Capitolo 2 - Bugie.

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Non sono brava con le storie polizesche, anche se sono un genere che adoro, ma preferisco non inoltrarmi in un campo fin troppo sconosciuto e complicato per me. Il lavoro di Jane ed Emma sarà presente ma a grandi linee e senza troppi dettagli, come anche i personaggi di Rizzoli & Isles o alcuni di Once Upon A Time.
*********

Quando arrivai su in casa mi sentivo strana, non riuscivo a smettere di sorridere. Andai subito in camera, ma prima di cambiarmi mi fermai davanti all'alto specchio rettangolare che avevo accanto alla porta. Portai una mano sul collo del cappotto, la parte in alto che Regina abbottonò, e rividi davanti a me quegli occhi così intensi da farmi tremare le gambe anche in quel momento. Senza che me ne rendessi conto portai quella mano sulle mie labbra, il pensiero tornò automaticamente a quel bacio. Non sapevo se lo volesse anche lei, non le chiesi il permesso, ma non si tirò indietro. Quando mi staccai non disse nulla, aveva solo un sorriso confuso poiché non si aspettava quel mio gesto. In quel momento sentivo ancora il suo profumo, come se fosse davanti a me, ma purtroppo non c'era e probabilmente non ci sarebbe stata più. Dovevo dimenticarla, dovevo togliermela dalla testa. Io avevo una ragazza e non potevo perdere tutto per una stupida infatuazione. Velocemente mi cambiai, mi misi qualcosa di più comodo e tornai in salotto ad attendere l'arrivo di Henry. Erano le 22 passate e di solito a quell'ora era già arrivato con i nonni, quel giorno però arrivarono una decina di minuti più tardi ed Henry non sembrava allegro come al solito.
«Ciao ragazzino!» lo salutai subito non appena quel piccoletto entrò dall'ingresso che era proprio in salotto.
Io mi alzai da quel divano non appena sentii le chiavi nella serratura, nonostante gli dicessi che lo avrei aspettato lui continuava a portarsi dietro le chiavi, non voleva disturbarmi o eventualmente svegliarmi quando non uscivo con lui. Henry però non mi degnò nemmeno di uno sguardo, abbassò subito i suoi occhi scuri non appena entrò in casa e si avviò verso la cucina lasciandomi lì in piedi come una scema.
«Ciao...» mi disse semplicemente in tono piuttosto flebile, a malapena lo sentii.
«Che succede?» gli chiesi voltandomi verso di lui che aprì velocemente il frigo, prese del succo all'arancia e si sedette su uno sgabello vicino al bancone in finto legno che divideva la cucina dal salotto.
Lui non mi rispose, si attaccò al succo come se non bevesse da settimane e io mi voltai verso i miei genitori che entrarono poco dopo di lui. Quei due quando ebbero me erano molto giovani, purtroppo per me non dimostravano nemmeno la loro età e io e mia madre fummo scambiate spesso per sorelle. Era poco più bassa di me, più robusta, i lineamenti del viso erano simili, sia ai miei che a quelli di Henry, anche lei aveva gli occhi chiari ma i suoi capelli erano lunghi e neri. Il suo colorito era sempre piuttosto pallido ma le guance erano sempre rosse, sia in inverno che in estate. Mio padre invece era alto, con le spalle larghe, i capelli biondi, molto corti, e gli occhi azzurri. Lui era visto da molti come il classico principe azzurro delle favole, e mia madre non poteva che essere la sua Biancaneve. Erano perfetti insieme, sdolcinati in una maniera assurda, raramente erano in disaccordo e io non sapevo sul serio come facessero. Anche sui loro visi non vidi la stessa serenità di quando tornavano da un fine settimana passato insieme, e mi fu facile intuire che qualcosa non andava.
«Volete dirmi cosa succede o devo tirare a indovinare?» gli chiesi nervosamente stufa di quei silenzi.
«Non è successo niente, è solo un po' scosso.» disse mia madre provando a calmare un po' tutti col suo tono pacato.
«Non sono scosso!» contestò Henry staccandosi da quel cartone.
«Ok, è leggermente innervosito.» continuò mia madre.
«Leggermente?» chiese Henry con un tono che era tutt'altro che "leggermente" innervosito.
«Vuoi raccontarle tu cos'è successo allora?» ribatté mia madre stufa delle sue continue interruzioni.
«Certo, perché non posso fermare i criminali come fai tu?» mi chiese scendendo da quello sgabello e guardandomi con fare decisamente serio.
«Beh perché io sono una poliziotta, e a prescindere da questo sono un'adulta, tu sei ancora un bambino.» risposi io cautamente non sapendo dove volesse andare a parare.
«Ma mi hai sempre detto che bisogna combattere le ingiustizie, questo cos'ha a che fare con l'età?» continuò lui facendo un paio di passi verso di me.
«Dipende dai casi, se mi dite cos'è successo potrei spiegarti meglio tutto quanto.» ribattei io debolmente, odiavo dover dare dei pareri senza sapere ogni dettaglio di ciò che succedeva.
«Abbiamo visto degli uomini aggredire una donna.» disse Henry in tono nervoso.
Subito dopo si morse il labbro inferiore, lo faceva sempre quando si innervosiva molto e provava a trattenere le lacrime. Si vedeva che era particolarmente scosso e così preferii continuare a parlare con i miei genitori piuttosto che con lui.
«Dov'è successo?» chiesi alzando lo sguardo su mio padre e solo in quel momento mi accorsi che teneva in una mano un fazzoletto sporco di sangue. «Ti sei fatto male?» gli chiesi facendo un passo verso di lui.
«Oh no no, questo sangue non è mio.» mi spiegò lui in tono lento provando a tranquillizzarmi. «È successo un quarto d'ora fa, proprio qui fuori di fronte al Wichit.»
«Cosa?» chiesi io trattenendo il fiato.
Sperai con tutto il cuore che non fosse Regina, che non fosse sul serio coinvolta in brutti giri, ma non ero sicura che fosse andata via non appena io entrai in casa. Non pensai molto al fatto che vedesse dove abitavo, ma non mi voltai nemmeno indietro per vedere se c'era ancora. Probabilmente rimase lì per un po', forse fu coinvolta in qualcosa. I dubbi lentamente si impossessarono della mia mente, magari ero solo tanto negativa, ma come potevo essere certa che non fosse lei?
«Quando siamo arrivati si vedeva già un gruppo di persone riunite lì davanti, David è corso subito verso di loro per fermarli, per allontanarli, mentre io ho chiamato la polizia.» mi spiegò meglio mia madre.
«Quindi andava avanti già da un po'?» le chiesi subito dopo.
«Non credo, forse all'inizio erano solo parole. Poco prima che arrivassimo all'incrocio li ho visti parlare, poi dopo si sono aizzati contro la povera donna.» continuò lei facendomi salire un nodo alla gola.
«Avremmo dovuto farla salire in casa, non dovevamo lasciarla andare via.» urlò Henry contro i nonni.
Non lo avevo mai visto tanto furioso, ma in fondo in quei 10 anni visse tranquillo vedendo quelle cose solo in tv. Io provavo a tenerlo fuori dal mio lavoro, da ciò che vedevo ogni giorno, ma sapevo di non poterlo proteggere per sempre.
«È stata lei a dire che non voleva salire con noi, cosa potevamo fare? Costringerla?» gli chiese mio padre in tono confuso ma sempre piuttosto calmo.
Henry non rispose, abbassò di nuovo il suo sguardo verso il pavimento e passando davanti a noi tre si avviò verso la sua camera.
«Henry!» lo chiamò mia madre provando ad andargli dietro ma io la fermai.
«Lascia stare, dopo gli parlo io.» le dissi in tono lento sperando che da sola riuscissi a farlo calmare.
«Mi dispiace che abbia assistito a tutto questo, ma magari non dovrebbe vivere qui, è una città troppo pericolosa.» ricominciò mia madre che voleva da ormai 5 anni che tornassi a vivere con loro.
«E dove dovrebbe vivere? A Storybrooke dove non succede mai nulla o in campagna lontano da tutti com'è cresciuto papà?» le chiesi in tono parzialmente ironico.
Io volevo il meglio per Henry, volevo che avesse più possibilità di quante ne ebbi io, ma volevo anche per me qualcosa di più e Storybrooke mi stava stretta.
«Ehi, io sono stato benissimo in campagna.» si lamentò mio padre con fare lievemente offeso.
«Sì, lo so, ma Henry qui ha tutti i suoi amici, tutte le sue abitudini. Vi vuole bene e gli piace venire a Storybrooke ma non ci vivrebbe.» ribattei debolmente, stufa di dover ripetere sempre le stesse cose.
«Non lo faresti tu, a lui lo hai mai chiesto?» continuò lei con un tono nervoso.
«Mamma, ne abbiamo già parlato, qui entrambi abbiamo le nostre vite e le nostre abitudini.» replicai in tono più nervoso del suo.
«Emma, tua madre è solo preoccupata.» disse mio padre provando a calmare quel discorso che durava fin troppo.
«Beh, papà, dì alla mamma che non deve preoccuparsi di nulla. Henry è un bambino altruista e compassionevole, ma è anche molto forte, riuscirà a riprendersi.» continuai io in tono piuttosto nervoso, non li sopportavo quando provavano a convincermi a tornare da loro.
Poco dopo la smisero con quell'assurda storia e ci salutammo, loro andarono via ed io andai in camera di Henry. La sua camera era piuttosto spaziosa, le pareti erano dipinte di un blu elettrico ma con tutti i poster di Star Wars e supereroi vari nemmeno si notava. L'unica fonte di luce in quella stanza era di una lampada lava rossa e gialla, ma era talmente fioca che preferii accendere la luce del lampadario. Henry era sul suo lettino, al centro della stanza, disteso a pancia in giù. Lentamente mi avvicinai al suo letto e mi sedetti accanto a lui poggiandogli poi una mano dietro le spalle.
«Perché non mi capiscono?» mi chiese con la voce tremante e il viso parzialmente nascosto contro il cuscino.
«Loro ti capiscono, non si tratta di questo, sono solo preoccupati che tu ti faccia male.» gli spiegai io lentamente.
«Non mi sarei fatto nulla, volevo solo dire a quegli uomini di starle lontano.» commentò lui nervosamente tirandosi su e mettendosi seduto accanto a me.
«E credi che ti avrebbero ascoltato?» ribattei con un sorriso sarcastico.
«Probabilmente no, ma volevo provarci. La nonna mi ha tenuto stretto per tutto il tempo, mi ha lasciato solo quando quegli uomini sono scappati via.» continuò debolmente.
«Beh è normale, voleva proteggerti.» dissi in tono calmo, ma lui si innervosì solo di più.
«Ma io posso farlo da solo, quando non ci sei sono io che mi preparo la colazione, prendo l'autobus da solo, ritorno a casa da solo. Perché quella situazione dovrebbe essere diversa?» domandò tenendo le mani chiuse a pugno poggiate sulle proprie gambe.
«Perché erano degli uomini pericolosi e non sapevano se fossero armati o meno.» provai a spiegargli io, ma lui era testardo, continuava ad essere dell'idea che avrebbe potuto e soprattutto dovuto fare qualcosa.
«Mi sono sentito inutile...» commentò tristemente poco dopo.
In quel momento ero io quella inutile, provavo a farlo sentire meglio ma non ci riuscivo. Dirgli che era troppo piccolo non gli piaceva ma non potevo mica dirgli che poteva rincorrere tutti i criminali della città?
«A volte basta uno squillo alla persona giusta, puoi chiamare la polizia come ha fatto la nonna. Domani pomeriggio andiamo a comprare un cellulare tutto per te, così potrai chiamare aiuto ogni volta che vorrai, va bene?» gli proposi sperando che si convincesse e lentamente mi sorrise.
«Sì, grazie!» rispose lui con un tono piuttosto allegro portandomi poi le braccia intorno al collo.
«Però dovrai usarlo solo in caso di assoluto bisogno, solo quando sei sicuro che qualcosa non vada, non puoi chiamare la polizia ogni secondo.» gli dissi con fare severo non appena si staccò da me.
«Ah quindi non posso chiamarli se i discorsi della maestra mi annoiano a morte?» mi chiese in tono decisamente ironico.
«No, non ti azzardare.» ribattei portando le mie mani sul suo addome e facendogli il solletico.
Quei discorsi tra me e lui erano forse troppo seri, stava crescendo così in fretta che quasi mi spaventava.
«Comunque la donna all'inizio si è difesa bene, solo che gli uomini erano in 3 e hanno avuto la meglio.» mi spiegò lui non appena mi alzai in piedi, pronta per andare via.
«Le hanno fatto del male?» gli chiesi io tornando a pensare che forse fosse Regina, ma continuavo a sperare di sbagliarmi.
«Non lo so, io ero lontano, quando sono corso verso di loro lei era già pronta per andare via e non l'ho vista bene. Il nonno dice che aveva solo il labbro spaccato.» mi spiegò lui con fare titubante.
«Beh allora magari starà bene, stai tranquillo. Non l'hai vista in faccia?» continuai lentamente provando ad avere più informazioni possibili.
«No, so solo che aveva una bella moto. Quando le sono arrivato abbastanza vicino lei aveva già il casco sulla testa, i poliziotti poi sono arrivati quando non c'era più nessuno.» disse ripensando a ciò che successe. «Quando la troverai puoi chiederle da parte mia come sta?» aggiunse con un sorrisetto sarcastico sul viso.
«Chi ti dice che riuscirò a trovarla?» gli chiesi io piuttosto confusa.
«Beh tu sei brava a trovare le persone, e poi è il tuo mestiere.» rispose lui con un ampio sorriso sul viso.
«D'accordo, se la troverò le chiederò come sta.» commentai ricambiando il suo sorriso.
Subito dopo gli stampai un bacio sulla fronte e gli dissi di mettersi a letto, che ormai era tardi, e lentamente uscii dalla sua camera. Io non sapevo se la donna in questione fosse Regina, non sapevo se fosse sul serio in grado di difendersi da sola, ma a prescindere da quello lei restava comunque una persona sola contro tre. Le poche cose che sapevo non mi confermavano che la donna in questione fosse lei ma, non appena mi misi a letto, accesi il mio portatile e ritornai su quel sito di incontri. Purtroppo non potevo vedere se fosse online, ma le scrissi ugualmente un messaggio. Le chiesi semplicemente se stesse bene, magari non fu lei la donna aggredita di fronte casa mia ma con quella domanda generica avrei potuto uscirmene con qualsiasi cosa. Immaginavo di dover aspettare almeno mezz'ora prima di ricevere una risposta, se non proprio il giorno dopo, ma Regina vide subito quel messaggio. Non sapevo dove abitasse ma non ci mise molto ad arrivarci. Il messaggio lo vide per l'appunto subito, ma ci mise almeno un paio di minuti prima di rispondere.
«Capisco che non ti abbia detto nulla dopo quel bacio, ma arrivare addirittura a chiedermi come sto mi sembra esagerato. È stato un bacetto, niente di che, sinceramente mi aspettavo di meglio.» mi disse usando di nuovo quel suo solito sarcasmo.
Quella donna per me era un vero enigma, di solito riuscivo a capire se una persona mentisse oppure no ma con lei non ci riuscii nemmeno di persona, figuriamoci anche solo provarci dietro lo schermo di un computer.
«Non mi sembra che ti sia dispiaciuto tanto questo "bacetto".» ribattei io subito dopo.
Il mio scopo non era quello di parlare di quel bacio, anzi fosse stato per me avrei evitato il discorso, ma lei sapeva quali tasti non dovesse toccare e li spingeva tutti quanti con forza.
«Solo perché ti ho lasciato fare? Guarda, mi spiace solo che non concedo seconde uscite altrimenti ti avrei fatto vedere io come si fa.» continuò lei.
A me tutta quella situazione stava facendo impazzire, non sapevo se quel sarcasmo fosse una copertura per qualcos'altro ma non ero in vena di scoprirlo, c'era altro che volessi sapere.
«E a me dispiace solo che non sappia dove abiti altrimenti sarei già lì a dimostrarti il contrario.» le dissi concedendo al mio istinto un'ultima stupida frase, ma subito mi ripresi. «Senti, volevo chiederti una cosa... Quando io sono entrata in casa, tu sei subito andata via?»
«Perché? Speri che sia rimasta lì fuori ad attendere che tu tornassi indietro per un secondo bacio?»
«Sii seria per una volta.» ribattei con un lungo sospiro, ogni conversazione con lei durava il triplo di quanto avesse dovuto.
«D'accordo, sono partita non appena tu sei entrata nel tuo palazzo. Contenta?» mi chiese poco dopo con quello che sembrava un tono serio, anche se erano solo parole scritte.
Ero contenta? Ovviamente no. Non ero sicura delle sue parole, non ero sicura che dicesse la verità, ma purtroppo non sapevo nemmeno come scoprire tutto quanto.
«Ascoltami, sono piuttosto stanca, hai altre inutili domande da farmi o posso anche andare a dormire?» aggiunse subito dopo facendomi innervosire di nuovo.
«Mi piacerebbe sapere come mai sei così acida, mi sembra che tu ti sia divertita oggi.» risposi io velocemente.
«Non volevo dirtelo ma mi sa che come detective fai pena. Io non mi sono affatto divertita, anzi credo che quello con te sia stato l'appuntamento più noioso a cui abbia mai preso parte.» continuò lei tornando al suo brutto carattere, ma esisteva qualcuno più incoerente di così?
«Ma vaffanculo!» le dissi battendo più velocemente i tasti su quella tastiera.
«Grazie cara, mi saluti tanto la sua ragazza.» ribatté lei continuando a prendermi in giro, ma io non avevo più molta voglia di risponderle.
Perché diavolo doveva essere così infantile? Perché non poteva comportarsi come una persona adulta? Dopo quella sua stupida risposta spensi il portatile, avevo un misto tra rabbia e sonno dentro che non sapevo cosa fare. Provai a dormire, perlomeno a chiudere gli occhi e rilassarmi, ma le frasi sarcastiche di Regina mi girarono nella testa come un disco rotto e la rabbia prese il sopravvento. Perché doveva comportarsi in quel modo? In fondo non mi sembrò andare tanto male la nostra uscita, i suoi sorrisi non potevano essere finti, ma forse era semplicemente troppo bella per essere vero. Mi girai e rigirai nel letto per almeno tre quarti d'ora, ma la notte era ancora lunga. Dopo pochi altri minuti il campanello suonò e io mi tirai subito su con le braccia, non aspettavo nessuno quel giorno, soprattutto a quell'ora. Uscii subito dalla mia camera, controllai che Henry fosse a letto e mi diressi verso l'ingresso. Di solito mi portavo la pistola dietro, soprattutto quando sapevo che c'erano dei pazzoidi in giro, ma in quel momento non lo feci. Pensai che fosse qualcuno che conoscevo e infatti fu così. Dallo spioncino non vidi nulla, fuori era buio, così mi costrinsi ad aprire la porta prima che chiunque fosse lì fuori suonasse per l'ennesima volta il campanello e svegliasse anche Henry. Prima di aprire la porta però attaccai la sicura, giusto per essere certa che potessi fidarmi, quando capii chi fosse la tolsi e aprii di più la porta.
«Grace, cosa ci fai qui a quest'ora?» le chiesi facendole segno di entrare ma non appena si mise sotto la luce non sembrava nemmeno più lei.
I suoi capelli castani erano raccolti in una spettinata coda alta, di solito quando li raccoglieva aveva delle ciocche che le coprivano piccole parti di viso, o tutta la fronte dato che diceva che non le piaceva, ma in quel momento ce l'aveva scoperta. I suoi occhi scuri erano rossi e gonfi, come se avesse pianto, ma il suo abbigliamento era piuttosto elegante, aveva un abito lungo e azzurro coperto parzialmente da una giacca bianca, si vedeva che veniva da una festa. Ciò che mi fece venire un tonfo al cuore fu un livido poco sotto l'occhio sinistro e del sangue asciutto sotto il sopracciglio allo stesso lato.
«Piccola, cos'è successo?» le chiesi prendendole il viso tra le mani e cercando di guardare meglio il suo viso.
Lei provò a parlare, a spiegarmi qualcosa ma alla fine i suoi occhi si ripirono di lacrime e non riuscì a continuare. Io l'abbracciai, la strinsi a me e quando si calmò un tantino la feci sedere sul divano.
«Ti preparo un the caldo, ti va?» le chiesi asciugandole lentamente il viso con le mie mani.
Lei annuì semplicemente e io allora mi misi subito al lavoro, quando le diedi quel the attesi accanto a lei che mi parlasse, che mi spiegasse qualcosa, ma un dubbio mi pervase la mente.
«Sei tu la donna che hanno aggredito qui di fronte?» le chiesi con un nodo alla gola.
Lei non rispose, perlomeno non a parole, annuì debolmente guardandomi per un solo istante negli occhi, sembrava quasi vergognarsi.
«Li conoscevi? Li hai visti in faccia?» le chiesi poggiandole una mano dietro le spalle.
«N-no, era buio, quando hanno iniziato a parlarmi ero di spalle. Mi hanno aggredito quasi subito non appena mi sono voltata.» mi spiegò lei lentamente.
«E perché non sei venuta prima da me? Perché sei qui solo ora?» continuai io decisamente confusa, in fondo era lì, poteva venire prima.
«Perché ho visto tuo figlio, era con i tuoi genitori e non volevo presentarmi così a loro.» mi spiegò lei in tono titubante.
In effetti i miei genitori non la conoscevano ancora, stavamo insieme da due anni ma non avevo mai avuto modo di presentarla a loro.
«Ma cosa significa? Loro ti avevano comunque già vista, potevi venire da me senza problemi.» ribattei io in tono insistente, la rabbia per quegli uomini iniziò a salire tutta in un colpo.
«Mi dispiace, non volevo che mi vedessi in questo stato. In verità non volevo nemmeno venire qui, sono stata in giro per un po' ma non sapevo dove altro andare.» mi spiegò lei abbassando il suo sguardo verso il pavimento.
«In effetti sei lontana da casa, cosa ci fai a Boston?» le chiesi accarezzandole dolcemente il viso.
«Volevo farti una sorpresa, mi sono sentita una stronza e sono passata qui da te già qualche ora prima dell'incontro con quegli uomini, ma tu non eri in casa. Forse avrei dovuto chiamarti ma volevo appunto farti una sorpresa, non immaginavo avessi da fare.» commentò lei facendomi sentire decisamente in colpa.
«Non era nulla di importante, se mi avessi chiamato sarei tornata subito qui.» le dissi debolmente, probabilmente sbagliai ad uscire con Regina. «Ormai è tardi per tornare a casa, ti va di restare qui e dormire con me?»
«Solo se non ti disturbo... Non vorrei che poi Henry dovesse prendersela, non credo di stargli molto simpatica.» biascicò lei lentamente.
«Ma no, che dici? Henry è l'unico della mia famiglia che ti conosce e gli piaci, stai tranquilla.» ribattei io avvicinandomi lentamente a lei e stampandole un bacio sulla fronte. «Dai, andiamo!» aggiunsi prendendole le mani e facendole segno verso il piccolo corridoio.
Lentamente si alzò in piedi e mi seguì fin dentro la mia stanza, le diedi qualcosa di comodo per la notte e subito dopo ci mettemmo a letto.
«Sai, forse dovrei trasferirmi a Boston...» commentò lei facendosi più vicina a me e mettendoci poi entrambe solo sul lato destro del letto.
Le sue spalle erano contro il mio petto e con le braccia la tenni stretta a me, volevo che si tranquillizzasse, che sapesse che io c'ero.
«Come mai questo pensiero?» le chiesi un po' confusa, in fondo in quei due anni non mi parlò mai di nulla.
«Non so, a volte ci penso, sarebbe più facile vedersi e potrei allontanarmi dai miei genitori.» mi spiegò lei.
In effetti il lavoro in banca lo trovò grazie a loro, che come lei abitavano a Westwood, ma non ero sicura che dicesse sul serio.
«E lasceresti tutti i tuoi amici solo per stare più vicino a me?» continuai con fare decisamente titubante.
«Non mi credi?» domandò lei togliendosi le mie mani dalla propria vita e voltandosi verso di me.
«Non è questo, è che non ci siamo sentite poi tanto negli ultimi mesi...» le spiegai io tenendo un tono piuttosto calmo nonostante la cosa mi pesasse alquanto.
«Pensi che sia meglio lasciarsi?» mi chiese lei in tono triste. «Io non voglio che ci lasciamo...» aggiunse avvicinandosi di più a me e facendo sprofondare il suo viso nel mio petto.
Quella serata mi scombussolò parecchio le idee. Io non volevo lasciare Grace ma era ovvio che il nostro rapporto si fosse raffreddato, se così non fosse stato non sarei mai uscita facilmente con un'altra, per quanto riguardava Regina invece non era chiaro cosa provassi. Lei era sempre fin troppo sarcastica, non voleva farmi capire cosa pensasse sul serio, ma forse l'unica cosa che avrei dovuto fare era dimenticarmi di lei e provare a riprendere i rapporti con Grace. Quella fu una cosa che provai a fare, lasciai uscire Regina dai miei pensieri e feci tornare Grace, ma quella tranquillità durò appena una settimana. Io e lei non ci vedemmo ogni giorno ma ci sentimmo spessissimo, le cose non cambiarono subito ma perlomeno vidi da parte sua la voglia di provarci. Peccato che sembrava che fossi l'unica a notarlo.
«Non mi piace Grace...» mi disse Henry il mattino seguente quando lo accompagnai a scuola.
Non riuscii a far uscire Grace prima che Henry si svegliasse e così la vide con i miei vestiti addosso, all'inizio non disse nulla, se non qualche saluto educato, ma quando fu sicuro che fossimo soli mi disse tutto ciò che aveva dentro.
«È antipatica.» continuò poco dopo.
«Ma come fai a dirlo se l'hai vista poche volte e non avete passato nemmeno tanto tempo insieme?» gli chiesi io in tono confuso.
«Tu hai mai la sensazione che qualcuno a prima vista ti stia antipatico?» ribatté lui con fare tranquillo.
«Beh sì ma bisogna andare avanti e guardare oltre, non possiamo fermarci alle apparenze.» continuai lentamente provando a farlo ragionare.
«Infatti sono andato oltre, ma comunque non mi piace.» replicò lui lentamente.
«A me sì, quindi devi fartene una ragione.» gli dissi tenendo un tono piuttosto sarcastico, non volevo che tra loro due si creasse un'assurda competizione. «E comunque la donna che è stata aggredita qualche giorno fa era lei, quindi cerca di essere un po' più gentile.»
«Ma non è possibile, non può essere lei.» si lamentò Henry in tono fin troppo agitato. «Il nonno ha detto che la donna aveva il labbro spaccato non un occhio nero.»
«Beh l'occhio nero può formarsi anche dopo un po' di tempo dallo scontro.» gli spiegai con più calma.
«E il labbro può sanificarsi all'istante?» ribatté lui con fare ironico.
«Senti, non so cosa sia successo di preciso ma io le credo. Tuo nonno magari avrà visto male.» commentai io ma in effetti nemmeno ci credevo tanto.
Al lavoro fu lo stesso, anche lì c'era qualcuno che provava ad insinuare nella mia mente dei dannati dubbi.
«Ancora non hai lasciato quella ragazzina?» mi chiese Jane Rizzoli proprio quella mattina.
Lei era la mia collega, partner e buona amica da almeno 4 anni, da quando mi trasferii a Boston e riuscii a diventare detective al suo fianco. Per alcuni versi lei era simile a Regina, anche lei era molto sarcastica, aveva però un fisico più esile, i capelli più lunghi ma ugualmente neri e gli occhi più scuri, quelli di Regina potevano essere facilmente definibili castani, Jane li aveva proprio neri. Eravamo in macchina quando ne stavamo parlando, ci apprestammo ad andare al Common Park poiché pochi minuti prima ci fu segnalato un corpo vicino al Brewer Fountain, una fontana in bronzo con scolpite quattro figure mitologiche.
«Che poi chi ti dice che quel livido non glielo abbia fatto uno che voleva dei soldi da lei? Sai bene come l'hai conosciuta, non penso dovresti continuare questa storia.» continuò lei che seppe praticamente ogni particolare.
Conoscemmo entrambe Grace durante un caso, lei era un'amica di una ragazza morta per le strade di Dorchester, un quartiere di Boston. Per Jane lei era sospetta fin dall'inizio, diceva di essere la sua migliore amica eppure non conosceva nessun suo spostamento durante le sue ultime settimane di vita. In quel caso si rivelò avere ragione, la sua esperienza era migliore della mia, ma sotto c'era di più. Grace si drogava. Si allontanò dai suoi amici a causa di quella roba che ti friggeva il cervello, e quando lo scoprii provai ad aiutarla. Mi faceva pena, aveva uno sguardo spento e sembrava non importarle di nulla. Io la indirizzai ad un centro di disintossicazione e le lasciai il mio numero dicendole che avrebbe potuto chiamarmi quando voleva, per qualsiasi cosa. Una volta lo fece e da lì non smise più. All'inizio volevo solo aiutarla, non avevo altro scopo, ma poi un anno dopo mi chiese di uscire. Mi disse che era pulita da un anno e che voleva festeggiare con chi aveva reso tutto ciò possibile, Jane mi sconsigliò di andare, diceva che non ero obbligata a farlo e che qualsiasi cosa fosse successa non sarebbe stata colpa mia. Ma io ci andai, andai a cena con lei e mi divertii anche. Fu il suo lato dolce e timido a farmi innamorare, mi sembrava così indifesa, ma nel tempo cambiò. Non sapevo se di tanto in tanto facesse ancora uso di droghe varie, lei mi diceva che era pulita e io le credevo, Jane invece era sempre titubante.
«È pulita, Jane! Sai bene che una persona non ha bisogno per forza di una motivazione per aggredirne un'altra.» le spiegai in tono piuttosto nervoso.
«Dipende dai casi...» continuò lei lentamente ma per fortuna in quel momento arrivammo all'entrata del parco più vicina alla fontana.
Lasciammo l'auto in mezzo alle altre della polizia e ci avviammo verso la fontana, quest'ultima era circondata da dei poliziotti in divisa che segnavano il territorio, facevano foto del corpo poggiato a terra vicino alla fontana e cercavano qualsiasi cosa potesse tornarci utile.
«E pensare che ieri sera sono passata da qui, era un posto così allegro...» commentai io debolmente ripensando all'allegria che si respirava quella sera.
«Aspetta, come? Sei stata qui? Ma non hai detto di non essere uscita più con Grace?» mi chiese Jane piuttosto confusa.
«Infatti non ho detto di essere uscita con lei.» ribattei io in tono ironico voltandomi verso il corpo della vittima.
Era una donna, probabilmente sulla trentina, con capelli biondi e un abbigliamento sportivo, probabilmente andò al parco per fare una corsetta.
«Cioè mi hai fatto parlare per un quarto d'ora di Grace, provando a togliertela dalla testa, quando poi invece tu l'hai già sostituita?» continuò lei con fare quasi offeso.
«Io non ho sostituito proprio nessuno, la donna con cui sono uscita era solo una pazza.» contestai lentamente, ma lei non lo vedeva come un punto tanto critico.
«E Grace è solo una tossica.» ribatté in tono sarcastico.
«È pulita! Quante altre volte devo ripetertelo?» dissi voltandomi nervosamente verso lei.
«Oh non molte, solo fino a quando ne sarai convinta anche tu.» continuò lei con quello stesso tono ironico.
Purtroppo aveva ragione, io non ne ero convinta, ma lei che continuava ad insinuare stupidi dubbi nella mia testa di certo non aiutava.
«Dai vostri visi deduco che non sia una buona giornata.» commentò la dottoressa Maura Isles arrivando poco dopo accanto a noi.
«Perché, se guardi il viso di questa donna pensi che sia migliore?» le chiese Jane in tono ironico facendole segno verso il cadavere della vittima.
Da quando ero lì la vidi sempre comportarsi in quel modo con Maura, sempre molto sarcastica e pungente, un po' come Regina. Il motivo per cui Jane si comportasse in quel modo lo conoscevo però, lei aveva una cotta per la dottoressa. Me ne accorsi osservando ogni sua espressione quando Maura le parlava degli uomini che ci provavano con lei, da quelli più acculturati come dottori affermati ad altri più strani e per Jane quasi disgustosi come Giovanni, un uomo che aveva ereditato l'officina di famiglia. A Jane non stava mai bene nessun uomo che attirava l'attenzione di Maura, e nonostante dicesse che non capiva il sarcasmo continuava comunque a prenderla in giro perché le piaceva vederla confusa di tanto in tanto, come eravamo noi quando Maura parlava con termini troppo tecnici.
«Dottoressa, dopo che ha controllato il corpo della vittima, può dare una veloce occhiata anche alla detective Rizzoli?» le chiesi io in tono lievemente ironico.
«Perché, Jane, che cos'hai?» domandò la dottoressa voltandosi con fare preoccupato verso di lei.
«Non ho niente, lasciala perdere.» ribatté quest'ultima nervosamente.
«Non è vero, la guardi! Non le sembra che stia male?» continuai io con un sorriso beffardo. «Ha la respirazione alterata, il battito accelerato, uno scarso appetito causato da qualcosa di svolazzante nello stomaco.»
«Qualcosa di svolazzante nello stomaco?» chiese Maura guardandomi con fare confuso.
«Sì, ha presente gli animali muniti di ali? Ma anche gli insetti, tipo le farfalle...» commentai io lentamente.
«Ok, d'accordo, basta così. Ci vediamo al dipartimento, per qualsiasi cosa lì c'è Frenkie.» commentò Jane nervosamente col viso completamente rosso per l'imbarazzo, sapeva che se avessi continuato in quel modo prima o poi ci sarebbe arrivata.
«Ma Jane...» provò a ribattere Maura ma lei mi stava già spingendo lontano dalla scena del crimine.
«La devi smettere con questa stupida insinuazione, io non provo nulla per Maura, se non tanto affetto. Le voglio bene come lo si vuole a una sorella.» si lamentò lei non appena arrivammo all'auto.
«La sorella di qualcun altro però.» ribattei io in tono sarcastico.
Quel giorno Jane fu piuttosto in imbarazzo quando andammo a trovare Maura nel suo laboratorio, di solito faceva battute ma in quel momento le chiese solo la causa della morte della donna e se avesse altri dettagli da dirci. Io continuai ad insinuare dei dubbi nella testa di Maura, in fondo Jane si comportava in modo strano ed era ovvio che qualcosa non andasse, così Maura provò a controllarla. Le portò le mani sulla fronte e sul collo, all'altezza della giugulare, confermò che in effetti era piuttosto accaldata e che il battito era accelerato ma Jane si tolse quasi subito le sue mani di dosso.
«Sto bene, piantatela.» disse voltandosi e allontanandosi poi verso l'uscita.
«Le farfalle...» sussurrai io a Maura provando a darle un indizio, e lentamente andai dietro a Jane.
Dopo quella prima vittima ce ne fu un'altra, uccisa allo stesso modo, col corpo però in un altro parco di Boston, sempre ai piedi di una fontana. Lavorammo a quel caso per almeno 3 giorni, mettere insieme i vari indizi fu difficile, non sembrava che avessero poi tanto in comune ma pensare che fosse una coincidenza era assurdo.
Con Grace procedeva tutto stranamente bene, mi sembrava tutto perfetto, ma poi nella mia vita ritornò prepotentemente Regina. Nonostante l'insistenza di Jane, che voleva sapere chi fosse, riuscii ad evitarla per un po'. Ma fu proprio Jane a farmela rivedere. Era un sabato sera, Jane e Maura erano da me perché volevamo approfondire un caso, ma ci bloccammo prima di cena. Lavorare fuori orario era snervante, così decidemmo di fare una pausa e di riprendere dopo cena. Mentre Maura mi dava una mano in cucina, Henry e Jane erano sul divano a guardare un notiziario sportivo.
«Ma finalmente, era ora!» esclamò Jane allargando le braccia.
«Che succede?» le chiese Maura mentre entrambe ci voltammo verso di lei e la tv appesa al muro.
«Ci mostrano finalmente il nuovo direttore generale dei Red Sox, sono due settimane che dicono di star discutendo sul prezzo e quant'altro e oggi finalmente si è concluso tutto.» rispose Jane senza distogliere lo sguardo dalla tv. «Speriamo che questa Regina Mills faccia bene il suo lavoro.» aggiunse facendomi saltare un battito.
In tv non c'era ancora nulla, solo dei giornalisti che aspettavano impazienti nella sala stampa dei Red Sox, al Fenway Park. Era una stanza quadrata, con tavoli lunghi messi gli uni vicino agli altri proprio per creare un quadrato, e con delle sedie tutte attorno. Sulle pareti c'erano delle tv e dei quadri con foto dello stadio e dei campioni, vecchi e nuovi. Quando Jane disse quel nome io mi avvicinai al divano lentamente, pensai che magari avessi sentito male ma all'improvviso le telecamere inquadrarono Regina in un tailleur con giacca e pantalone nero e una camicia scollata bianca. Era divina in quell'abito. La sua intervista fu impeccabile, rispose con i tempi giusti, fece ridere tante volte i giornalisti ma notai che risero anche Jane ed Henry, lei li aveva già conquistati.
«È simpatica!» commentò Henry dopo una frase quasi innocente di Regina.
Un giornalista le chiese quali fossero i suoi piani per la squadra e lei se ne uscì con un sarcastico "vincere", la sua sfacciataggine era genuina, le veniva da dentro, si vedeva che nulla di ciò che diceva fosse programmato. Disse che aveva in mente dei progetti per la squadra ma di quelli ne avrebbe parlato con i suoi collaboratori. Lei aveva l'atteggiamento che un americano doveva avere, duro, forte, ma anche divertente, perché non si poteva tenere la corda troppo tesa.
«Se posso chiedere, cos'è successo al suo labbro?» le chiese un giornalista che in quel momento si prese più confidenza di tutti.
«Questo?» chiese lei portandosi due dita sulla ferita già quasi risanata. «Non è niente, sa com'è con gli amanti troppo focosi.» commentò lei facendo l'occhiolino verso quel giornalista che rise imbarazzato.
«Mamma, e se fosse lei?» mi chiese Henry con fare confuso.
«Lei chi?» domandò Jane voltandosi verso di lui ma io li lasciai parlare da soli, mi sentivo come se qualcuno mi avesse dato un gancio destro nello stomaco, mi sentivo ferita da colei che diceva di amarmi.
«La donna che è stata aggredita domenica sera.» le spiegò Henry e lentamente anche Maura ci raggiunse vicino al divano.
«N-no, non è possibile...» commentai io quasi soprappensiero.
Grace non poteva avermi mentito, non poteva avermi sfacciatamente presa in giro in quel modo, mi sentivo così stupida in quel momento.
«Tu conosci quella donna?» mi chiese Jane ma io continuai a guardare il viso di Regina alla tv senza risponderle. «Tu sei uscita con quella donna?» continuò lei che vedendo una mia ennesima esitazione continuò con le domande. «Quella è la donna con cui sei andata al Common Park?»
«Sì, Jane, sì. È lei.» le dissi stufa delle sue continue ed insistenti domande.
«Tu sei uscita con colei che è entrata facilmente tra le grazie dei proprietari dei Red Sox, che ha in mano il cuore di Boston, e non mi dici nulla? Quando hai intenzione di andare da lei e chiederle di sposarti?» continuò lei in tono ironicamente serio.
«Io non le chiederò nulla del genere.» commentai voltandomi verso di lei con fare severo.
«Andiamo, Emma. Non puoi farmi questo, avremo biglietti gratis per ogni partita dei Red Sox per sempre!» si lamentò lei implorandomi quasi.
«Quei biglietti puoi sempre comprarli.» ribattei nervosamente.
«Non è la stessa cosa, lei potrebbe darti i biglietti nei posti migliori.» continuò lei con fare insistente.
«Piantala... Piuttosto, vi spiace se vi lascio un attimo? Devo capire una cosa.» chiesi alzandomi in piedi e guardando prevalentemente solo Maura ed Henry, Jane pretendeva troppo da me.
«Certo, ti aspettiamo per mangiare.» mi disse Maura con un sorriso.
«Porta buone notizie!» ribatté Jane con fare ammiccante.
Io non le risposi, non mi sembrava il caso di continuare ad assecondarla, anche se aveva intuito dove volessi andare. Corsi subito giù, entrai nella mia auto e mi diressi verso il Fenway Park. Lo stadio era ancora circondato da molti giornalisti e così attesi che si allontanassero un po'. Non appena alcuni andarono via mi avviai verso l'entrata e con una certa nonchalance entrai dentro. Non sapevo bene dove fosse Regina, durante l'intervista era in un posto in alto, dove dalle finestre si vedeva bene tutto il campo, e così iniziai a cercare delle scale. Mi inoltrai verso alcuni corridoi bianchi con tanti quadri appesi alle pareti con foto di giocatori e successi vari, alla fine trovai un paio di scale e salii su. Sembrava non esserci nessuno, anche se in fondo quel giorno c'era solo la conferenza stampa, il campionato iniziava ad aprile. Non appena arrivai in cima però fui fermata da una donna più alta di me, poco più 5 cm. Visivamente era molto più forte di me, il suo corpo era più robusto ma aveva semplicemente dei muscoli più sviluppati dei miei. Lei sicuramente frequentava la palestra con più assiduità di me, io ci andavo solo per migliorare la resistenza. Il suo viso aveva dei lineamenti ugualmente forti, la mascella squadrata, gli occhi decisamente scuri e una folta chioma di capelli neri raccolti in una coda. Era ugualmente una bella donna, pur essendo minacciosamente pericolosa.
«L'intervista è finita, Regina non ha più tempo, se vuole può prendere un appuntamento.» mi disse la donna in tono piuttosto calmo, ma io non abbassai ugualmente la guardia.
«In verità io non sono una giornalista.» ribattei provando a spiegarle cosa ci facessi lì ma non me ne diede il tempo.
«E allora se sei una tifosa dei Red Sox ti consiglio ugualmente di andartene.» continuò con fare lievemente innervosito.
«Devo parlare con Regina, sono una poliziotta.» commentai giocandomi la carta del detective, ma ovviamente avevo dimenticato un particolare.
«Ah sì? E dov'è il distintivo?» mi chiese in tono ironico.
«Beh non sono qui in veste ufficiale.» le spiegai con fare imbarazzato.
«E io non sono qui per farti passare, torna domani con il distintivo.» replicò lei facendomi segno di andare via.
Stavo quasi per rinunciare, poi però da una porta uscì Regina con ancora il suo completo scuro e subito mi vide.
«Che succede qui?» chiese fermandosi accanto a quella donna.
«Lei dice di essere una poliziotta e che vuole parlarti, ma io non mi fido.» le spiegò la donna con un tono nervoso.
«Nemmeno io mi fido.» ribatté Regina guardandomi con fare sospetto facendo credere anche all'altra donna che fossi sul serio una persona pericolosa.
«Oh andiamo Regina, mi conosci... Cioè sai chi sono, io con te mi sono comportata normalmente, non ho finto di essere qualcun altro.» le dissi facendole capire che intuii almeno una delle sue bugie.
«Io sono esattamente così, come mi vedi, come mi hai vista la settimana scorsa. Non mento sul mio essere fantastica!» ribatté lei con quel tono beffardo che la contraddistingueva.
«Menti su tanto altro però... Come quel labbro spaccato.» commentai facendole subito cambiare espressione.
«Cosa vuoi?» mi chiese smettendo di sorridere.
«Voglio parlarti un attimo, ti ruberò solo due minuti.» risposi io velocemente.
«Va bene, vieni, ma sbrighiamoci.» disse facendomi segno di seguirla proprio dove poco prima uscì lei.
Io passai accanto all'altra donna, oltrepassai la porta che Regina mi teneva aperta, poco dopo mi inoltrai all'interno della stanza e attesi che lei facesse lo stesso.
«Allora, vuoi dirmi che cosa vuoi? Sei venuta a gongolare perché finalmente hai scoperto di cosa mi occupo?» mi chiese in tono stranamente tranquillo entrando dentro e chiudendo la porta dietro di sé.
Quando le parlavo sul sito sembrava un'altra persona, sempre sulla difensiva, in quel momento era strana.
«No, sinceramente nemmeno immaginavo avessi un progetto tanto importante in mente.» ribattei avvicinandomi ad una scrivania che era in mezzo alla stanza poco lontano dalle ampie finestre che davano sul campo.
«Io penso in grande, miss Swan. Ma continuo a non capire perché sei qui.» replicò lei in tono provocatorio facendo dei passi lenti verso di me.
«Il tuo labbro...» le dissi semplicemente. «Chi te lo ha spaccato?»
«Una donna che sapeva esattamente come si baciasse.» continuò lei con quel sorrisetto beffardo.
«Ancora con questa storia? Guarda che non sono qui per darti una conferma di nulla, voglio solo delle risposte.» ribattei in tono nervoso.
«Allora inizia a fare le domande giuste.» commentò allungando una mano verso il mio viso e portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro, continuava a provocarmi purtroppo.
«Domenica sera c'è stata un'aggressione di fronte casa mia, la vittima eri tu?» domandai con fare titubante, più per la sua mano sul mio viso che per ciò che le chiesi.
«Vittima? Mi vedi a piagniucolare in un angolo? Mi hai vista per caso correre piangendo dalla mammina?» replicò lei togliendo quella mano dal mio viso e prendendomi palesemente in giro.
«Perché sei così sarcastica? Perché non puoi dirmi la verità senza troppi giri di parole?» continuai io nervosamente, stufa di tutte quelle storie.
«Perché una come te non regge la verità, sei stata diffidente nei miei confronti fin dall'inizio, quindi non mi crederesti.» ribatté lei ancora con un leggero tono ironico.
«Mettimi alla prova.» replicai facendo un passo verso di lei e tenendo lo sguardo fermo sui suoi occhi.
Lei sorrise come suo solito, eravamo entrambe diffidenti, lei non credeva che io potessi credere alle sue parole se solo me le avesse esposte, e in un certo senso aveva ragione.
«È stata colpa della tua ragazza.» mi disse con un tono piuttosto serio ma quel sorrisetto che aveva sul viso non mi convinceva, mi stava prendendo in giro.
«Non è vero, stai continuando a prenderti gioco di me. Lei non ha mai alzato le mani su nessuno.» ribattei con un nodo alla gola, provai a non crederle ma in fondo Grace mi aveva già mentito su quell'aggressione.
«Certo, perché le fa alzare ad altri al posto suo.» commentò lei con quel sorriso che divenne più nervoso. «Non ho detto che sia stata lei in prima persona a farlo, ho solo detto è stata colpa sua. Ha mandato un uomo al posto suo, anzi ne ha mandati ben tre.»
«N-non è possibile...» borbottai debolmente.
«Continui a non credermi?» domandò lei togliendosi completamente quel sorrisetto dal viso.
«N-no, non ti credo, tu menti.» continuai con fare titubante.
«Perché dovrei farlo? Credi sul serio che possa fregarmi qualcosa della vostra relazione? Non era appagante prima e non lo è nemmeno adesso, stai con una bugiarda e nemmeno te ne rendi conto.» ribatté alzando di più il volume del suo tono nervoso.
«Non è vero.» ripetei io negando l'evidenza dei fatti.
«Ho visto delle persone con tuo figlio, non so chi fossero ma so che l'uomo mi ha vista in faccia. Sa che avevo il labbro spaccato, non il sopracciglio, come purtroppo ha avuto la tua ragazza.» replicò lei in tono duro.
«Quindi sei stata tu a colpirla?» le chiesi lentamente.
«Ti riesce così facile credere che abbia aggredito io la tua ragazza piuttosto che il contrario?» domandò lei con un tono più calmo, ma piuttosto deluso.
«Beh... Se conosci la mia ragazza sai com'è, sai che non è molto alta né molto forte, per quanto ne so tu avresti potuto mandare la tua guardia del corpo a spaccarle la faccia.» contestai con un tono titubante.
«Stai parlando di Joy?» domandò con fare lievemente divertito. «Lei non è la mia guardia del corpo, lei è una mia buona amica. Si allena spesso in palestra, partecipa a gare di MMA, non alzerebbe mai un dito verso qualcuno che non è minimamente al suo livello. Se lei l'avesse anche solo sfiorata le avrebbe fatto molto più male.»
«Ok, ma io continuo a non riuscire a pensare a Grace che manda avanti qualcuno, poi perché mai avrebbe dovuto farlo? Nemmeno ti conosce.» continuai io tentando di far combaciare i pezzi di tutto ciò che sapevo.
«Non ha bisogno di sapere come mi chiamo, le è bastato vedere la propria ragazza che mi baciava.» ribatté lei con un sorriso nervoso. «Si è avvicinata a me dicendomi che dovevo starti lontano, che tu sei sua e tante cazzate simili...»
«E per questo l'hai colpita?» le chiesi in tono titubante.
«Continui a preoccuparti per lei? Ma si può essere più patetici di così? Cazzo, Swan, lei non era sola, era con 3 uomini più grossi di me e anche più grossi di Joy, anche se lei di sicuro gli avrebbe fatto il culo. Peccato che non ci fosse...» disse in tono nervoso. «Quegli uomini mi avevano circondata, avevo la moto davanti e loro alle spalle. Non potevo scappare. Un tizio mi ha poggiata una mano sulla spalla sinistra, io mi sono girata di scatto e ho colpito questa deficente che mi stava attaccata al culo.» continuò mettendosi faccia a faccia con me.
«Non chiamarla così, smettila.» contestai col suo stesso tono ma col volume decisamente più basso.
«Sei nel mio ufficio, nel mio stadio, io dico quello che mi pare di chi mi pare. Se non ti sta bene, o ti brucia la verità, allora vattene. Sai dov'è la porta, mi perdonerai se non spreco il tappeto rosso per te.» continuò lei abbassando leggermente il volume ma essendo ugualmente nervosa.
Mi fece segno verso la porta rossa, quella da cui entrai e fece un passo verso sinistra per farmi passare. Io non volevo andare via, andai lì solo per chiederle spiegazioni, ma sentivo che c'era una certa tensione e così mi avviai verso la porta, lontano da lei. Non appena la raggiunsi però mi fermai. I dubbi mi pervasero la mente ma io le credevo, non immaginavo che Grace potesse fare una cosa simile ma quella era una cosa di cui avrei dovuto discutere con lei. Henry mi parlò di una moto, Grace odiava da sempre le due ruote, nemmeno in bicicletta sapeva andare, e mio padre parlò di un labbro spaccato, che era decisamente lontano da un sopracciglio. Parlando con lei mi sentii una stupida a contraddirla, sapevo che aveva ragione da prima che sentissi la sua versione, solo che non volevo crederci. Lentamente mi voltai indietro, Regina non era più vicino alla sua scrivania, era vicino ad una delle ampie finestre che davano sul campo. Mi dava le spalle, forse pensava che me ne fossi andata ma i sensi di colpa mi costrinsero a restare lì.
«Ti ha sul serio fatto colpire da degli uomini?» le chiesi facendo alcuni passi verso la sala ma fermandomi a pochi passi da lei che sorrise divertita, probabilmente perché continuavo a farle stupide domande.
«Sai che c'è? Non mi importa se mi credi oppure no.» rispose lei voltandosi verso di me con fare ancora particolarmente nervoso. «L'unica cosa che voglio è che mia figlia sia tranquilla, che non debba preoccuparsi per me o per la propria incolumità. Quando mi ha visto col labbro spaccato, con le mani sporche di sangue, si è spaventata molto. Non è voluta andare a scuola per tutta la settimana, non mi ha lasciato un attimo, voleva sapermi al sicuro.» mi spiegò lei con quel tono nervoso e gli occhi parzialmente lucidi. «Lei adora il calcio, e a causa di questa cosa ha saltato anche due allenamenti, io non volevo che si facesse frenare per colpa mia e così l'ho costretta ad andarci dicendole che avrei fatto molta attenzione con chi avrei parlato oggi. Ma mi ritrovo a parlare con te, con l'artefice di tutti i miei guai, quindi forse non ho mantenuto bene la mia promessa.»
«Ero venuta qui con l'intenzione di chiederti scusa, di dirti che mi dispiace per tutto. È stata colpa mia se è successo tutto questo. Non immaginavo che Grace potesse arrivare a tanto, insomma nell'ultimo periodo non sembrava importarle nemmeno di me.» le dissi con un sorriso nervoso.
«A quanto pare credi di sapere tutto e invece non sai nulla.» ribatté lei con un tono ironico.
«Già... Beh scusami, adesso tolgo davvero il disturbo...» continuai piuttosto imbarazzata.
Probabilmente esagerai, dovevo lasciarla in pace. Lentamente mi voltai e mi avviai verso la porta, ma non appena ci arrivai vicino sentii Regina prendermi la mano e fermarmi. Subito mi voltai verso di lei e all'improvviso mi trovai in mezzo tra lei e la porta.
«Non è stata colpa tua, non puoi controllare anche le azioni degli altri.» mi disse in tono particolarmente calmo.
«Infatti avrei dovuto controllare le mie, non sarei dovuta uscire con te, non avrei dovuto mettere in mezzo un'altra persona nella mia relazione con Grace.» ribattei abbassando più volte il mio sguardo su quel segno sul suo labbro e sentendomi dannatamente in colpa.
«Non hai messo nessuna persona in mezzo, sei solo uscita di casa con una donna, ti sei divertita e basta. Non hai provato altro, solo tanta serenità, niente a che vedere con l'amore che provi per la tua ragazza...» replicò lei in tono lento e piuttosto profondo.
«Stai provando a convincere me o te?» le chiesi io con fare lievemente ironico, ma lei non mi rispose.
*********
Regina in effetti tentò di convincere più sé stessa che Emma che non avesse provato altro, quella sera. Non amava Emma, non ne era cotta, non aveva nessuna stupida infatuazione. Quelle cose si ripeteva da giorni, ma dicendole ad alta voce, davanti a lei, le sembravano ancora più false. Entrambe si guardarono negli occhi, entrambe erano imbarazzate, Regina voleva solo baciarla e farle smettere di scusarsi inutilmente. Quando tornò a casa dopo l'aggressione, quando vide il messaggio di Emma, si sentì bene nonostante il labbro spaccato, ma quella sensazione scomparve all'istante quando si accorse di essere tanto vulnerabile a causa sua. La trattò male, Regina lo sapeva, si odiava per ogni frase inviata, ogni parola scritta, ma lei non voleva sentirsi vulnerabile. Si sentì in quel modo solo una volta, aveva 30 anni eppure si sentì in quello stesso modo solo un'altra volta, con Daniel. Dopo di lui si tenne alla larga dall'amore, quello per un'altra persona che non fosse un parente o un amico. Lei aveva una sorella, un'amica, ma il suo amore più grande in quel momento era Kate, sua figlia. Emma provava lo stesso per Henry, un amore incondizionato per il proprio figlio, ma entrambe ignoravano ciò che una provasse per l'altra, entrambe ci scherzavano su, entrambe si desideravano molto ma ammetterlo era doloroso.
*********
«Non sto provando a convincere nessuno, dico solo la verità.» ribatté lei poco dopo con fare altezzoso.
Io le sorrisi ma non le dissi nulla, ero in una posizione fin troppo scomoda, in tutti i sensi.
«Ti sei preoccupata per me? Per questo mi hai chiesto come stessi un'ora dopo il nostro saluto?» domandò poi cambiando discorso ma restando sempre di fronte a me.
«Beh sì... Anche mio figlio era piuttosto sconvolto, avrebbe voluto aiutarti.» le dissi in tono titubante.
«Per fortuna non glielo hanno permesso, si sarebbe fatto solo male.» ribatté Regina in tono particolarmente dolce.
«Già... E tu come stai? Ti fa ancora male?» le chiesi portandole una mano sul viso, sfiorando delicatamente le sue labbra.
Quel segnetto sul labbro inferiore lo sentii sotto il mio pollice, contro la mia pelle, probabilmente il giorno dopo l'aggressione si gonfio parecchio. Ne vidi tanti di labbri spaccati, lividi e quant'altro durante gli anni che passai come semplice agente. La maggior parte di quelli però erano cause di violenze domestiche, lei si scontrò con quei tizi a causa mia e proprio per quello sentivo di dover fare qualcosa, il minimo era trovare quegli uomini e sbatterli in cella. I nostri sguardi erano persi gli uni negli altri, il mio cuore non voleva saperne di rallentare i suoi dannati battiti, e il suo sorriso mi fece ancora di più perdere in lei. Lentamente portò il suo viso sempre più vicino al mio e senza troppe moine mi baciò. Il suo gesto voleva dire tante cose, voleva dire che non le faceva così male, voleva mostrarmi come si baciasse sul serio qualcuno e probabilmente voleva anche dire che aveva capito che aveva un certo potere su di me. Le sue mani scesero lentamente sui miei fianchi, con forza mi strinse contro il suo corpo e mi tenne ferma lì continuando a baciarmi con foga. Mi piaceva baciarla, mi piaceva starle tanto vicino, ma dopo un po' dovemmo staccarci. Saremmo potute andare avanti per ore se non fosse stato per qualcuno che bussò proprio in quel momento. Regina si staccò quasi subito dalle mie labbra, portò una mano contro la porta e disse a chi era fuori di aspettare un attimo.
«Mi sa che la tua permanenza qui è terminata...» commentò lei in tono piuttosto basso e provocante.
Io mi morsi leggermente le labbra, volevo ancora sentire le sue contro le mie, ma lentamente il mio sguardo scese dal suo fantastico collo e cadde sulla sua camicetta. Era leggermente sgualcita e aveva forse un bottone di troppo aperto che in un primo momento non notai, probabilmente la tenne ben ferma, ma dopo quel bacio appassionato un lato della sua camicetta si allargò e mi rese più facile guardare il suo bel seno. Era perfetto, come ogni parte di lei, ma quel bacio tra di noi, quel suo provocarmi anche in modo involontario, non fece altro che aumentare il desiderio di avere di più di quel semplice flirt. Probabilmente rimasi a guardare il suo seno per troppi secondi, poiché alla fine se ne accorse e si coprì.
«Magari la prossima volta.» continuò lei con fare divertito portando due dita sotto al mio mento e alzando il mio sguardo verso il suo viso.
Lentamente fece dei passi indietro, tenendo una mia mano e facendo allontanare anche me dalla porta. Fece salire poi quella mano sul mio viso e tornò a baciarmi, ma si staccò molto prima del bacio precedente.
«Non ti ci abituare.» disse con fare decisamente ironico. «Avanti...» aggiunse in tono più alto verso chiunque fosse fuori da lì.
La porta lentamente si aprì e noi facemmo entrambe un passo indietro, perlomeno per non destare qualsiasi tipo di sospetto. All'interno di quella stanza corse subito una piccola bambina, alta poco più di Henry. Aveva i capelli lunghi, castani, e gli occhi azzurri. Nessun lineamento sembrava somigliare a quello di Regina ma la bambina le corse comunque in contro chiamandola "mamma". Dietro di lei, poco dopo, entrò un'altra donna. Questa aveva i capelli lunghi, mossi e rossi, molto più alta di me e con un corpo formoso. Anche lei come Regina era vestita piuttosto elegante, anche se a differenza sua lei indossava una gonna.
«Oh salve...» mi salutò la donna. «Lei è una giornalista?»
«N-no, sono una poliziotta.» dissi in tono leggermente imbarazzato.
«E il distintivo?» continuò come la donna prima di lei.
Ma tutti fissati con la mia professione e il mio distintivo?
«Non sono qui in veste ufficiale, avevo solo bisogno di parlare con Regina. Ma adesso vado via.» risposi passando alle spalle di quella donna e voltandomi per salutare poi anche Regina, ma lei era impegnata con la bambina.
«Piccola, com'è andato l'allenamento?» le chiese prendendola in braccio.
«Benissimo, ho fatto 3 goal!» rispose la piccola in tono piuttosto felice. «Tu come stai?»
«Benissimo, anche io ho fatto qualche goal...» ribatté Regina con fare ironico alzando il suo sguardo su di me.
«Sì, beh... Io allora vado...» biascicai facendo un passo indietro.
«Tu sei un'amica della mia mamma?» mi chiese la piccola.
«Ehm... Sì, cioè, siamo amiche?» ribattei con fare titubante e poi lievemente sarcastico alzando il mio sguardo verso Regina che mi mimò un sorridente no, tanto sua figlia non la guardava.
«Non esattamente.» disse quest'ultima non appena la piccola alzò il suo sguardo verso la madre.
«Ci vediamo allora...» continuai io voltandomi subito dopo e uscendo ancor prima che chiunque mi rispondesse.
Ok, probabilmente la mia mossa sembrò quasi una fuga ma quella stanza era diventata fin troppo affollata e io dovevo ancora parlare con Grace, aveva fin troppe cose da spiegarmi.

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