Capitolo 1 - L'appuntamento al buio.

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Inutile fare le solite premesse, dire le solite cose che dico ogni volta che inizio una storia nuova (avendone sempre di più in sospeso), parliamo semplicemente delle cose di questa storia. Ho iniziato a scriverla solo per divertirmi, ho sempre pensato che scrivere una fanfiction non mi lasciasse molti spazi, che mi desse un freno su cosa far dire ai personaggi e cosa fargli succedere ma ho deciso di non lasciare tutto ciò che già sapete su Regina ed Emma. Ho deciso di lasciare solo i loro caratteri, sperando di non fallire miseramente. Io adoro Regina, amo infinitamente Lana e per questo ho paura che ne esca una pacchianata assurda, ma sto rimandando una storia con entrambe da troppo tempo e a prescindere da tutto so che sarà divertente, almeno per me. 😅
La mia idea era però quella di unire il mondo di Once Upon A Time con quello di Rizzoli & Isles, parlando proprio delle due ship che avrei voluto vedere in tv. La storia si svilupperà dal punto di vista di Emma, con spazi in terza persona per accennare eventualmente dettagli di altri personaggi. Ovviamente "come una pallonata dritta allo stomaco" continuerò ad aggiornarla. Credo di aver detto tutto, abbiate pietà 🤣 buona lettura. ❤️
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Era una serata tranquilla in quel di Boston, le auto scorrevano lente come al solito, le persone passeggiavano allegre curiosando tra le vetrine dei negozi. Era dicembre, l'aria natalizia si faceva sentire. A differenza di New York, le decorazioni di Boston erano più semplici, meno appariscenti, ma non per questo meno belle. Le lucine colorate illuminavano ogni negozio e gli addobbi non mancavano nemmeno fuori dalle abitazioni. C'era un fiocco rosso che dava una degna conclusione ad ogni festone verde attorcigliato su ogni singolo lampione e, appeso ad ogni porta, c'era una ghirlanda, ognuna diversa dall'altra. Le decorazioni erano molteplici e le luminarie di vario tipo e grandezza non mancavano nemmeno nei parchi. Il freddo si faceva sentire, di solito in quel periodo la neve era già scesa ma quell'anno tardò ad arrivare. Sembrava quasi impossibile che qualcuno fosse di pessimo umore in una giornata come quella, ma una donna lo era eccome. Al 245 di Newbury Street, a Back Bay, dall'appartamento n°11 fuoriuscivano delle urla, la voce era sua, di quella donna. Lei aveva una folta chioma bionda, gli occhi chiari, un viso leggermente tondeggiante e un corpo particolarmente snello. Si chiamava Emma, Emma Swan, e in quel momento ebbe l'insano impulso di spaccare tutto.
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D'istinto presi un vaso alto, bianco, che era alla mia destra su un mobile in salotto e lo lanciai con violenza verso l'altro lato della stanza, poco lontano dall'enorme albero di natale che Henry, mio figlio, mi costrinse a comprare e poi ad addobbare. Per fortuna lui non era in casa, quel pomeriggio partì con i nonni per passare il fine settimana con loro, nel Maine, in una piccola e tranquilla cittadina. Io non andai poiché quella domenica c'era il compleanno della mia fidanzata, Grace, che chissà come colpì il mio cuore un paio d'anni prima. Lei per quel giorno però aveva altri progetti, per lei gli amici venivano prima di tutto, prima anche della propria ragazza, e così non volle muoversi troppo per stare con me. Io però ero disposta a scendere a compromessi, sarei passata a prenderla io, nonostante lei abitasse fuori Boston nel Westwood e il mio maggiolino giallo non era in ottime condizioni per viaggi troppo lunghi. Ero disposta a spendere tutti i soldi che non avevo per un taxi ma Grace non si convinse ugualmente. Io avevo persino già programmato tutto: alle 18 saremmo andate a fare una passeggiata in centro a vedere i negozi e le luci di natale, a Grace piaceva molto quella festività, io non la trovavo granché interessante ma mi piacevano le luci, magari saremmo passate anche per Waterfront, al New England Aquarium, dove c'era una barriera corallina che ero sicurissima che sarebbe piaciuta a Grace, e proprio lì vicino c'era un ristorante molto bello in cui prenotai una settimana prima. Si chiamava Meritage, era un ristorante che si affacciava sul porto di Boston, era elegante e grazie alla vista sull'acqua risultava molto romantico. Grace mi staccò il telefono in faccia senza darmi la possibilità di proporle nulla, certo io volevo farle una sorpresa ma non ero disposta a supplicarla.
«Fai come ti pare, io lo passerò con i miei amici, se vuoi venire vieni.» fu l'ultima cosa che mi disse.
Non appena il vaso si scontrò con il muro, io mi lasciai cadere a terra sentendo il mio cuore andare in frantumi come quel vaso. Mi sentivo come se un'ennesima relazione stesse per finire e io non potessi fare nulla per evitarlo, quella fu una delle tante liti che avemmo io e lei negli ultimi 7 mesi, e qualcosa mi fece pensare che forse era inutile continuare. Lei aveva 26 anni e ogni scusa era buona per ignorarmi. Le mie precedenti relazioni andarono tutte piuttosto male, chiunque sembrava cercare un modo per scappare da me, per cui fidarsi diventò complicato. Rimasi a terra per un po' a fissare il pavimento nero completamente lucido, ma dopo pochi minuti i miei pensieri iniziarono a diventare troppo rumorosi. Alla fine mi alzai, feci pochi passi verso il tavolino che era di fronte al divano ad angolo e feci partire la mia playlist piena di musica Jazz. Amavo quella musica, quegli strumenti, erano forse le uniche cose che riuscivano a farmi rilassare. Il volume era piuttosto alto ma non mi importava dei vicini, avevo bisogno di calmarmi. Mi sdraiai per pochi minuti su quel divano, chiusi gli occhi e presi dei lunghi respiri profondi. Se mi concentravo bene riuscivo a visualizzare ogni strumento, il sax, la tromba, il pianoforte, quelli ed altri uniti per avere della fantastica musica. Non rimasi per molto tempo distesa sul divano, ci restai solo per una decina di minuti, poi mi alzai. Mi sentivo abbastanza calma e dovevo ancora pulire il casino che feci con quel vaso. Iniziai prendendo dei cocci grandi ma nonostante l'attenzione che ci misi mi feci comunque un piccolo taglietto tra il pollice e l'indice. Non mi faceva molto male, bruciava solo un po'. Mi fasciai velocemente la mano e dopo aver pulito il restante casino, usando la scopa e buttando tutto poi nel secchio, mi sedetti sul divano e col portatile sulle gambe iniziai a navigare un po' su vari siti. La musica continuava ad andare ma i miei pensieri avevano un volume infinitamente più alto e le parole di Grace mi ritornarono alla mente. In un attimo mi innervosii di nuovo e, senza sapere bene come, trovai uno strano sito. Lo trovai quasi per caso, scrissi sul motore di ricerca così tante cose che non ricordavo più come feci a trovarlo. Il sito parlava di appuntamenti, di persone che si potevano incontrare, ma che a differenza di Badoo, Happn o altri, quelle persone si dovevano pagare. Erano incontri sicuri, nel senso che si incontravano sul serio delle persone, ma che fossero realmente quelle in foto a me sembrava strano, ero titubante su quel punto. Bastava cercare dai target, l'età che più interessava, il sesso, e da lì in poi uscivano svariati profili. Quel sito era più che altro per persone sole che non sapevano cosa fare, che volevano un po' di compagnia per qualche ora, ma io non ero al 100% sola. Avevo una ragazza, o meglio, un ex ragazza... Non ero ancora sicura su quel punto ma fu la rabbia che mi fece cercare un'altra persona con cui uscire due sere dopo, proprio il giorno del compleanno di Grace. Volevo vendicarmi per esser stata trattata in quel modo e quale modo migliore di farlo se non quello di uscire con qualcun altro?
A prescindere da ciò che si potesse pensare, quel sito non vendeva del sesso, infatti su ogni profilo c'era scritto in grassetto "Se cerchi una storia d'amore o del semplice sesso io non sono la persona per te". Erano solo delle persone che offrivano il loro tempo per altre che si sentivano sole, che non avevano amici magari, ognuno di loro aveva una piccola biografia e si sceglieva in base a quello se una persona potesse trovarsi bene o meno. Prima di decidere chi contattare, guardai almeno una ventina di profili tra uomini e donne. Io ero bisessuale, attirava la mia attenzione anche un uomo, ma dopo tutte quelle biografie lette, quelle foto viste e le recensioni che c'erano in fondo al profilo, la mia attenzione fu attirata da una donna, o perlomeno così diceva la biografia. Quel profilo non aveva foto, era l'unico che non aveva nemmeno una foto di riconoscimento, e a me parve strano. Chiunque si fosse iscritto su quel sito aveva una buona autostima che gli permetteva sicuramente di scattarsi delle foto, ma forse era un trucco.
«Che cosa nascondi?» chiesi quasi soprappensiero scrutando per bene ogni scritta su quella pagina.
Io lavoravo come detective della omicidi nel dipartimento di polizia di Boston, la curiosità era di casa, e chiedersi se una persona fosse sospetta o meno ormai mi veniva naturale. Cercai delle recensioni ma erano bloccate, nessuno poteva eventualmente lamentarsi di quella persona o parlarne bene, le uniche cose a cui chiunque poteva affidarsi era la biografia scritta proprio da quella persona.
Nome: The Queen.
«Già solo per il nome dovrei intuire che hai più autostima di tutti...» commentai fissando lo schermo su quel portatile.
Quello ovviamente non era sempre il vero nome della persona, chiunque poteva scrivere anche un semplice nickname. Le cose basilari erano quelle, il nome, l'età (aveva 30 anni) e il sesso, solo da quello capii che era femmina. Nella breve descrizione che lasciò intuii che quella donna era molto sicura di sé e piuttosto scettica su sentimenti come l'amore.
Sono una donna forte, indipendente, non ho bisogno di te né dei tuoi soldi, sei tu che hai bisogno di me. Chiunque sia lì fuori non sarà mai al mio livello, sarò sempre io la più bella del reame. Quando non torturo le persone mi piace rilassarmi guardando la tv, adoro i film horror, soprattutto gli splatter. Se sei uno che si spaventa facilmente allora non contattarmi, mi annoieresti a morte e non ti conviene farlo. Il mio colore preferito è il rosso, ma il nero mi dona. Adoro scontrarmi con le persone, sia fisicamente che verbalmente, infatti pratico 3 tipi di arti marziali. Ho cambiato il sacco da boxe a casa una decina di volte nel giro di 5 mesi. Come vedi non ti conviene sul serio farmi arrabbiare. La frase lì sotto, "Se cerchi una storia d'amore o del semplice sesso io non sono la persona per te", non è un consiglio ma un avvertimento. Se solo ti azzarderai a toccarmi con un dito ti assicuro che ne perderai almeno tre. 😊
In tutta quella descrizione la cosa che più mi fece rabbrividire fu l'emojii alla fine, quella faccina sorridente che sembrava così innocente, eppure dopo quel breve discorso faceva pensare tutt'altro. Nonostante quello che lessi ero ancora curiosa di scoprire il volto di The Queen, il mio lato intrepido e cocciuto mi portò a cliccare sull'icona della chat pur non sapendo con chi mi trovassi a parlare, ma nella mia carriera da poliziotta affrontai tanti di quei pazzoidi che uno in più non mi spaventava, anzi mi intrigava. Iniziai a schiacciare qualche tasto lentamente, qualche lettera, composi un semplice "ciao" ma subito lo cancellai. Come si parlava ad una persona simile? Ad una con una tale sicurezza in sé stessa? Provai a scrivere varie volte, frasi diverse, ma nessuna mi convinse. Alla fine provai ad assecondare quella donna, ciò che scrisse nel profilo, e le inviai l'ennesima cosa che mi venne in mente.
«Cosa si deve fare per avere un'udienza con sua maestà la regina?» le chiesi.
Ovviamente il messaggio non fu letto subito, ci volle qualche ora, quella persona non era online. Nel frattempo io mi feci una cioccolata calda, rigorosamente con la cannella, e ritornai a sedermi sul mio comodo divano ad attendere la risposta col portatile accanto. Staccai la musica, accesi la tv e feci zapping tra i vari canali, ma quella sera sembrava non esserci nulla di interessante. Verso le 22, però, un "visualizzato" spuntò sotto il mio messaggio, e non appena me ne accorsi lanciai via il telecomando e presi il portatile poggiandomelo sulle gambe, fissai quella chat con impazienza e una strana insicurezza si fece strada nella mia mente. Nei successivi 5 minuti pensai di dover cancellare quel messaggio, che forse avrei fatto bene a chiudere tutto, eliminare la cronologia ed ignorare tutti gli eventuali pensieri che mi sarebbero balzati alla testa, ma poi un'altra scritta comparve un rigo sotto quel visualizzato. Sta scrivendo... Le due parole che insieme salvavano tante persone dall'imbarazzo del restare senza risposta, dal pensare di aver scritto qualcosa di troppo stupido, ma con quella persona anche la cosa più intelligente sarebbe potuta diventare la più stupida.
«Innanzitutto dovresti essere un po' più originale, sei la cinquantesima persona che mi chiede di uscire con questa frase.» mi disse facendomi effettivamente sentire una stupida, ma poi continuò a scrivere. «Capisco che il mio nome faccia presupporre che io sia una regina, ma non esco con chiunque noti la mia regalità, o con chiunque sappia leggere. Tu cos'hai in mente? Impressionami, dai.»
Il mio viso si colorò velocemente per l'imbarazzo, pensai che con quella frase avrei fatto colpo, e invece fui come tanti altri. Rimasi spiazzata dalla schiettezza di quella donna, voleva che le dicessi qualcosa di originale, ma cosa? Io non ero brava in quelle situazioni, mi sentivo impacciata quando dovevo provarci con qualcuno, infatti fu Grace tempo prima a provarci con me. Dopo pochi istanti pensai di dirle semplicemente la verità, alcune persone avrebbero odiato sentirsi dire che una ragazza fidanzata ci stava provando con loro, ma da ciò che lessi ero quasi certa che quella donna non avrebbe obiettato nulla e che, anzi, sarebbe stata ben lieta di uscire con me.
«La mia ragazza mi ha piantato in asso per i suoi amici, e io voglio vendicarmi uscendo con qualcuno.» le scrissi tranquillamente, volevo solo quello, nulla di più.
«Oh, vendetta, che cosa meravigliosa!» rispose subito lei. «Mandami una tua foto.» disse spiazzandomi per la seconda volta.
Se lei non aveva messo nessuna sua foto allora perché avrei dovuto mandarle io una mia?
«Perché vuoi una mia foto? Cioè io non so quale sia il tuo viso, quindi non mi sembra giusto.» ribattei io senza capire.
«Voglio solo sapere se ne vale la pena oppure no. Sai com'è... Potremmo beccare la tua ragazza in giro e non mi va di passare involontariamente per la sfasciafamiglie della situazione.» mi spiegò lei, ma qualcosa in quell'ultima frase mi parve fin troppo modesta.
«Involontariamente?» le chiesi facendo un piccolo sorriso che ovviamente non vide.
«Sì, involontariamente, perché se volessi dividere una coppia ci riuscirei, fidati. Solo che per ora non è questo il mio scopo. Quindi... Quella foto?» continuò lei usando parole piuttosto convincenti, non sembrava volesse mentire.
«Va bene, dammi un minuto.» le dissi riducendo per un attimo la finestra del sito e aprendo delle cartelle che avevo sul desktop.
Trovai svariate mie foto, alcune anche piuttosto imbarazzanti, ma nessuna mi convinse a pieno. L'appuntamento con quella donna mi incuriosiva parecchio e proprio per quel motivo non volevo sbagliare, peccato che dall'altra parte c'era qualcuno di molto impaziente. Dopo circa 2 minuti sentii un leggero suono provenire proprio dal mio portatile, capii subito da dove provenisse, così tornai alla chat e vidi un nuovo messaggio.
«Ne stai cercando una dove sei abbastanza figa? Guarda che se non sei bella dal vivo non sarai di certo bella in foto, a meno che tu non sia brava con photoshop.» mi scrisse la suddetta regina.
Io sapevo di non avere nessun motivo per cui prendermela, era solo una persona che si divertiva dietro lo schermo di un pc, poi davanti magari non riusciva a dire nemmeno una parola. Di persone come lei ne vidi molte nel corso degli anni, ma mi innervosii ugualmente.
«Senti, ma chi ti credi di essere? Se ti senti tanto figa allora perché non mi mandi tu una tua foto? Fammi vedere quanto sei regale.» ribattei scrivendo ogni singola lettera con tutta la rabbia che provai in quel momento.
«Una regina non manda le proprie foto a chiunque. E poi ho bisogno che tu mi veda per la prima volta di persona, così non avrai il tempo di metabolizzare tutta la mia bellezza e non ti preparerai prima.» replicò lei sfacciatamente.
«Credi ancora che voglia uscire con te dopo tutto quello che stai dicendo?» le chiesi ingenuamente dandole altri modi per divertirsi.
«Certo, ne hai ancora una voglia matta. Ma non vuoi più vendicarti contro la tua ragazza, vuoi semplicemente scoprire il volto di cotanta magnificenza.» rispose lei.
Io sorrisi nervosamente, aveva ragione, volevo ancora scoprire chi diavolo fosse.
«Va bene, come ti pare. Questa sono io, mi chiamo Emma Swan.» le dissi ignorandola e mandandole una mia foto recente.
Era l'ultima che feci, di un paio di settimane prima, in cui ero intenta ad addobbare l'albero più alto di me, con addosso un maglione rosso natalizio. La foto me la scattò Henry per mandarla ai miei genitori, lui era molto legato a loro e amava quella festività poiché passavamo sempre il natale tutti insieme. Con Henry quel giorno addobbai anche il resto della casa. Lui amava molto il natale, la magia che c'era dietro, e mi costrinse ad addobbare praticamente ogni angolo, persino in bagno c'era un piccolo Santa Claus che saliva le scale appeso al muro. Io gli volevo bene e lo assecondavo spesso ma il mio spirito natalizio era ormai morto da tempo. Attesi con ansia la risposta di quella donna, quest'ultima vide subito la foto ma ci vollero alcuni minuti prima che mi rispondesse.
«Ah, ok, va bene. Si può fare.» scrisse dopo lunghi e interminabili istanti.
«Tutto qui?» le chiesi io piuttosto offesa.
«Oh scusami, ho ferito il tuo ego?» rispose lei subito dopo.
Quelle erano solo parole scritte, fraintendere il tono era facile, ma in quel momento ero piuttosto sicura che lei mi stesse prendendo in giro. In quel momento avrei voluto lasciar perdere tutto, avrei voluto evitare di uscire con quella donna e iniziai a chiedermi se ne valesse davvero la pena, ma continuava ad esserci qualcosa in lei che mi intrigava e mi spingeva ad andare avanti, così presi un respiro profondo e le risposi con più calma.
«Non è così facile scalfire il mio ego, ma a quanto pare sembra più facile scalfire il tuo se non vuoi mostrarmi come sei.» ribattei provocandola un po'.
Intuii quale fosse il carattere di quella donna, capii che le piaceva provocare gli altri trattandoli con sufficienza come se fossero tutti uguali, ma io le risposi a tono.
«Hai paura che cambi idea e ti chieda di non vederci?» continuai prima che mi rispondesse.
«Davvero divertente, hai molta fantasia, devo ammetterlo. Ma se il tuo piano era quello di farmi cedere allora credo che ti ci voglia molto più di così.» mi disse The Queen facendomi capire che era più cocciuta di me. «Quindi vuoi ancora un appuntamento al buio con la più bella del reame o preferisci accontentarti degli scarti della plebaglia?»
Dopo quell'ultimo messaggio sorrisi d'istinto, in fondo era divertente, se la tirava forse troppo ma sarebbe stato interessante rispondere alle sue eventuali provocazioni di persona. Ovviamente ero ancora curiosa di scoprire chi si nascondeva dietro quel semplice nickname e quell'atteggiamento da egocentrica stronza, così confermai la mia decisione, volevo ancora uscire con lei. Successivamente ci mettemmo d'accordo su dove incontrarci quella domenica sera verso le 18, ma The Queen non voleva assolutamente saperne di salire sul mio maggiolino giallo. Io non ne capivo il motivo, ce lo avevo da tanto e ne ero affezionata ma a lei sembrava non piacere né il modello né il colore, e così decidemmo che sarebbe passata lei a prendere me di fronte casa mia. Le dissi l'indirizzo ma non le dissi che abitavo proprio lì, le feci credere che fosse un incontro a metà strada, più o meno. In fondo non mi fidavo e non volevo rischiare che quella donna sapesse dove abitavo. Il pagamento fu effettuato quasi subito, online, la donna mi chiese 100 dollari, molto meno di quello che mi aspettavo, e domenica pomeriggio mi presentai al punto di ritrovo una mezz'oretta prima. Ero impaziente di scoprire chi fosse la donna, quale fosse il suo aspetto, ma nel frattempo mi congelai buona parte del corpo. Mi strinsi nel mio cappotto rosso ma la brezza gelida si insinuò fin sotto i vestiti. Forse solo i piedi erano ben coperti dal freddo nei miei anfibi scuri, avevo anche un cappellino di lana nero ma per l'ansia dimenticai i guanti sul tavolo in salotto e quindi per buona parte del tempo tenni le mani nelle tasche del cappotto. Purtroppo non mi mossi molto, se avessi fatto una passeggiata o un giro dell'isolato non avrei sentito tutto quel freddo. Attraversai semplicemente la strada e rimasi lì in mezzo al marciapiede davanti al Wichit, un locale situato un piano sotto ad un appartamento, difatti alle mie spalle c'erano due scale con pochi gradini. La prima portava giù, al locale, e l'altra più avanti portava su agli appartamenti. Di locali, pub, e semplici negozietti posizionati in quel modo ce n'erano tanti, infatti in quelle strade se non si faceva particolare attenzione si poteva credere di essere circondati solo da abitazioni. Le case nel quartiere di Back Bay avevano uno stile architettonico che si fondeva tra l'antico e il moderno, quelle di Newbury Street più precisamente erano fatte di mattoni rossi e inglobavano ogni negozio. In quel locale, nel Wichit, io ed Henry ci andammo spesso per fare colazione o mangiare dei panini al volo. Il profumo che usciva da quel negozio era talmente buono che il mio stomaco si svegliò all'istante, avrei potuto entrare, mangiare un panino e uscire subito dopo senza che quella donna ne sapesse nulla, ma preferii aspettare. La gente mi passava accanto senza darmi troppa importanza, io guardai i visi sconosciuti di tutte quelle persone e iniziai a chiedermi come avessi riconosciuto The Queen non sapendo nulla del suo aspetto fisico, e non potendo nemmeno essere certa che fosse una donna.
«E se mi avesse presa in giro?» mi chiesi pensando che fosse solo una truffatrice, ma in fondo mancava ancora un quarto d'ora all'appuntamento, quella in largo anticipo ero io.
Per tutto il tempo, ogni poco, guardai l'orario sull'orologio che avevo sul polso e alle 18 precise ricominciai a pensare che quella fosse una truffa. Era più forte di me, non riuscivo a fidarmi degli altri, benché meno di una persona che in un sito di incontri non metteva nemmeno la propria foto. All'improvviso sentii il rumore di alcune ruote stridere sull'asfalto, alla mia destra in fondo alla strada. Io, come anche altre persone incuriosite e spaventate, mi voltai verso quel rumore per capire cosa stesse succedendo. All'incrocio tra Newbury St e Fairfield St, una moto corse a tutta velocità facendo una seconda sgommata quando arrivò vicino al marciapiede dove c'ero io. Un Harley-Davidson LiveWire nera e arancione si fermò di fronte a me, a cavallo di quella moto c'era una persona con un casco integrale nero, un giubbotto di pelle, dei guanti da motociclista, pantalone e degli stivali, tutto rigorosamente nero. Il motore fu spento quasi subito, la persona in questione sembrava una donna ma io ero confusa da ciò che successe, come anche alcune persone che si allontanarono poi lentamente alle mie spalle. Io non andai via, non mi mossi, non avevo paura e, anzi, proprio quando il detective che c'era in me stava per uscire fuori, la donna si tolse il casco e mi si bloccarono le parole in gola. Ero pronta a fare una classica sgridata che facevo a chiunque vedevo in giro che guidava male, che non dava le precedenze o non si fermava semplicemente a degli stop, ma la bellezza di quella donna mi bloccò. Aveva i capelli neri, lunghi poco sopra le spalle, leggermente mossi, due occhi scuri particolarmente intensi, e una piccola cicatrice sul lato destro del labbro superiore. Le sue labbra, ecco, fu a quelle che prestai particolare attenzione. Erano carnose ed inarcate in uno splendido ma sarcastico sorriso. Quella donna sentiva di aver fatto colpo, ne era sicurissima, e fece di tutto per provocarmi ancora di più mentre io tentavo di riprendere invano il controllo del mio corpo. La guardai mentre, con fare provocatorio, si bagnò le labbra e poi si morse quello inferiore. Io mi sentii strana, sentii il respiro farsi più pesante e l'unica parola che in quel momento uscì dalla mia bocca fu "cazzo", che purtroppo per me non fu tanto silenzioso. La sua bellezza mi colpì molto, anche troppo.
«Ehm, scusami, è solo che...» continuai cercando le parole giuste ma vedendola trattenere le risate mi imbarazzai solo di più. «Oddio, sono patetica.» sussurrai portandomi una mano sul viso.
«No dai...» ribatté lei poggiandomi una mano su una spalla. «Sei carina.» aggiunse convincendomi ad abbassare quella mano.
Peccato che non fossi molto sicura di sapere chi fosse, non capivo se fosse lunatica, bipolare o che altro, ma quel suo comportamento mi sembrò strano, quasi dolce. Non la conoscevo bene, avevo qualche dubbio sul fatto che fosse la stessa persona con cui parlai pochi giorni prima ma non mi aspettavo di certo un tono del genere da lei.
«Sicura di essere la stessa persona con cui ho parlato venerdì sera?» le chiesi piuttosto confusa e lei si lasciò scappare un sorriso divertito.
«Sì, sono io. Mi chiamo Regina Mills.» rispose la donna scrutando per bene il mio viso.
«Quindi sul serio ti chiami Regina?» le chiesi in tono sorpreso e lei annuì con fare più serio. «Caspita, tua madre doveva avere enormi aspettative su di te.»
«Non sai quante...» ribatté Regina in tono lievemente ironico. «Comunque dai, salta su, non mi sembra il caso di parlare per strada.» continuò lei porgendomi il casco.
«E tu?» le chiesi allungando una mano verso quel casco.
«Non mi serve.» disse facendomi segno di salire in sella.
Io volevo ribattere ma sentivo davvero molto freddo e preferii muovermi e allontanarmi da lì per andare in un posto al chiuso, magari caldo. Non appena mi sedetti alle sue spalle, col casco sulla testa, le mie mani si bloccarono sulle mie gambe. Di solito quando mi capitava di salire su una moto, da passeggero, sapevo che avrei dovuto tenermi alla vita del guidatore, ma in quel momento mi sentivo piuttosto a disagio.
«Ti conviene tenerti a me se non vuoi rischiare di cadere dalla moto.» mi disse Regina accendendo il motore.
«Ma sul tuo profilo hai detto che se qualcuno ti tocca con un dito tu gliene stacchi 3.» ribattei in tono leggermente ironico ma fu Regina a muoversi al posto mio.
Dallo specchietto sinistro vidi un sorriso spuntare sul suo viso e pensai che avesse il sorriso più bello del mondo. Lentamente mi prese entrambe le mani e le portò davanti al proprio addome.
«Ti concedo questo, goditi questi pochi minuti.» mi disse facendomi l'occhiolino da quello specchietto.
Io mi imbarazzai all'istante, stare tanto vicino a lei non mi faceva più nemmeno sentire il freddo, e per fortuna avevo il casco così Regina non poté vedere il rossore sul mio viso. Poco dopo partimmo. Io per quasi tutto il tempo guardai i lineamenti del suo viso dallo specchietto, pensai che fosse davvero una bella donna, ma mi distrassi varie volte quando lei portò una sua mano sulle mie. Lo fece spesso, non capii il perché, ma in fondo non capii subito nemmeno dove stessimo andando. Pensavo che avessi dovuto decidere io dove andare, e il progetto in mente ce lo avevo, ma non avemmo il tempo di parlarne, perlomeno non prima di fermarci davanti ad un bar a meno di un miglio dalla nostra partenza, eravamo ancora a Newbury St. Ci fermammo davanti al Sonsie, un locale in cui probabilmente non entrai mai. Esso aveva due entrate poco distanti tra loro, sulla stessa facciata, a dividerle c'erano delle porte-finestre che in estate erano sempre aperte, ci passavo spesso ed era facile notarlo, ma in quel momento ovviamente erano chiuse. Regina lasciò la propria moto parcheggiata proprio lì di fronte, lasciò anche il casco sul sedile e mi fece strada verso l'ingresso più vicino. Non appena arrivammo alla porta, Regina l'aprì e fece mi segno di entrare. Io trattenni l'imbarazzo, la ringraziai e timidamente entrai. La sala era grande e divisa tra un semplice bar e il ristorante, la distinzione era quasi evidente, soprattutto dalla pavimentazione differente dove il parquet si concludeva con l'ultimo tavolino del bar. Il locale era carino, accogliente nonostante la grandezza, gli addobbi di natale erano ben presenti anche lì, come anche le lucine di vari colori. Notai anche vari quadri appesi alle pareti, raffiguravano donne che tenevano un'arma tra le mani, non si vedevano le teste ma una donna con una motosega mi colpì particolarmente. Non appena ci sedemmo ad un tavolino del bar, vicino alle porte-finestre, io mi tolsi il cappotto restando col mio maglioncino bianco e lei rimase con una maglia rossa col collo alto piuttosto aderente. Io provai ad ignorare quell'ultimo particolare e lentamente iniziammo a chiacchierare, in quel locale Regina ci andò spesso, a lei quei quadri non mettevano particolare angoscia, anzi il suo preferito era uno in cui una donna di profilo aveva delle cesoie in una mano. Quei quadri però erano nel lato del ristorante dove era tutto più elegante, con divanetti e sedie in pelle nera e tavolini bianchi, il bancone del bar era a metà tra le due sale. La gente era molta e grazie a quell'affluenza quasi non si sentiva la musica classica in sottofondo. In quel locale si poteva fare pranzo, cena, brunch o prendere un semplice caffè, difatti la parte verso la strada era disposta per il semplice bar mentre in fondo al locale c'era il ristorante. Quando arrivò la cameriera ordinammo due cose decisamente diverse, io avevo bisogno di scaldarmi un po' e quindi ordinai una cioccolata calda mentre Regina, che sembrava non toccarle minimamente quel freddo, ordinò del semplice sidro di mele. Inizialmente sembrava esserci tensione, a parte parlare un po' di quel locale non facemmo altro, la situazione si bloccò in uno strano e imbarazzante silenzio ma non appena bevvi un sorso di cioccolata calda tutto si sciolse. Sentii Regina trattenere una risata e alzando lo sguardo su di lei la vidi che si teneva il dorso della mano davanti alle labbra per nascondere il suo divertimento, ma capii subito che qualcosa non andava.
«Perché ridi?» le chiesi con fare confuso e leggermente offeso.
«Perché quei baffi non ti donano affatto.» mi spiegò lei ridendo con più tranquillità.
Io sentii subito il mio viso accaldarsi, velocemente mi pulii le labbra con un tovagliolo di carta e quasi subito tornai a guardare il suo viso divertito.
«Non mi è mai successo.» le dissi con fare titubante.
«Oh, lo spero per te. Non era un bello spettacolo.» continuò lei prendendomi palesemente in giro.
«Ma tu sei realmente così stronza?» continuai con fare leggermente innervosito.
«E tu sei realmente così impacciata?» ribatté Regina con quel sorrisetto divertito. «Andiamo, sciogliti un po'! Dimmi come mai sei voluta uscire con me pur avendo una ragazza, cosa è successo che ti ha spinto a questo gesto avventato?»
«Lei ha semplicemente scelto di passare il suo compleanno con i suoi amici, nonostante io abbia prenotato in un ristorante piuttosto lussuoso, e non mi andava di perdere dei soldi così.» commentai dopo aver dato un lungo sorso alla mia cioccolata.
Il discorso era più complicato di come lo descrissi, io e Grace ci vedemmo molto poco durante quegli ultimi 7 mesi. Grace si lamentò del lavoro che occupava tutto il suo tempo, lavorava per conto di una banca, e non amava affatto farlo. Non era faticoso, era solo molto noioso. Nel tempo libero usciva con gli amici che erano quasi tutti in zona, a me scriveva solo quando le faceva comodo, e tutto ciò mi pesava molto. Come lei anche io avevo un lavoro, a differenza sua avevo anche un figlio, ma riuscivo a far cinciliare bene tutto quanto, lei riusciva a farlo solo mettendomi costantemente da parte. Avrei voluto parlarne con qualcuno, magari proprio con Regina, ma non mi fidavo, l'avevo appena conosciuta e non potevo mica ammorbarla così tanto con i miei problemi sentimentali?
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Emma non lo sapeva ma Regina era forse una delle poche in grado di capirla fino in fondo. Anche lei non ebbe molta fortuna nelle relazioni, il suo primo vero amore, Daniel, morì a causa di sua madre. Quest'ultima era una donna forte che voleva per sua figlia un futuro migliore del suo, voleva che sua figlia vivesse la vita che avrebbe voluto lei per sé stessa, un The Sims nella vita reale insomma. Regina all'epoca era più fragile, e dopo la morte di Daniel non riuscì a ribellarsi, sembrò quasi rassegnarsi al volere di sua madre. Suo padre però l'aiutò a scappare prima delle nozze con un ricco imprenditore di Wall Street, le comprò un biglietto per andare a Boston e le lasciò dei soldi per farle ricominciare una nuova vita. Negli anni in cui visse da sola dovette diventare forte, dovette mettere da parte ogni paura e riuscì pian piano a diventare la donna che era in quel momento. Ogni uomo o donna che incontrò non fece mai sul serio breccia nel suo cuore, erano solo brevi attimi fugaci che duravano una notte. Anche il primo amore di Emma fu quello a cui lei crebbe di più, e quello che le fece più male. Lui l'abbandonò senza darle nemmeno una spiegazione, ma fu da quella relazione che nacque Henry.
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«L'amore è una debolezza, signorina Swan.» mi disse Regina con fare decisamente più serio sorseggiando il suo sidro di mele.
«Quindi vorresti dirmi che tu non hai mai amato nessuno?» le chiesi con fare piuttosto curioso.
«No, certo che no, ci sono cascata anche io. Ma ho deciso di tenermi alla larga da questo insano sentimento.» mi spiegò lei con un lieve tono ironico.
«E come ci staresti riuscendo?» continuai io notando il suo sorriso farsi più ampio.
«Distraendomi tra le mie tante passioni.» disse in tono divertito.
«Torture a parte?» ribattei col suo stesso tono.
«Oh no, le torture sono il fulcro della mia distrazione.» replicò lei con un sorriso quasi malvagio, ma la trovai solo più affascinante.
«E, se posso sapere, in cosa consistono queste torture?» le chiesi tentando di scoprire più cose possibili.
«In uscite simili con estranei, torturo me uscendo con persone che non conosco.» mi spiegò con un ampio sorriso.
«Con persone come me?» continuai io un po' confusa.
«Già, ora come ora mi sto torturando alla grande.» rispose lei con quel sorrisetto beffardo.
Io ricambiai quel sorriso, sentii che non diceva sul serio, che era solo molto sarcastica e quel semplice sorriso mi scaldò il cuore. Rimanemmo al caldo in quel locale per una buona mezz'ora, chiacchierammo un po' e quando finimmo le nostre bevande decidemmo di uscire e andare altrove.
«Hai un punto preciso in cui vuoi andare?» mi chiese Regina dopo che pagai il conto e la seguì fuori tornando al freddo.
L'unico vero progetto che avevo era il Meritage, ma avevo prenotato per le 19:15 e mancava ancora più di mezz'ora. Insieme decidemmo di fare un giro al Common Park, il parco centrale di Boston, il più antico degli Stati Uniti. Nonostante il freddo la passeggiata fu piacevole, il parco era pieno di persone, soprattutto di famiglie con bambini. Era negli occhi di questi ultimi che si poteva notare lo spirito natalizio, la gioia di scoprire cose sempre nuove, erano quelli che sentivano meno il freddo correndo sotto migliaia di lucine colorate. Io e Regina chiacchierammo un po' del parco, del natale e lei mi disse che come festività preferiva decisamente Halloween, cosa che in un certo senso avrei potuto indovinare. Quando ci inoltrammo all'interno del parco incontrai alcuni miei colleghi in divisa, Tom Smith e Samuel Russell, due giovani agenti che erano in polizia da meno di un anno.
«Buonasera detective.» mi disse Tom, il più timido tra i due e anche il più bassino.
«Salve ragazzi.» gli dissi io con un tono decisamente più sciolto. «State controllando che sia tutto tranquillo?»
«Sì, signora.» continuò Tom in tono titubante.
«Ci sono solo tanti bambini vivaci, abbiamo fatto il giro del parco due volte, adesso ci apprestiamo ad iniziare il terzo e poi ci spostiamo altrove.» mi spiegò Samuel con più calma del suo amico.
«Bene, allora non vi trattengo oltre. Fate un buon lavoro.» ribattei salutandoli e guardandoli andare via.
Non appena loro si allontanarono, io mi voltai verso Regina, mi guardava con uno strano sorriso e non ne capivo il motivo.
«Cosa c'è?» le chiesi in tono confuso.
«Sei una poliziotta?» domandò lei con un tono fin troppo sorpreso.
«Sì, ma mi sono presa il fine settimana libero. Perché, ti da fastidio?» continuai io senza capire tutta quella confusione nel suo sguardo.
«No, certo che no. Sono solo sorpresa.» ribatté lei con un sorrisetto divertito.
«Perché, tu che lavoro fai?» le chiesi con fare sospetto, se non aveva nulla da nascondere non avrebbe dovuto preoccuparsi del mio lavoro.
«Oh non posso dirtelo.» disse lei facendo un passo indietro e aumentando solo di più i miei dubbi.
«Come mai?» continuai io avanzando verso di lei tenendomi pronta eventualmente a correrle dietro.
Non sapevo se scherzasse come suo solito ma lavorando in polizia imparai ad essere pronta a tutto, sia a scontri corpo a corpo con persone più grosse di me e sia a inseguimenti con persone velocissime.
«Perché altrimenti mi arresteresti.» mi disse in tono piuttosto serio e io allora la guardai con fare severo. «Che cosa c'è?» chiese poco dopo con un finto tono confuso.
«Se non mi dici che lavoro fai ti arresto così, sulla fiducia.» la minacciai quasi in tono serio, ma lei non sembrava affatto spaventata.
«Oh andiamo, non hai detto di esserti presa il fine settimana libero?» domandò prendendomi in giro.
«Certo, ma questo non significa che se vedessi dei tizi rapinare una banca io gli terrei la porta aperta.» le spiegai nervosamente.
«Non rapino banche, tranquilla, quando faccio ciò che faccio voglio che gli altri mi guardino bene in faccia.» commentò lei con un sorrisetto divertito che mi fece saltare un battito, ma tenni calmo il mio stupido cuore e provai a fare il mio lavoro.
Chissà perché quelli che mi sembravano dei delinquenti erano così sexy.
«La mia era una frase retorica, adesso puoi per piacere dirmi di cosa diavolo ti occupi?» continuai cercando di tenere un tono fermo e autoritario.
«Lo sai? Sei adorabile quando ti innervosisci.» ribatté lei continuando a prendermi in giro.
«Guarda che ci metto tre secondi a chiamare quei due poliziotti e farli venire qui per arrestarti.» dissi in tono nervoso, mi dava sui nervi qualcuno che mi prendeva in giro quando provavo ad essere seria.
«E per cosa? Per aver rubato il tuo cuore?» mi chiese lei con un dannato sorrisetto che mi fece innervosire di più.
«N-no.» risposi in tono lievemente titubante. «Per qualsiasi cosa tu faccia.»
«Per ora l'unica cosa che io abbia fatto di male è stato fare colpo su una detective impulsiva e insicura come te.» replicò senza togliersi quel sorrisetto dal viso.
«Impulsiva sì, insicura proprio no. E di certo non hai fatto colpo.» continuai io in tono fermo, ma dentro stavo tremando.
«Ah no?» chiese lei facendo un passo verso di me e usando un tono basso e provocatorio.
«No!» dissi tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi.
Lei si mise ad un singolo passo da me, mi provocò con quel suo dannato sorriso beffardo e io sentivo di star crollando lentamente.
«Oh beh, allora se è così possiamo anche continuare il nostro giro, non credi?» ribatté lei facendomi l'occhiolino, insomma non poteva mica smettere di provocarmi come se niente fosse...
«No, se non mi dici che lavoro fai.» continuai io provando ad essere più cocciuta di lei.
«Non è nulla di male, non uccido né torturo nessuno, volevo solo provocarti un po' notando che sei piuttosto suscettibile sull'argomento.» mi spiegò lei in tono più serio.
«Tutto qui? Mi stavi solo prendendo in giro?» le chiesi lentamente.
Volevo sul serio crederle, volevo fidarmi, e alla fine lo feci solo perché ero stanca di assecondare le sue provocazioni.
«Sì, suvvia, rilassati.» rispose lei con un sorriso quasi dolce.
«Va bene, mi giuri che non fai nulla che vada contro la legge?» continuai con ancora una certa incertezza.
«Certo...» commentò lei con un tono sarcastico e uno sguardo che vagava un po' ovunque, si stava ancora divertendo. «Forse.» aggiunse portando il suo sguardo su di me e sorridendomi con fare beffardo. «Scherzavo dai.» continuò alzando le braccia all'altezza delle sue spalle, in segno di resa, ma continuava a sorridermi con fare divertito.
Una parte di me voleva continuare, voleva farle sputare fuori ciò che aveva dentro, ciò che nascondeva, ma quella parte fu bloccata da una più forte. Quella che stava così bene con lei pur notando le sue continue prese in giro, le sue continue provocazioni. Io le dissi che non mi colpì ma mentii alla grande, lei mi colpì eccome, mi scombussolò talmente tanto che alla fine non mi importava nemmeno sapere cosa facesse.
«Va bene, andiamo...» commentai io cercando di trattenere uno stupido sorriso che stava spuntando sul mio viso, il suo buon umore era contagioso.
Le passai accanto senza guardarla in faccia e lei mi venne dietro solo quando la superai.
«Quindi non vuoi sul serio sapere di cosa mi occupo?» mi chiese in tono sorpreso, quasi deluso.
«Già, non mi interessa.» le dissi continuando a guardare il percorso del parco parzialmente pieno di gente davanti a noi.
«Devi essere proprio cotta per fregartene di una serial killer.» continuò lei in tono divertito ma ormai avevo capito che mentiva, che voleva solo prendermi in giro.
«Ma piantala...» ribattei io senza guardarla ma spingendola con una mano lontana da me.
«Ok, ma non puoi negare che hai sorriso.» replicò lei tornando accanto a me.
«Pff, tu hai le traveggole.» commentai con un finto tono serio.
«Va bene, fingerò di non aver visto nulla.» continuò lei con quel tono divertito che mi fece ingenuamente sorridere.
Lentamente passammo davanti all'enorme albero di natale, decisamente più alto di quello che io avevo in salotto, e rividi Henry negli occhi di un bambino che, affascinato dalla maestosità dell'albero, non voleva seguire i suoi genitori per il resto del parco. La scena mi sembrò particolarmente dolce e anche divertente ma Regina trovò divertente un'altra cosa poco più avanti. Al Frog Pond, un laghetto quasi al centro del parco, c'erano alcune persone che pattinavano. In estate era un bel posto in cui rinfrescarsi, mentre in quel periodo divenne un bel lago ghiacciato su cui pattinare. Io e Regina ci fermammo per pochi istanti, ma fu proprio in quel momento che un ragazzo di circa 20 anni perse il controllo.
«Guarda quello!» mi disse Regina in tono piuttosto divertito.
Mi fece segno proprio davanti a noi, il ragazzo era ancora in piedi, barcollava leggermente e all'inizio sembrava riuscire a rimanere in piedi, fino a quando non si trovò davanti una coppietta che pattinava mano nella mano.
«Come minimo farà strike!» continuò Regina con fin troppa eccitazione.
Per un istante alzai il mio sguardo verso il suo viso, quest'ultima negli occhi aveva quasi la stessa luce che vidi negli occhi del bambino che non voleva allontanarsi dall'albero di natale.
«È così che ti diverti?» le chiesi con un sorriso confuso.
«Oh andiamo, è divertente.» si giustificò lei facendomi segno verso quel ragazzo che fino a quel momento non si accorse di star andando in contro a quella coppietta poiché guardava i propri piedi.
Tutti e tre se ne accorsero quando erano a pochi metri gli uni dagli altri, il ragazzo urlò a quei due di spostarsi ma era troppo tardi. Regina sperava sul serio in uno scontro tra quei tre, in fondo il ragazzo non correva molto forte e non si sarebbero fatti male. Alla fine però il ragazzo solitario perse completamente l'equilibrio, cadde col sedere per terra e continuò a scivolare sul ghiaccio, un po' più lentamente. La coppia si divise e i due ragazzi si scontrarono, quello in piedi cadde quasi addosso all'altro.
«Ma che romantico, ha lasciato la mano alla ragazza per non rischiare di farla cadere con lui...» commentò Regina con uno strano tono sarcastico. «Patetico!» aggiunse in tono più serio, quasi con disprezzo, poi si voltò e si allontanò da quel gruppo di persone.
«Detesti così tanto l'amore?» le chiesi andandole dietro e camminando poi al suo fianco lontano dal laghetto ghiacciato.
«L'amore è un sentimento ignobile, ti fa compiere i gesti più folli.» mi spiegò con un tono davvero nervoso.
«Come te quando mi hai dato i tuoi guanti?» continuai con fare divertito facendo sorridere anche lei.
«Ti ho dato i guanti perché tanto a me sudavano le mani, io il freddo non lo sento, guarda...» mi spiegò Regina fermandosi di fronte a me e poggiandomi una mano sul lato sinistro del viso.
Io non credetti subito alle sue parole, quando mi infilai i guanti li trovai caldi ma erano asciutti, però era anche vero che le sue mani anche senza guanti erano calde. Sentii tutto il calore provenire dalla sua mano, sul mio viso che invece era freddo, e mi incantai di nuovo sul suo viso illuminato dalle lucine gialle che ornavano alcuni rami di alberi attorno a noi.
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In quel momento però anche Regina rimase incantata dal viso di Emma, lei non lo diede a vedere ma le piacevano i suoi occhi e il suo sorriso. Regina si preparò mentalmente già quel venerdì sera, quando Emma le mandò la foto. Difatti ogni battuta sarcastica di Regina, ogni frecciatina puntata per far credere a Emma che non le importasse di lei, non era del tutto vera. I guanti, Regina glieli porse non appena scesero dalla moto, poco prima di entrare nel parco. Lei notò le mani di Emma particolarmente rosse, quasi viola, e non esitò un attimo.
«Dai, prendili.» la spronò Regina. «A me servono solo quando sono sulla moto.»
Emma era titubante, si convinse solo dopo un po' non riuscendo quasi più a muovere le dita come voleva, lentamente li indossò e si sentì quasi subito meglio. Quando lei glieli diede, Emma pensò che forse Regina non fosse tanto malvagia, che in un certo senso si preoccupava per gli altri, ma Regina si preoccupò per lei già prima che Emma se ne accorgesse. Un'ora prima, quando si incontrarono, la vide piuttosto infreddolita e le propose proprio per quello di andare al Sonsie.
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Dopo 2 interminabili minuti fu Regina a staccarsi da me, io sentii un'attrazione forte nei suoi confronti, ma non volevo andare oltre. Avevo sofferto abbastanza e non volevano continuare ad essere delusa, tralasciando la questione che mi sarei sentita in colpa nei confronti di Grace.
«Beh dai, hai detto che hai prenotato un tavolo al Meritage, giusto?» mi chiese Regina facendo un passo indietro prima di farmi segno di tornare ad avviarci verso l'uscita, in mezzo a quegli alberi illuminati e quelle panchine parzialmente vuote.
«Sì, se andiamo adesso dovremmo farcela.» risposi io in tono titubante guardando l'orario sul mio orologio.
Mancava un quarto d'ora, ed entrambe volevamo essere puntuali. Eravamo a meno di un miglio dal ristorante e per arrivarci ci avremmo messo meno di 10 minuti. Non appena arrivammo davanti all'iconico arco in pietra del Boston Harbor Hotel, lasciammo la moto e il casco e proseguimmo a piedi. In quell'hotel non ci andai mai, era un posto fin troppo costoso per me. Il ristorante era ad un piano dell'hotel, non appena entrammo nella hall piuttosto elegante ci facemmo accompagnare e trovammo quasi tutti i tavoli pieni. Ovviamente io avevo prenotato, e non dovevamo aspettare molto, ma era snervante avere tutti quegli occhi addosso poiché non eravamo vestite propriamente eleganti come tutti gli altri. A me quegli sguardi davano fastidio ma Regina riuscì a distrarmi.
«Non te la tirare troppo, ti guardano solo perché sei con me.» disse con fare piuttosto altezzoso seguendo il cameriere ad un tavolo in fondo alla sala.
C'erano svariati tavoli rettangolari ai lati della sala vicino alle enormi finestre, queste ultime erano tanto grandi proprio per rendere visibile ogni angolo del porto, al centro c'erano tavoli quadrati con quattro sedie ad ogni lato, ma io prenotai un tavolo vicino alla finestra. Al posto delle sedie c'erano due lunghi divanetti in pelle, i colori che primeggiavano erano il rosso e il bianco per i tavoli, le sedie e i divanetti, le pareti erano in mogano e parte del pavimento in quello che sembrava un parquet aveva un tappeto nero con inserti in oro.
«Sicura di poterti permettere una cena in questo posto?» mi chiese Regina non appena ci sedemmo, ognuna sul divanetto di fronte all'altra.
«Solo perché lavoro in polizia non significa che io sia povera.» contestai prendendo il menu dalle mani del cameriere che poco dopo andò via.
«Oh non ne dubito, se non avessi così tanti soldi non li spenderesti di certo per pagare una persona che esca con te, no?» domandò lei con fare ironico.
«L'ho fatto solo perché ero particolarmente curiosa di scoprire come funzionasse quel sito, non ho mai pagato nessuno per uscire con me.» ribattei rispondendo alla sua ennesima provocazione.
«Perché pagarli quando puoi puntargli una pistola alla testa?» replicò lei che sembrava volesse solo farmi innervosire.
«Credi che qualcuno possa uscire con me solo se pagato o minacciato?» continuai leggermente confusa.
«Beh insomma...» disse lei in tono titubante, ma subito la interruppi.
«Se non sbaglio tu ti sei convinta ad uscire con me solo dopo aver visto la mia foto, all'inizio non mi sembrava che ne avessi molta voglia.» commentai usando il suo precedente tono sarcastico.
«Mi sembravi piuttosto disperata.» replicò lei in tono basso e un sorrisetto a dir poco stronzo.
«Disperata io? Sul serio?» ribattei in tono lievemente nervoso, riusciva a farmi cambiare umore in un attimo.
«Hai pagato una persona per uscire con te, una che non sapevi nemmeno che faccia avesse, potrei essere sul serio una serial killer e non lo sapresti.» mi spiegò lei in tono stranamente calmo.
«E anche se fosse? Lavoro in polizia, vedo così tanti assassini che tu nemmeno immagini, tra l'altro se tu fossi davvero una di loro fidati che prima o poi ti troveresti a causa mia dietro le sbarre. Per ora godiamoci la cena.» le dissi chiamando poi il cameriere poiché stavo morendo di fame.
«Quanta sicurezza, principessa.» commentò lei con un sorrisetto divertito.
Il ragazzo prese i nostri ordini ma in quel ristorante ti portavano del vino scelto da loro, che fosse perfetto per le pietanze scelte, ma Regina non sembrava volerne.
«No, grazie. Per me solo acqua.» disse al ragazzo che riempì il mio bicchiere e dopo averla guardata con uno sguardo confuso annuì e andò via.
«Sul serio non bevi il vino?» le chiesi un po' confusa, in fondo non mi sembrò molto restia nel bere quel sidro di mele ugualmente alcolico.
«Devo riportare la principessa al palazzo, più tardi, e nonostante regga bene l'alcol preferisco essere al 100% lucida. Non vuoi mica rischiare che tuo figlio cresca senza madre?» mi spiegò lei con un sorrisetto ironico, ma io ero confusa, non ricordavo di averle parlato di Henry.
«Come fai a sapere che ho un figlio?» le chiesi piuttosto confusa.
«Dalla foto che mi hai mandato, ho visto il suo riflesso in un piccolo specchio appeso poco lontano dall'albero. È carino.» mi spiegò lei con un sorriso particolarmente dolce.
Passammo i successivi 20 minuti a mangiare, a parlare di lui, di Henry, sembrava interessarle molto quell'argomento anche se non mi sembrava un tipo molto materno. Rimasi piacevolmente sorpresa, però, della scoperta che anche lei aveva una figlia.
«Ho una bambina di 10 anni, si chiama Kate.» rispose lei con un sorriso quasi forzato.
Probabilmente se non glielo avessi chiesto non mi avrebbe detto nulla, infatti quando provai a chiederle altro lei si chiuse quasi a riccio e non volle parlarmi, non ne capii il motivo ma non volevo essere troppo invadente. Provai a cambiare argomento, le chiesi se le piacesse il posto e lentamente sembrò sciogliersi.
«Deve essere proprio tanto importante per te questa donna se hai prenotato in un posto simile.» commentò lei voltandosi lentamente verso destra, verso la finestra e guardando le luci che venivano riflesse dall'oceano.
In quel momento non sapevo se Grace fosse tanto importante per me, in quelle poche ore che trascorsi con Regina mi sentii talmente bene che pensai di rado alla mia ragazza. Mi sentivo in colpa ogni volta che pensavo a lei, ogni volta che sentivo il mio cuore sussultare per Regina, per un suo sorriso o un semplice sguardo. In quella serata ingogliai tutto, i sensi di colpa verso Grace, la cotta per Regina. Sapevo di non star facendo nulla di male, perché in fondo parlammo solo molto, uscimmo come se fossimo due amiche, quindi non avevo motivo di sentirmi in colpa, perlomeno prima di dividerci. Quando finimmo di mangiare restammo lì per altri pochi minuti, Regina mi spiegò perché non mise nessuna sua foto e perché bloccò le recensioni. Disse che aveva un pessimo carattere, che voleva che le persone la "scegliessero" in base a ciò che era dentro e non per il suo aspetto, e mi spiegò che le recensioni per lei erano stupide. Lei non era un oggetto, non aveva bisogno che qualcuno le dicesse se funzionava bene o meno, così preferì bloccare tutto. In quel momento la sentii stranamente vulnerabile. Chiacchierammo fino a quando non arrivò il conto, e non appena il cameriere ce lo lasciò al centro del tavolo Regina fu più veloce di me.
«Cosa stai facendo?» le chiesi piuttosto confusa.
«Pago il conto.» disse lei prendendo dei soldi dal portafogli che aveva nella tasca della giacca.
«Ma non tocca a te, devo pagare io.» ribattei provando ad allungarmi verso di lei ma non ci arrivavo e non volevo fare una sceneggiata in mezzo a tutti quei signori ben vestiti.
«Avresti dovuto pagare tu se fossi stata con la tua ragazza, ma sei con me e hai già pagato al bar.» replicò lei senza degnarmi di uno sguardo.
«Quel conto era una sciocchezza in confronto a questo.» contestai io che ovviamente prima di prenotare un tavolo vidi comunque i prezzi online.
«Senti, smettila di lamentarti. Hai avuto la possibilità di cenare con The Queen in persona, in pochi possono dire lo stesso. Quindi ora alzati che ce ne andiamo.» continuò lei chiudendo il blocchetto del conto con i soldi dentro e alzandosi in piedi.
«Non ha senso tutto questo.» protestai io alzandomi poco dopo e infilandomi il cappotto.
«Sì, certo, parlane con il mio avvocato.» continuò lei con un sorrisetto ironico. «Addio, plebei!» disse in tono piuttosto alto facendo un saluto regale alle persone che la guardarono straniti.
«Ma cosa fai?» le chiesi cercando di trattenere una risata.
«Sono una regina educata.» mi spiegò lei con una serietà tale che mi divertì solo di più.
Per fortuna non ci mettemmo molto ad arrivare all'uscita della sala, e probabilmente quelle persone pensarono che lei fosse semplicemente pazza così ci lasciarono andare senza dire nulla. Lentamente poi tornammo giù e arrivammo quasi subito alla moto. Nonostante varie lamentele Regina mi lasciò i guanti, anche se la temperatura si abbassò ancora di più. Per tutto il viaggio io continuai a guardare lei, non riuscivo a farne a meno, ogni metro in più che facemmo sentii che mi allontanava da lei. Sentivo una forte sensazione di nausea, non volevo staccarmi da lei per nessun motivo al mondo, ma non appena tornammo davanti al Wichit dovetti staccarmi e scendere dalla moto.
«Non è stato così male, dovresti litigare più spesso con la tua ragazza.» mi disse lei non appena le porsi il casco.
«Perché, vorresti uscire di nuovo con me?» le chiesi con fare provocatorio.
«Io? Non ci penso minimamente, ho notato che ti sei divertita, quindi potresti rifarlo qualche volta con qualcun altro. So che un certo pirata cerca moglie.» ribatté lei col mio stesso tono.
«Beh io non cerco una relazione, ne ho già una.» le rammentai debolmente, i sensi di colpa tornarono a farsi sentire.
«Una molto appagante, a quanto vedo.» continuò lei ammiccando con fare decisamente ironico.
Non potevo darle torto, non ero in una bella situazione, ma provai a non peggiorarla facendo un passo lontano da lei.
«Certo, beh io vado allora, grazie per la serata.» ribattei velocemente, ero pronta ad andare via ma Regina mi fermò.
«Aspetta...» disse facendo un passo verso di me e allungando poi le sue mani sui lembi superiori del mio cappotto. «Copriti, altrimenti prenderai freddo e la tua ragazza se la prenderà con me.» aggiunse abbottonandomi gli ultimi due bottoni in alto. «Ecco, adesso puoi andare.» continuò alzando lentamente lo sguardo sui miei occhi.
Lei mi sorrise con fare ironico, fece un mezzo passo indietro e non smise un attimo di guardarmi. Io feci lo stesso, perlomeno per tenere lo sguardo fisso verso il suo, ma io non sorridevo. Io avevo una strana voglia di baciarla, mi colpì talmente tanto che non sapevo come comportarmi. Quando faceva la stronza era facile per me risponderle a tono, ma quando mi provocava semplicemente, pur facendo cose dolci, non riuscivo a ribattere.
«A meno che tu non voglia andare via.» ricominciò Regina con quel tono beffardo e quel sorrisetto soddisfatto che mi convinse solo a farmi avanti.
Mi misi faccia a faccia con lei, Regina non indietreggiò minimamente, il suo sorriso rimase impassibile, ed io mi lanciai nel vuoto, metaforicamente parlando. Portai una mia mano sul suo viso, tra la mascella destra e il collo, e mi avvicinai sempre di più fino a far incontrare le nostre labbra. Fu un breve bacio, non molto spinto, ma mi godetti a pieno ogni istante. Le sue labbra morbide, il suo profumo così forte e deciso, la sua pelle calda sotto le mie mani di nuovo fredde... Sarei andata avanti anche di più, anche con più passione, ma non potevo. Mi ero già spinta oltre. Prima di baciarla non sapevo come rispondere alla sua ennesima provocazione, ma non appena mi staccai da lei sapevo benissimo cosa dirle.
«Chissà adesso cosa dirà la mia ragazza, eh?» commentai in tono ironico, sapevo che se non lo avessi detto io lo avrebbe fatto lei.
Quest'ultima per una volta rimase senza parole, quella che avrebbe parlato per ore ed ore ero io ma non lo feci, piuttosto mi allontanai lentamente da Regina e la salutai. Sul mio viso avevo un sorriso decisamente soddisfatto, sentivo di aver fatto ciò che realmente volevo senza pensare alle conseguenze delle mie azioni, tanto Regina per me era un'estranea e non l'avrei più rivista, no?

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