una ragione precisa.
Un enorme sforzo e la sollevò con la mano leggermente tremante, esitante tracciò la prima linea incerta.
No, andava cancellata, andava rifatta.
Prese la gomma, e tracciò nuovamente la linea. Riuscì così a iniziare e la matita andava esattamente dove lui la guidava. L'incertezza era scomparsa, lasciando spazio a un angoscioso dolore.
Sembrava che anche la matita conoscesse fino all'ultimo dettaglio quello che il ragazzo aveva in mente. Sembrava lo sapesse meglio di lui, infatti i punti di luce si moltiplicarono: senza preavviso, senza premeditazione, aggiunse, sui piedi, una candida piuma di gabbiano.

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