Capitolo 3 - La festa.

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Uscii quasi subito da quel palazzetto e dopo esser rientrata in macchina mi avviai verso casa. Grace mi aveva beatamente mentito, mi aveva detto che era stata aggredita e invece in un certo senso l'aggressore fu lei. Io ero furiosa, durante quella settimana mi riempì la testa di stupidaggini, mi disse che aveva trovato un piccolo appartamento a Roxbury, un quartiere di Boston tra Brookline e Dorchester. Sembrava sinceramente felice di trasferirsi lì, di stare più vicina a me. Io le credetti perché in effetti volevo farlo, volevo credere che fosse sincera, che fosse davvero cambiata, ma Jane aveva ragione su tutto quanto. Non appena arrivai sotto casa mia uscii dall'auto e per un attimo mi fermai a guardare verso il Wichit. Davanti a quel locale baciai Regina e fu proprio lì che Grace le fece del male. All'improvviso vidi una piccola telecamera legata ad un lampione, poco sopra il fiocco rosso, non ricordavo che lì ci fossero delle telecamere ma mi avviai subito verso quel locale per chiedere informazioni. Non appena entrai fui subito accolta calorosamente da Patrick, il proprietario del locale. Era un uomo piuttosto alto e magro, con gli occhi e i cappelli scuri, ci provò spesso con me ma non mi colpì particolarmente e non accettai mai un suo invito a cena, non volevo illuderlo e lui non sembrava volesse un'uscita in amicizia. Era gentile, anche molto simpatico, ma fisicamente non mi attirava, era alto circa un metro e ottanta, ed era un ex giocatore di basket.
«Ehi Patrick, senti, mi servirebbe un favore.» gli dissi avvicinandomi lentamente alla porta oltre i tavolini, che sapevo essere il suo ufficio.
«Qualsiasi cosa per te.» rispose lui con un velato tono smielato.
«Sì, ecco... La telecamera appesa lì fuori è vostra?» gli chiesi facendogli segno verso l'ampia finestra del locale.
Ovviamente da lì non si vedeva molto bene quella telecamera, chi non sapeva che ci fosse non ci avrebbe prestato nemmeno molta attenzione, ma lui annuì quasi subito.
«Sì, l'abbiamo installata due settimane fa. Ci sono stati vari furti in zona e dovevamo pur tutelarci in qualche modo.» mi spiegò lui con un piccolo sorriso sul viso.
«Quindi hai tutte le registrazioni della settimana scorsa?» continuai io velocemente.
Lui non rispose subito, prese una chiave dalla tasca anteriore dei suoi jeans e aprì la porta del suo ufficio, entrò dentro e mi fece segno di seguirlo. Non appena entrai, lui chiuse la porta. La stanza era piuttosto piccola, quadrata, con vari scaffali pieni di carte e dischetti contrassegnati con una data specifica. Su un lato c'era una scrivania con un computer fisso, uno che non vedevo ormai da tempo.
«Cavolo, come fai a stare rinchiuso in questa stanza? Io mi sentirei morire, non c'è nemmeno una finestra...» commentai io in tono titubante guardandomi attorno e provando a non farmi prendere dal panico, non amavo i posti particolarmente angusti.
«Non ci passo molto tempo qui, di solito lo faccio la sera dopo aver chiuso il locale. Qui faccio tutti i miei conti, l'inventario e quant'altro, ma faccio tutto quanto con la porta aperta. Se vuoi la apro.» mi spiegò lui portando velocemente una mano sulla maniglia della porta.
«No no, tranquillo.» ribattei io lentamente.
«Beh ti serve un giorno in particolare?» mi chiese avvicinandosi ad un alto e stretto mobile su cui aveva un paio di scatole con dentro pochi dischi.
«Sì, domenica scorsa, il 9 dicembre.» dissi. «Hai ogni registrazione segnata per giorno?»
«Sì, ogni registrazione la salvo su una memoria esterna prima di copiarla su un dvd. Non si sa mai che qualcuno della polizia venga a chiederci una copia.» mi spiegò lui con un tono ironico.
Conosceva bene il mio lavoro, sapeva che ero una poliziotta e per quel motivo non mi fece troppe domande.
«Eccolo qui...» disse voltandosi lentamente verso di me con un dischetto tenuto in una piccola custodia di plastica. «Ti serve per un caso?» mi chiese con fare sospetto.
«Non esattamente, domenica scorsa è stata aggredita una donna qui di fronte, tu non hai visto niente?» gli chiesi in tono lento.
«Oh sì, ma non è durata molto, la donna è subito venuta nel locale per ripararsi, aveva una brutta ferita al sopracciglio e un lieve rossore sotto l'occhio.» commentò lui facendomi capire che stava parlando di Grace. «È morto qualcuno?»
«No, non è morto nessuno.» risposi io provando a capire dove volesse andare a parare, ma dopo poco divenne ovvio.
«Allora questo filmato non ti serve... Insomma, tu lavori per la omicidi. Niente morto, niente caso, giusto?» mi chiese con fare beffardo tirando indietro la mano con cui teneva il dvd.
«Che cosa vuoi Patrick?» gli chiesi in tono parzialmente seccato, ero certa che volesse qualcosa.
«Niente...» rispose lui con fare poco convinto.
«Allora perché non...» continuai io ma lui mi interruppe.
«Solo una cena, una soltanto, non voglio chiederti di sposarmi o che altro, voglio solo uscire una volta con te.» mi disse col viso leggermente rosso.
«Patrick, io ho una ragazza...» provai a spiegargli cautamente.
«Ancora meglio!» rispose lui spiazzandomi letteralmente.
«In che senso?» gli chiesi con fare imbarazzato.
«Nel senso che non voglio nulla, solo godere della tua compagnia per una sera.» mi spiegò lui ma sapevo che sotto c'era qualcosa di più.
Dopo esser stata presa in giro anche da Grace dovevo stare ancora più attenta a chi facevo entrare nella mia vita, ma avevo bisogno di quel filmato e non potevo aspettare che arrivassero altri poliziotti, magari questi ultimi mi avrebbero tenuta all'oscuro di tutto e io avevo bisogno di sapere le dinamiche dell'aggressione.
«Va bene, Patrick...» commentai io in tono rassegnato.
«Davvero?» mi chiese in tono piuttosto sorpreso, in fondo rifiutai le sue avance per più di un anno.
«Sì, davvero.» risposi io in tono più convinto.
«Fantastico!» esclamò lui. «Ti va bene domani sera?»
«Certo...» continuai lentamente.
«Ok, meraviglioso, passo a prenderti alle 8, va bene?» mi disse in tono quasi euforico.
«Sì, è perfetto.» ribattei facendogli un piccolo sorriso.
Lui sembrava davvero felice di uscire con me, in un attimo divenne raggiante e senza nessuna esitazione mi porse quel dvd. Io lo ringraziai e lentamente uscii da lì, era ovvio che fossi andata lì solo per quello, era ovvio che non volessi altro, ma non ero certa che lui lo avesse capito. Non appena tornai a casa trovai quei 3 tutti seduti sul divano, Henry era sdraiato all'angolo stando forse più comodo di tutti, Jane aveva la testa di Maura poggiata sulla sua spalla e teneva un braccio disteso sulla spalliera del divano proprio dietro la donna che diceva di non amare.
«Se non sapessi che siete solo amiche vi avrei già scambiato per una bella coppietta...» commentai non appena entrai in casa.
Jane ovviamente tolse subito quel braccio dalle spalle di Maura, quest'ultima invece alzò la sua testa in modo più lento. I gesti di Maura erano fatti con più ingenuità, con una certa dose di innocenza e spontaneità, Jane invece si sentiva più in imbarazzo proprio perché nonostante negasse tutto sapeva che non ci credevo. Era ovvio che tra quelle due ci fosse qualcosa, ma non sapevo se Maura provasse lo stesso.
«Davvero?» mi chiese quest'ultima con un tono particolarmente sorpreso.
«Oh certo, eravate così carine l'una vicino all'altra.» risposi io chiudendo la porta alle mie spalle e sorridendole, ma Jane mi lanciò un cuscino contro.
«Ma piantala!» disse in tono piuttosto nervoso non appena presi quel cuscino al volo.
«Perché fai così? Non pensi che potremmo essere una bella coppia?» le chiese Maura con fare quasi offeso.
«Ma di che diavolo stai parlando?» ribatté Jane in tono confuso e alquanto imbarazzato.
«Sì, insomma, caratterialmente ci compensiamo. Poi anche la tua forza bruta...» provò a spiegarle Maura, ma Jane la interruppe.
«La mia forza bruta?» le chiese Jane con fare innervosito.
«Sì, nel senso che...» continuò Maura ma Jane la interruppe di nuovo.
«Nel senso che io sono una scaricatrice di porto mentre tu sei una dolce fanciulla indifesa?» chiese Jane alzandosi nervosamente in piedi.
«No, non volevo dire questo. Volevo solo dire che sei più forte di me, che anche fisicamente ci compensiamo. Saremmo una bella coppia se non fossimo attratte dall'altro sesso.» le spiegò Maura con un ampio sorriso sul viso.
«Già...» concordò Jane con meno entusiasmo di Maura. «Cambiando discorso... Hai chiesto a quella donna di sposarti?» domandò Jane voltandosi verso di me.
«No, ma sono passata dal Wichit e mi sono fatta dare la registrazione di domenica.» le spiegai mostrandole quel dvd che avevo tra le mani.
Subito dopo lasciai quel disco sul bancone e andai a prendere il portatile in camera da letto. Quando tornai in salotto finalmente cenammo, ma nel mentre controllai anche quel filmato, volevo parlare con Grace il prima possibile ma volevo avere ben chiaro cosa successe. Immaginavo che avere Jane e Maura lì fosse d'aiuto, magari per capire cosa dicessero le persone nel filmato non essendoci l'audio, ma fu qualcosa che mi remò contro. Sul filmato c'era scritto la data e l'ora, la telecamera inquadrava parte dei tavolini del locale, il marciapiede lì vicino e appena una corsia di Newbury Street. Non sapevo bene su quale minuto far partire la visione ma lo feci andare ad una velocità sostenuta, saltando varie parti e, quando nell'inquadratura entrai io, Jane si allungò sul portatile e lo fece andare ad una velocità normale.
«Questo è il punto in cui aspetti la donna misteriosa?» mi chiese Jane con fare provocatorio.
«Sì, ma non c'è nulla di interessante...» le spiegai io accelerando di nuovo quel video ma il tutto non servì e quando Regina arrivò con la moto, Jane volle vedere tranquillamente quelle scene.
«Questa è invasione della privacy.» contestai io nervosamente.
«Sto solo guardando le mosse della vittima, chi mi dice che non l'abbia pestata tu?» ribatté Jane con fare provocatorio.
«Pff, mangia che è meglio.» le dissi voltandomi verso lo schermo del computer e rivedendo la bellezza di Regina come se fosse la prima volta.
Non ero un'amante sfegatata delle moto, o dei modelli che si facevano fotografare vicino ad una di quelle a prescindere da quanto fossero vestiti, lei però mi fece perdere la testa togliendosi semplicemente il casco. Mi colpirono sin da subito i suoi occhi, il suo modo beffardo di guardarmi e per l'appunto il suo sorriso. Aveva una bellezza genuina, non aveva bisogno di troppo trucco o di un abito alla moda per fare colpo, bastava il suo sguardo.
«Mamma, ma quindi tu conoscevi già quella donna?» mi chiese Henry che volle guardare anche lui quel video.
«Non esattamente, l'ho vista per la prima volta in quel momento.» gli spiegai in tono titubante.
«Quello si era capito.» ribatté Jane con fare ironico.
«Dovresti pensare ad altro tu.» contestai io facendo andare avanti il video di almeno un paio d'ore, ma fu sempre Jane a normalizzare la velocità quando notò che tornammo nell'inquadratura.
«Non succede nulla di interessante in questi minuti.» dissi io provando a far andare avanti il video ma erano in tre contro uno.
Videro tutto, il modo di Regina di avvicinarsi a me per abbottonarmi il cappotto e il bacio che le diedi fregandomene di Grace, fu quel bacio a far esultare Jane ed Henry. In fondo a entrambi non piaceva Grace e a entrambi era simpatica Regina, più a Jane che ad Henry, per ovvi motivi.
«Siii, adesso Grace andrà via ed entrerà in campo Regina!» commentò Jane battendo il cinque ad Henry.
«Calmatevi voi due, nessuno esce e nessuno entra. Devo ancora parlare con Grace e probabilmente non vedrò più Regina.» ribattei provando a calmare la loro insensata eccitazione.
«Lo hai pensato anche dopo averle dato quel bacio, vero?» domandò Jane capendo che in un certo senso mi pentii di quel bacio, perlomeno prima di sapere delle bugie di Grace. «Emma, tu devi trovare qualcuno di stabile, perlomeno mentalmente. Grace non lo è, non conosco Regina ma so che è finanziariamente stabile quindi fatti avanti!» mi disse lei che ormai puntava solo ad avere i biglietti per le partite dei Red Sox.
«Non farò nulla...» continuai io nervosamente.
«Ragazze, guardate!» ci disse Maura facendoci segno verso lo schermo.
Poco istanti dopo, probabilmente quando io entrai nel mio palazzo, Grace si avvicinò alle spalle di Regina con tre uomini alti e robusti. Uscirono velocemente dal locale, lei disse qualcosa a loro e subito l'accerchiarono. Tutti e quattro si misero alle spalle di Regina, che come mi disse fu praticamente circondata avendo davanti la propria moto. Vidi Grace parlare con una certa agitazione verso Regina, quest'ultima si guardò le spalle per poco, forse solo per capire in quanti fossero. Grace non si vedeva molto, lei era più bassa di quegli uomini e si nascose quasi dietro uno di loro. All'improvviso però Regina si girò di scatto, teneva il casco in una mano e l'uomo più vicino a Grace si spostò facendo scontrare proprio lei con quel casco. L'espressione di Regina la capii subito, era sorpresa, fu sorpresa di trovarsi davanti colei che le parlò per quei pochi istanti piuttosto che uno dei tre uomini che quasi le tenevano il fiato sul collo. Grace si tenne una mano sulla parte del viso colpita, si allontanò di qualche passo e urlò indicando Regina. In quel momento parlò con gli uomini che si portò dietro poiché uno di loro si voltò verso di lei e le rispose con un espressione quasi confusa.
«Ma solo io odio le registrazioni senza audio? Che senso hanno?» domandò Jane nervosamente, ma la sua domanda era retorica, tutti lì avremmo voluto sentire cosa dissero.
Alla fine Grace sembrò avere la meglio, perlomeno a parole con quell'uomo, e velocemente corse dentro il Wichit.
«In quel momento siamo arrivati noi.» disse Henry, e in effetti un'auto proprio in quel momento passò accanto alla moto di Regina.
L'uomo che parlò con Grace si voltò in quel momento verso di lei, le disse qualcosa gesticolando anche un po' e con non so quale nonchalance le tirò uno schiaffo sul viso. Io sussultai, mi portai anche una mano davanti alla bocca ma quel minuscolo suono che uscì dalla mia gola lo sentirono tutti. Trovarmi davanti le scene di ciò che realmente accadde mi fece sentire particolarmente male, mi sentii ancora più in colpa per aver creduto a Grace e non a Regina, nonostante in quel momento sapessi già come fossero andate le cose. Saperle e vederle però erano due cose diverse. Gli altri due uomini provarono a continuare il lavoro del loro amico ma Regina, come disse Henry, si difese bene. Quello schiaffo fu l'unico che ricevette, forse non si aspettava di essere colpita, ma riuscì a schivare le altre loro mosse e a colpire il tizio centrale con un gancio destro nello stomaco. In quel momento arrivò mio padre, ma lui non fece molto poiché quei tre scapparono subito via. Mio padre provò ad aiutare Regina a togliersi quel sangue con un fazzoletto, ma lei lo allontanò quasi subito. Poi si mise il casco sulla testa, arrivò Henry e lei partì.
«Dobbiamo trovare quegli stronzi...» commentai io alzandomi nervosamente in piedi e facendo avanti e indietro per la stanza.
«Potremmo scansionare i volti di questi tizi e vedere se sono nel database alla centrale.» propose Jane con più calma di me.
«Sì, dobbiamo farlo!» ribattei io con fare nervoso. «Tu cosa stai facendo?» chiesi a Maura poiché la vidi cliccare varie volte su quel portatile, e lentamente tornai al mio posto.
«Cerco di capire una cosa...» rispose lei in tono assorto senza distogliere lo sguardo da quel filmato che andava all'indietro. «Ecco, guardate!» disse mettendo in pausa il video e facendoci segno verso l'entrata del locale dove c'erano alcuni tavolini all'aperto.
La scena, in quel momento, era quella di quando Grace urlò qualcosa a quegli uomini, poco dopo il colpo ricevuto da Regina. Nel punto indicato da Maura si vide una persona, un ragazzo sulla ventina, con la divisa del Wichit addosso. Stava pulendo un tavolino ma con lo sguardo era rivolto verso quella scena. Non appena Maura fece ripartire il video si vide il ragazzo entrare nel locale, probabilmente spaventato, e poco dopo ci entrò anche Grace.
«Qualcuno ha assistito a tutto, quel ragazzo può dirci cosa ha detto di preciso Grace.» commentai io prendendo il cellulare e cercando il numero del locale di Patrick.
«Sei un genio Maura!» esclamò Jane
«Lo so!» ribatté l'altra con quella che sembrava tutt'altro che modestia.
Io chiamai subito Patrick, gli chiesi se fosse ancora al locale ed eventualmente se potesse passare da casa mia, lui mi disse che sarebbe arrivato subito e in poco più di due minuti era già davanti alla porta del mio appartamento. Probabilmente si aspettava qualcos'altro poiché quando vide Henry, Jane e Maura rimase piuttosto spiazzato.
«Salve signor Wallis.» lo salutò Henry non appena lui entrò in casa.
«Oh ciao Henry, tutto bene?» domandò lui cordialmente ma io avevo bisogno di risposte e non avevo il tempo di aspettare le buone maniere.
Subito gli chiesi se conoscesse quel ragazzo e se lavorasse per lui.
«Sì, è nuovo, si chiama Louis Donovan, ha 22 anni.» rispose lui non appena lo vide.
«Beh potresti chiamarlo un attimo e chiedergli se si ricorda cos'ha detto quella donna?» continuai io velocemente.
«Certo, devo avere il suo numero salvato sul cellulare...» commentò Patrick prendendo il telefono da una tasca della giacca e cercando poi quel numero di telefono.
Subito chiamò quel ragazzo, gli parlò per pochi minuti e finalmente scoprimmo perlomeno le parole di Grace.
«Allora, Louis ha detto di essere dispiaciuto per non essere intervenuto, si è spaventato molto, poi quegli uomini erano in 3, molto grossi e lui è gracilino. Spera che la donna stia bene...» mi spiegò Patrick facendomi solo innervosire di più, volevo sapere ciò che disse Grace nient'altro.
«Sì, la donna sta bene, ma l'altra ragazza che cos'ha detto?» gli chiesi con fare visibilmente nervoso.
«Parlava con un uomo, non sa bene cosa si sono detti, ma la ragazza alla fine ha urlato "volete i vostri maledetti soldi? Allora spaccatele la faccia".» mi spiegò Patrick in tono cauto, non sapeva di cosa si trattasse ma anche lui sentiva che quello fosse qualcosa di pesante.
«Va bene, grazie Patrick...» gli dissi io lentamente.
Ero sconvolta dalla cattiveria che dimostrò di avere Grace.
«Ti serve altro?» mi chiese lui lentamente.
«N-no no, grazie.» risposi io tenendo lo sguardo piuttosto basso.
«D'accordo, allora io vado...» commentò lui facendo alcuni passi all'indietro verso la porta. «Vuoi rimandare l'uscita? Cioè se vuoi farlo lo capirei.»
«No, stai tranquillo, è solo un momento, domani mi passa.» gli dissi io sforzandomi di sorridergli.
«Va bene, allora a domani. Buona serata a tutti.» disse aprendo poi la porta e uscendo allegramente dal mio appartamento.
Io presi un respiro profondo, di quel passo avrei preso tutto ciò che avevo davanti e lo avrei lanciato via. Bevvi un lungo sorso d'acqua ma quasi mi strozzai quando, alzando lo sguardo su Jane, la vidi sorridermi in modo malizioso.
«Cos'hai da guardare in quel modo?» le chiesi prendendo un tovagliolo e asciugandomi il mento.
«Un direttore generale di baseball, che può farti avere i biglietti per le partite dei Red Sox, non va bene ma il proprietario di un locale che al massimo può regalarti la colazione ogni mattina va bene?» domandò lei con un sorrisetto confuso.
«Non dobbiamo sposarci, usciamo solo a cena.» le spiegai inutilmente, ormai aveva già in mente tutto un suo film.
«Anche con Regina ci sei uscita a cena, mi spieghi come fai? Vorrei averla io tutta questa attrattività per le persone, sono anni che nessuno mi offre una cena.» ribatté Jane ma Maura rise e la prima si arrabbiò. «Perché ridi?»
«Perché tu le spaventi le persone, Jane. Non lasci avvicinare nessuno.» le spiegò Maura in tono calmo.
«Non sono io che non lascio avvicinare nessuno, non è mica colpa mia se appena vedono il distintivo scappano a gambe levate?» ribatté Jane nervosamente.
«Se non sbaglio hai chiuso buone relazioni con un detective e militare, no?» le chiesi io in tono ironico.
«Ma che c'entra? Quelle erano altre cose...» contestò lei visibilmente imbarazzata.
«Beh se è un invito a cena che ti manca potrei invitarti io, da me.» ribatté Maura.
«Non la voglio la tua pietà.» protestò Jane fin troppo nervosamente.
«Non ti sto offrendo la mia pietà, ti sto offrendo una cena.» continuò Maura con fare decisamente ingenuo.
«È la stessa cosa, vuoi offrirmi una cena solo perché ti faccio pena.» disse l'altra tirandola troppo per le lunghe.
«Perché la fai tanto difficile? Io domani non ho nulla da fare, quindi...» replicò Maura ma mentre lei parlava ingenuamente, Jane trovava da ridire su tutto.
«Oh, quindi mi vuoi da te solo perché ti annoi?» le chiese con un sorriso nervoso.
«Basta, ci rinuncio. Niente più cena, contenta?» disse Maura con un tono stanco, ma Jane cambiò idea.
«No no, dai. Voglio venire a cena da te.» disse facendole gli occhi dolci.
«E va bene, ma se farai un'altra stupida battuta mi rimangio tutto.» continuò Maura ma Jane fece il segno con le dita di chiudersi la bocca.
Io le guardai per un po', erano carine insieme, non capivo come facesse Jane a resistere e non buttarsi. Sapevo che non voleva rovinare la loro amicizia ma di sicuro dentro stava malissimo. Dopo pochi istanti però chiamai Grace, era tardi per farla venire da me o per parlarle di tutto ma volevo anticiparle qualcosa, volevo dirle che dovevamo vederci il giorno dopo e che appunto avevo bisogno di parlarle. Non appena mi rispose la sentii piuttosto allegra, mi chiamò persino "amore", cosa che in quella settimana fece spesso. Io non sentii di voler fare lo stesso, soprattutto in quel momento, la sua gioia mi faceva solo più rabbia. Non appena le dissi che avevo bisogno di parlarle però cambiò tono, si innervosì quasi.
«Se vuoi vedermi per lasciarmi allora non vengo.» protestò lei nonostante non avessi detto che sarebbe stata lei a dover venire da me.
«Preferisci che lo faccia a telefono?» le chiesi in tono lento.
«Quindi sul serio vuoi lasciarmi?» ribatté lei debolmente.
Io le dissi che volevo solo parlarle, che però volevo farlo di persona, volevo guardarla in faccia mentre mi mentiva.
«Domani mattina sarò lì per parlare con la donna che voleva affittarmi l'appartamento a Roxbury, ma credo che a questo punto passerò prima da te.» aggiunse lentamente come se volesse farmi sentire in colpa, ma ormai era difficile che mi sentissi in colpa per lei, insomma mi aveva mentito e non ero nemmeno certa che le bugie si fermassero lì.
Maura e Jane, mentre io parlavo con Grace, controllarono più volte quel filmato. Volevano capire se conoscessero quegli uomini, magari se fossero coinvolti in altri giri, ma trovarono ben altro. Grace e uno di quei 3, quello che si beccò un pugno da Regina, passeggiarono mano nella mano fino ad entrare nel Wichit. Io non sapevo chi fosse il tizio ma lei sapeva che abitavo proprio lì di fronte, magari voleva che la vedessi, che mi ingelosissi o chissà quale altra assurda cosa, ma io mi sentii solo presa di più in giro. Il mattino seguente si presentò a casa mia piuttosto presto, erano le 8 del mattino, io ed Henry stavamo facendo colazione e quando Grace arrivò chiesi a lui di andare in camera sua. Volevo parlarle da sola, o perlomeno senza Henry che ci guardasse, tanto ero sicura che ci avrebbe ascoltato da dietro la porta.
«Dev'essere davvero qualcosa di grosso se hai chiesto al ragazzino di andare via...» commentò lei non appena Henry si avviò verso la sua camera.
«Il "ragazzino" è mio figlio, si chiama Henry, abbi un po' di rispetto almeno per lui.» contestai con fare infastidito.
«Sono nervosa, ok? Mi hai detto che volevi parlarmi, e ogni volta che qualcuno pronuncia quella frase non si prospetta mai nulla di buono.» ribatté lei con fare lievemente nervoso.
Lei mi chiese cosa c'era che non andasse, mi chiese cosa avesse fatto di male, probabilmente intuiva qualcosa, ma io volevo che fosse lei a parlarmene.
«Perché non mi dici tu cos'hai fatto?» le chiesi sperando che almeno in quel momento fosse sincera.
«No, Emma, non usare il tono da detective con me. Se c'è qualcosa che vuoi dirmi allora dilla e basta.» replicò lei con fare nervoso.
«Va bene, volevo che per una volta fossi tu a dirmi cosa c'era che non andasse, magari per una volta saresti stata sincera.» commentai lentamente avvicinandomi al mio portatile.
Subito lo accesi, feci partire il filmato dal momento in cui lei uscì dal locale e accerchiò Regina con quegli uomini, lei era sorpresa, lievemente spaventata ma non così tanto.
«Quindi?» mi chiese con un sorrisetto quasi divertito.
Non capivo se provasse a fare la dura o se sul serio non capisse cosa le stavo chiedendo.
«Quindi? Mi hai mentito, hai detto di esser stata aggredita e invece l'aggressione l'hai innestata tu.» le dissi con fare nervoso.
«Io? È stata quella donna a colpirmi per prima, io le stavo solo parlando.» ribatté Grace provando a giustificarsi.
«Si è sentita minacciata, si è voltata di scatto e si è trovata te davanti.» le spiegai io velocemente.
«Perché diavolo la stai difendendo?» mi chiese lei in tono piuttosto offeso.
«Perché è stata lei ad essere aggredita, non tu.» continuai inutilmente.
«Ti piace?» domandò lei subito dopo.
«Cosa?» chiesi io senza capire cosa c'entrasse con quella storia.
«Per questo l'hai baciata?» continuò lei nervosamente.
«E tu per questo l'hai aggredita?» ribattei col suo stesso tono, in quel momento nessuna delle due riuscì a tenere un tono basso né calmo.
«Certo, non starò ferma a guardare te che mi lasci per una donna qualunque.» disse con un sorriso nervoso.
«Quindi tu puoi fare quello che vuoi e io no?» replicai velocemente.
In quel momento iniziammo a darci la colpa a vicenda, lei confessò di avermi mentito per vedere cosa facessi senza di lei, per quel motivo si trovò di fronte casa mia, ma anche in quel momento non riuscivo a crederle fino in fondo. Per lei io l'avevo tradita, e quindi la bugiarda secondo lei ero io. Perlomeno io mi pentii subito di quel bacio, non come fece lei raccontandomi un sacco di bugie.
«Da quanto va avanti con quell'uomo?» le chiesi poco dopo.
«Quale uomo?» domandò lei con fare fin troppo ingenuo.
«Smetti di fingere che non sia vero, ho visto quel video, vi ho visti mano nella mano.» ribattei nervosamente.
Lei si morse leggermente le labbra, abbassò per un attimo lo sguardo e poi mi disse di essere stata costretta, che doveva farlo per sopravvivere. Le chiesi più volte perché fosse costretta, volevo una risposta, una che lei non voleva darmi, ma alla fine sputò fuori quel dannato motivo.
«Gli devo dei soldi...» mi disse in tono titubante.
«Cosa?? Hai ricominciato con la droga?» le chiesi con ancora quel tono nervoso.
«Senti, Emma, io...» rispose lei con un tono che quasi le tremava ma io ero incazzata nera con lei per tutte le bugie che mi disse.
«Cazzo, Grace, rispondi alla mia domanda!» dissi in tono più nervoso del solito.
«Ti prego, Emma...» biascicò lei provando a sfiorarmi il viso con una sua mano ma io la spinsi via.
Per tutto il tempo restammo in piedi, litigammo pesantemente, peggio del solito, ma in quel momento non avevo alcuna intenzione di perdonarla.
«Vaffanculo Grace, ti ho difesa con chiunque, dicevano che non potevi cambiare e avevano ragione.» le dissi con tutta la rabbia che provai in quel momento.
Jane mi mise da sempre in guardia da Grace ma io non l'ascoltai, mi sentivo in dovere di proteggerla, di farla stare meglio poiché sembrava che nessuno nella sua vita ci tenesse abbastanza, ma come al solito rimasi delusa. Lei mi disse che il suo era solo un debito che aveva da prima di conoscermi, continuò a dirmi che era pulita, mi chiamò persino "amore", di nuovo, ormai odiavo che mi chiamasse in quel modo.
«Amore un corno! Hai detto a quegli uomini di spaccare la faccia a Regina.» ribattei io con fare nervoso e in quel momento sentii qualcosa di strano, di diverso, anche Grace se ne accorse.
Non provavo una semplice attrazione fisica, mi importava sul serio di lei anche se non la conoscevo, anche se conoscevo Grace da più tempo. Ma quest'ultima mi aveva beatamente mentito per almeno due anni, l'altra diceva sul serio ciò che pensava, non aveva bisogno di conquistarmi con le bugie.
«A Regina? È così che si chiama la donna con cui mi hai tradito?» mi chiese Grace cambiando completamente tono e tornando ad innervosirsi.
«È così che si chiama la donna che hai fatto aggredire da quegli uomini.» risposi io in tono più calmo.
Non mi piaceva discutere con lei, ogni volta finivo per restare senza forze, era ovvio che dovessimo farla finita. In quel momento lei divenne gelosa, ma io non le diedi corda, le chiesi chi fossero quegli uomini ma lei non mi diede nessuna risposta utile. Mi disse solo che erano uomini pericolosi, ma non volle dirmi dove trovarli. Dopo varie insistenze le chiesi di andarsene, di non farsi più vedere, non avevo più voglia di discutere con lei. Quando uscì da casa mia io feci lentamente dei passi indietro, sentivo di aver fatto la cosa giusta ma mi sentivo anche vuota, svuotata da ogni cosa che costruii dentro di me. Mi sedetti sul bracciolo del divano, mi misi le mani nei capelli e pensai bene a cosa fare subito dopo. Quel giorno non lavoravo ma non avevo nemmeno la testa per pensare a qualcosa di sensato.
«Mamma, stai bene?» mi chiese Henry dopo alcuni istanti, nemmeno mi accorsi che uscì dalla sua camera e si avvicinò a me.
Io mi tolsi lentamente le mani dai capelli e alzai il mio sguardo verso di lui, era in piedi proprio accanto a me, aveva uno sguardo preoccupato e subito provai a rilassarmi per non far agitare anche lui.
«Sto bene, tranquillo.» gli dissi sforzandomi di sorridere.
«Hai lasciato Grace?» mi chiese con un tono non così entusiasto come lo era la sera prima.
«Sì, così adesso sarai contento, no?» commentai in tono lievemente ironico.
«Non se ti fa stare tanto male.» commentò lui in tono particolarmente dolce, non sapevo proprio cosa avrei fatto senza di lui.
«Mi passerà, serve solo del tempo.» gli spiegai debolmente tirandolo verso di me e abbracciandolo.
Quella mattina la passammo a casa, la neve finalmente scese ma era così tanta che preferimmo non uscire, il caldo e comodo divano ci attirava molto più di una passeggiata sotto una bufera di neve. Guardammo la tv, perlopiù dei cartoni animati, fino a quando il campanello non suonò.
«Aspettavi qualcuno?» mi chiese Henry che era al caldo al suo solito posto sul divano sotto una coperta in pile.
«No, perlomeno non adesso, mancano ancora 9 ore all'appuntamento.» risposi io alzando lo sguardo su un piccolo orologio bianco appeso alla parete poco sopra alla porta.
Subito mi alzai dal divano, mi avvicinai alla porta ma prima di aprirla controllai nello spioncino, ciò che vidi però non mi schiarì i pensieri e così aprii subito la porta.
«Che cosa ci fai qui?» chiesi ad una splendida Regina in un classico tailleur scuro, quell'abbigliamento formale le donava molto, le dava un certo non so che di potenza, e forse era quello che voleva.
Voleva mostrare agli altri che era forte, che non avrebbero dovuto sfidarla altrimenti avrebbero perso tutto, ma a quel gioco potevamo giocare entrambi, nonostante io avessi su il mio pigiama arancione.
«Oh ciao anche a te.» rispose lei in tono ironico. «Non mi fai entrare?»
«No, c'è mio figlio.» risposi io in tono leggermente basso per non farmi sentire da Henry.
«E quindi? Non voglio di certo metterti in cattiva luce con lui.» replicò lei con un sorrisetto beffardo e subito mi lasciai convincere.
«D'accordo, entra...» dissi facendole spazio per entrare.
«Bella casa...» commentò guardando lentamente ogni angolo della casa.
«Henry, abbiamo un ospite...» gli dissi chiudendo la porta.
«Ciao...» ribatté lui senza staccare lo sguardo dalla tv.
«Henry!» lo richiamai io in tono più alto notando il sorrisetto beffardo che Regina tentava di nascondere.
«Che c'è?» mi chiese lui voltandosi finalmente verso di noi.
«Puoi per piacere alzarti e venirti a presentare?» ribattei con fare titubante, purtroppo quando in tv c'era qualcosa che gli interessava tanto era difficile smuoverlo, ma Regina lo assecondò.
«No no, stai pure comodo.» gli disse non appena lui si tolse parzialmente la coperta di dosso. «Hai ripetuto il suo nome almeno un paio di volte, ormai so come si chiama.» continuò verso di me facendo sorridere Henry. «Prendi al volo!» gli disse lanciandogli un cappellino dei Red Sox che tenne nascosto dietro la schiena. «Non sapevo quale squadra tifassi e ora come ora non posso farmi vedere con gadget di altre squadre in mano, perlomeno di baseball.»
«No, grazie, è fantastico!» commentò Henry indossando quasi subito quel berretto.
«Stai tentando di corrompere mio figlio?» chiesi a Regina in tono piuttosto basso.
«Se è per questo ho qualcosa anche per la mammina.» ribatté lei con fare particolarmente provocante.
«Di cosa si tratta?» continuai io con fare confuso.
«Vuoi sul serio che ti mostri il regalo che ho per te davanti a lui?» ribatté lei con quel sorrisetto divertito facendomi poi segno verso mio figlio che tornò quasi subito a guardare la tv.
«Henry, noi andiamo un attimo in camera, torniamo subito.» dissi prendendo Regina per un polso e facendole strada verso la mia stanza. «Cosa vuoi?» le chiesi non appena lei chiuse la porta alle sue spalle.
«Volevo darti questo.» disse tirando fuori una piccola busta da lettere bianca da una tasca della sua giacca.
Io non capivo di cosa si trattasse, o perché fosse lì in casa mia, ma dopo un attimo di esitazione l'aprii e trovai un invito per una festa in onore del nuovo direttore generale dei Red Sox.
«Vuoi che venga a questa festa?» le chiesi con un tono confuso, in fondo non ci conoscevamo nemmeno. «Perché?» continuai io non appena mi disse un semplice sì.
«Per festeggiare me, è ovvio. Quale altro motivo potrebbe esserci?» rispose lei in tono decisamente ironico.
«Non lo so, non capisco perché fai tutto questo. Il cappellino ad Henry, questo invito, il bacio di ieri sera... Qual è il tuo piano?» ribattei con fare ancora più confuso, ma lei non mi aiutò di certo a capirci qualcosa.
«Non ho nessun piano, vediamo come va...» commentò lei in tono piuttosto calmo. «Tu pianifichi ogni prossima mossa?»
«No però prima di fare una cosa ci penso bene, tu sei sul serio così istintiva?» domandai con fare titubante, io e lei sembravamo così diverse.
«Diciamo che mi lascio guidare dalle emozioni, da ciò che provo in un determinato momento. Se ho voglia di uscire esco, se mi va di urlare contro qualcuno lo faccio...» mi spiegò lei facendo alcuni passi verso di me ma il suo tono e il suo sguardo erano troppo maliziosi per restar ferma al mio posto. «Se mi va di baciarti io ti bacio.» disse non appena sbattei con le spalle contro il muro della parete dall'altro lato della porta.
«E ora cosa ti va di fare?» le chiesi con un nodo alla gola.
«Quello che sto facendo, provocarti!» disse con un sorrisetto divertito.
Io però non rimasi lì per troppo a farmi prendere in giro, mi staccai dal muro e dopo averla spinta le passai accanto.
«Aspetta...» continuò fermandomi accanto a lei.
Mi portò una mano sotto al mento, mi sfiorò le labbra e continuò a provocarmi avvicinando lentamente il suo viso al mio.
«Ah già, scusami, tu hai una ragazza...» commentò fermandosi all'improvviso con fare ironico.
«Esatto, quindi smettila.» ribattei nonostante non fosse vero. «Puoi riprenderti anche l'invito, non credo tu voglia che porti la mia ragazza.» continuai porgendole quella busta di carta dopo aver fatto un passo lontano da lei.
«In verità non mi importa, puoi portare chi vuoi, l'importante è che venga tu.» replicò lei con un tono fin troppo serio.
«Perché?» le chiesi sentendo il mio cuore battere leggermente più forte del solito, il suo interesse nei miei confronti non mi era così indifferente.
«Mi piacerebbe vederti in abito da sera, magari con le gambe scoperte, il seno in bella vista... Insomma questo pigiama è carino ma non te lo consiglierei per la serata. Per di più credo ti starebbe bene un bicchiere di champagne vuoto in mano, l'ennesimo.» commentò lei in tono parzialmente provocatorio.
Ciò che voleva era che mi ubriacassi, era ovvio, ma io mi controllavo bene, avevo una buona resistenza agli alcolici e le sue provocazioni non mi avrebbero fatto cedere.
«Ho già pronto l'abito adatto che ti farà perdere la testa.» continuò lei con un sorrisetto divertito.
«Ah sì? E tu credi sul serio che io possa perdere la testa per te che indossi un qualsiasi straccetto?» le chiesi col suo stesso tono, ma lei giocava a quel gioco meglio di me.
«Preferisci che non indossi nulla?» ribatté lei facendomi quasi strozzare con la mia stessa saliva, non potevo fare una figura peggiore.
Il pensiero di lei nuda non mi lasciò di certo indifferente, lei sorrise dandomi dei leggeri colpetti dietro la schiena mentre io tentai di non morire con dei colpi di tosse.
«Cavolo, ti ho scioccata.» commentò lei trattenendo una risata.
«Dovresti smetterla di dire assurdità, qualcuno potrebbe restarci secco.» ribattei io facendo dei respiri profondi e provando a tornare del mio colore naturale.
«Dopo ciò che è appena successo non puoi dire che non ti faccia nessun effetto.» continuò lei con un sorrisetto divertito.
Non rimase per molto a casa mia, andò via quasi subito, le dissi che non era sicuro che ci sarei andata, che avevo un altro appuntamento, ma a lei non sembrò toccarle particolarmente.
«Quando l'appuntamento diventerà insostenibilmente noioso vieni a farti un giro.» mi disse poco prima di andare via.
Quel giorno di cose ne successero abbastanza, ma non avevo ancora visto nulla, mancava ancora tutta la serata, la più lunga della mia vita. Patrick fu puntuale, anche troppo, alle 8 precise suonò al campanello. Mi portò dei fiori, fu carino ma non mi sembrò un gesto da amico. Uscimmo con la sua auto e andammo in un ristorante piuttosto elegante, al The Capital Grille, che si trovava nel nostro quartiere. Fuori faceva piuttosto freddo, ma sia in auto che al ristorante c'erano i riscaldamenti accesi, non molto alti, giusto un po' per non morire di freddo. Io avevo un abito lungo poco sopra le ginocchia, con una linea a tubino, non troppo scollato e rosso, mentre da sopra optai per un cappotto dello stesso colore. Henry andò a casa di Maura, dove ci sarebbe stata anche Jane, solo dopo pensai di aver eventualmente rovinato i piani della seconda. La cena passò tranquillamente, Patrick era carino ma mi mancava qualcosa. Mi mancava Regina. Il confronto tra i due appuntamenti fu inevitabile, Patrick provava a farmi sentire a mio agio, a non dire nulla di esagerato, Regina invece voleva che fossi me stessa davanti a lei e al suo essere stronzamente incoerente. Entrambi avevano un carattere differente, lei era sicura di sé, spavalda anche davanti ad un sacco di persone, lui invece non sembrava sentirsi a suo agio in quel ristorante nonostante fosse stato lui a sceglierlo. Avrei voluto chiedergli perché lo avesse fatto, perché lo avesse scelto, lui era un tipo semplice e quel lusso era forse troppo per lui, ma non volevo metterlo ancora più a disagio. Quando arrivò il conto però si comportò allo stesso modo di Regina, lo prese lui senza farmi vedere né quanto spendemmo né altro nonostante le mie lamentele. Quando ci alzammo per andarcene mi diede anche una mano per mettere il cappotto, peccato che quando lo indossai mi cadde dalla tasca l'invito alla festa di Regina. Lui lo prese subito, cadde alle mie spalle, io non lo vidi in quel momento, ma fu proprio lui a chiedermi cosa fosse.
«Non è nulla, un invito per una festa ma non ci andrò.» gli spiegai io mentre mi abbottonai il cappotto.
«Con i Red Sox? Perché non vuoi andarci?» mi chiese leggendo quelle poche righe che c'erano su quel bigliettino.
«Perché ora sono con te, ho deciso che avremmo passato la serata insieme e così faremo.» gli spiegai in tono piuttosto fermo e convinto.
«Sei carina Emma, davvero, ma non devi farlo per me. O comunque, se vuoi, potremmo andarci insieme.» ribatté lui con un sorriso quasi imbarazzato.
«Sul serio vorresti venire con me ad una festa simile?» domandai con fare lievemente confuso.
«Certo, cioè ci saresti comunque tu, poi i Red Sox e chissà quante altre persone famose. Tu se non fossi uscita con me non ci saresti andata?» mi chiese con un tono particolarmente eccitato, come quello di Henry quando Jane gli diceva che poteva fare un giro nell'auto della polizia.
«Probabilmente no, insomma non sono feste a cui partecipo, il massimo a cui prendo parte sono feste tra parenti, ma siamo sempre massimo una decina.» gli spiegai mentre ci avviammo verso l'uscita.
«Capisco... Beh se non ti va allora possiamo continuare con la nostra serata.» disse porgendomi quel bigliettino e cambiando decisamente tono.
«Tu mi sembri particolarmente interessato.» commentai con un leggero imbarazzo.
«Tifo per i Red Sox da quando sono piccolo, mio padre mi ha trasmesso questa passione anche se il basket ha preso il sopravvento, quindi mi farebbe piacere incontrare qualcuno della squadra. Ma questa serata sta già procedendo meravigliosamente perché sono con te, credimi se ti dico che non ho bisogno di altro.» ribatté lui quando tornammo al freddo gelido fuori al locale.
Lui fu molto dolce e in un certo senso anche io avevo voglia di andare a quella festa, così gli dissi che potevamo eventualmente farci un salto e con sua somma gioia ci avviammo verso il posto scritto sul cartellino. Quel posto non era altro che l'Harbor Hotel, lo stesso posto in cui portai Regina a cena, anche se in quel momento dovemmo andare in un'altra sala. Ci avvicinammo alla reception e chiedemmo informazioni, un ragazzo piuttosto gentile ci fece strada verso la sala prestabilita e prima di lasciarci si prese i nostri soprabiti. Non appena entrammo nella sala la trovammo piena di gente, di solito in feste particolarmente affollate non conoscevo quasi nessuno, in quel momento invece perlomeno di vista conoscevo molti di loro. Non c'erano solo i componenti della squadra o i telecronisti sportivi, c'erano anche personaggi che venivano dal mondo dello spettacolo, tifosi dei Red Sox. In quella stanza probabilmente quelli più fuori luogo eravamo io e Patrick, anche se lui sembrò molto felice di stare lì, come un bambino in un negozio di caramelle. Mi guardai attorno per un po', Patrick era entusiasta di riconoscere tutti quei volti famosi, io invece volevo solo vedere Regina, e dopo due minuti abbondanti la vidi. Era al centro della sala, con un abito nero lungo fino al pavimento, quest'ultimo era blu con dei motivi in oro, lei sembrava brillare quasi alla luce dell'enorme lampadario di cristallo che c'era nella sala, aveva i capelli raccolti da un fermaglio argentato che rendeva la sua figura ancora più importante. Lei non mi vide subito, era rivolta per tre quarti verso delle altre persone ben vestite, e la sua posizione mi diede la possibilità di notare la scollatura vertiginosa che aveva dietro la schiena, si fermava poco sopra al sedere. Era davvero meravigliosa in quell'abito, splendeva come un diamante. Mi sarebbe piaciuto avvicinarmi a lei, parlarle, dirle che aveva ragione e che non ero così immune al suo fascino, ma non feci nulla e anzi rimasi al mio posto a guardarla ridere per chissà quali frasi di quegli uomini. Dopo un po' però si voltò verso l'entrata, poco distante da dove ero io, ed incrociò il mio sguardo.
*********
Regina rimase incantata dalla bellezza di Emma, tanto che le battute di quell'uomo non la toccarono più. Quest'ultimo era uno degli sponsor dei Red Sox, uno di quelli che sborsava più soldi di tutti durante l'anno e Regina stava tentando di entrare nelle sue grazie. Le battute non le facevano ridere sul serio ma negli anni imparò a fingere che anche le cose più noiose la interessassero e così riuscì gradualmente ad andare in alto. Quando vide Emma, però, tutto il suo mondo si fermò, non sentì quasi più nemmeno le chiacchiere dei presenti, era come se lì ci fossero solo loro due. Non immaginò che sarebbe sul serio andata, Regina non aveva intenzione di inoltrarsi in una relazione con Emma ma qualcosa in lei la intrigava, i suoi occhi, la sua bellezza e il suo tenerle testa facevano sì che l'interesse di Regina restasse alto, e in quel momento anche senza parole toccò picchi altissimi. A lei piaceva provocarla, le piaceva vederla in difficoltà, per quel motivo andò a casa sua. Sapeva che avrebbe rifiutato la sua proposta, credeva che avesse ancora una ragazza e quindi un senso civico da mantenere, ma sperò ugualmente di vederla. La trovava stupenda in quell'abito rosso, coi capelli completamente lisci poi dava quel tocco in più di diverso ma ugualmente bello.
«Scusatemi un attimo.» disse a quegli uomini allontanandosi da loro come ipnotizzata dallo sguardo di Emma.
Nessuna delle due abbassò lo sguardo dall'altra da quando si videro, nessuna delle due aveva intenzione di farlo, non volevano perdersi nemmeno un dettaglio dell'altra.
*********
Lentamente si allontanò da quegli uomini e camminando tra la folla diminuì sempre di più la distanza tra di noi, sorrideva, sembrava felice di vedermi. Quando si fece più vicina, il suo sorriso divenne più sarcastico, notò Patrick accanto a me seppur fosse anche lui assorto nella bellezza di quel posto.
«Oh salve, e voi siete?» chiese Regina in tono altezzoso passando il suo sguardo da me a Patrick.
«B-buonasera, io mi chiamo Patrick Wallis, lei è il nuovo direttore generale dei Red Sox?» chiese Patrick piuttosto imbarazzato.
«Sì, sono io... E lei sarebbe?» continuò abbassando il suo sguardo su di me.
«Mi conosci, sai già chi sono, come farei ad avere un invito altrimenti?» ribattei col suo stesso tono sarcastico.
«Giusto, giusto... Ma pensavo portassi la tua ragazza, lui chi è?» domandò lei mettendo sia me che Patrick a disagio.
«Non ruota tutto attorno alla mia ragazza, lui è un mio amico.» risposi io tentando di avere un tono fermo, non volevo offendere Patrick.
«Un amico?» ripeté con un sorrisetto divertito. «Beh Patrick, posso rubarti l'amica per qualche minuto?»
«C-certo...» rispose lui timidamente.
Regina mi fece subito segno di seguirla e, dopo essermi scusata con Patrick, seguii lei lontano da quella sala piena di persone. Ci inoltrammo quasi subito in un breve corridoio ed entrammo nella prima stanza che trovammo alla nostra destra, che era una sala per eventuali meeting di lavoro essendoci un tavolo rettangolare e varie tv appese alle pareti.
«Cosa c'è? Hai di nuovo voglia di baciarmi?» le chiesi io con fare ironico non appena chiusi la porta.
«Non credi di tirartela un po' troppo?» ribatté lei col mio stesso facendo pochi passi verso di me.
«Ho visto come mi guardavi.» le spiegai con un tono forse fin troppo altezzoso per i miei standard.
«Anche io ho visto come mi guardavi tu.» replicò lei con un sorriso beffardo.
«Non è colpa mia se stai bene in abito da sera.» commentai io in tono quasi indifferente.
«Ah quindi ti piaccio?» mi chiese lievemente confusa.
«Non esageriamo...» continuai io velocemente ma lei mi spiazzò.
«A me tu piaci.» disse con fare particolarmente serio.
«Cosa?» domandai in tono imbarazzato.
«Sì, beh, insomma... Il rosso ti dona, sei molto bella.» mi disse con un sorriso sinceramente dolce.
«Aspetta, aspetta... Tu mi hai appena fatto un complimento? Hai sul serio detto che sono bella?» le chiesi col nervosismo che non voleva saperne di abbandonarmi.
«Ho solo detto ciò che pensano tutti.» si giustificò lei in tono più sereno.
«Tutti chi?» ribattei io piuttosto confusa.
«Tutti quelli che almeno una volta nella loro vita ti hanno avuta davanti.» ribatté lei facendomi arrossire ancora di più. «Tipo quel tuo amico, quel Patrick, lui sarà già cotto di te. Perché lo hai portato qui? Dov'è la tua ragazza?»
«Ci siamo lasciate...» le spiegai con un sorriso imbarazzato.
«Come mai?» domandò lei come se fosse sul serio dispiaciuta, ma continuavo a non fidarmi.
«Credevi sul serio che ci sarei rimasta insieme dopo quello che ti ha fatto?» ribattei nervosamente, non amavo le persone violente o capaci di tanto.
«L'hai lasciata per me?» continuò lei più che confusa, sentii un leggero nervosismo nel suo tono di voce.
«No, cioè, mi ha raccontato tante bugie.» le spiegai io debolmente.
«Beh immagino che tu abbia preso la decisione migliore.» commentò sfiorando il mio viso con una sua mano dannatamente calda. «Forse sarà meglio tornare di là, sono pur sempre la festeggiata.» aggiunse con un sorriso particolarmente dolce, io annuii e mi spostai dalla porta.
Lei si voltò lentamente ma io non volevo che uscissimo da lì, non ancora almeno. Regina aprì lentamente la porta e si fermò a controllare che non ci fosse nessuno, in fondo a quella festa c'erano anche dei fotografi. Mi dava le spalle, quelle sue stupende spalle parzialmente scoperte. Lentamente mi avvicinai a lei, le sfiorai la schiena, la vidi inarcarla leggermente e in un attimo la porta si chiuse. Io mi ritrovai con le spalle al muro, la mano con cui la sfiorai era nelle mie stesse condizioni tenuta ferma da lei che in pochi istanti si avvicinò tanto a me.
«Che diavolo stai facendo?» mi chiese in tono particolarmente basso e nervoso.
«Cosa c'è? Ti piace toccare gli altri, provocarli, ma se lo fanno a te non va bene?» ribattei con un sorriso provocatorio.
«Esatto!» rispose lei con un sorriso nervoso.
Probabilmente avrei dovuto evitare di fare qualsiasi cosa, soprattutto assecondarla quando mi chiedeva di andare da qualche parte, ma mi risultava difficile. Non capivo perché mi attirasse tanto, era talmente stronza ed egocentrica che avrebbe dovuto essere l'ultima persona ad attirarmi, e invece mi piaceva, mi piaceva davvero tanto. Lei tenne il suo viso così vicino al mio che non mi fu difficile avvicinarmi alle sue labbra, mi bastò allungare semplicemente un po' il collo. Lei non si scansò, non si staccò nemmeno quando le mie labbra incontrarono le sue. Nonostante le sue parole, i fatti dimostravano tutt'altro, non le dispiaceva tanto che altri toccassero lei, le dava solo fastidio non avere il controllo. Difatti lentamente mi lasciò andare il braccio, portò quella sua mano sul lato destro del mio viso, a metà tra il mio collo e la mia mascella, e mi tenne ancora più stretta a quella parete baciandomi con foga come se l'avesse deciso lei.
«Non ti sono poi così indifferente se piuttosto che allontanarti ti avvicini ancora di più.» commentai io in tono piuttosto ironico pochi istanti dopo.
Lei mi sorrise con fare beffardo, non sapevo cosa pensasse ma non immaginavo che quelle provocazioni ci avrebbero portate ad avvicinarci di più. Il mattino seguente mi ricredetti, dovetti farlo per forza, non potevo continuare a pensare che le nostre fossero innocenti provocazioni anche dopo essermi svegliata nello stesso letto con lei accanto.

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