Cap. 5

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«Hai l’aria distrutta», mi disse Leslie durante l’intervallo.
«Mi sento da schifo, infatti.»
Leslie mi batté sul braccio. «Però queste occhiaie ti stanno bene», osservò cercando di rinfrancarmi. «Ti fanno sembrare gli occhi ancora più azzurri.»
Non potei fare a meno di sorridere. Leslie era così tenera. Eravamo sedute sulla panchina sotto il castagno e dovevamo parlare sottovoce, perché dietro di noi c’era Cynthia Dale con un’amica e poco più in là Gordon anatra-starnazzante /orso-brontolone Gelderman discuteva di calcio con altri due ragazzi. Non volevo che sentissero quello che dicevamo. Già mi trovavano abbastanza bizzarra.
«Ah, Gwen! Avresti dovuto parlare con tua madre.»
«Me lo hai ripetuto almeno cinquanta volte.»
«Certo, perché è così. Non riesco proprio a capire perché tu non l’abbia fatto!»
«Perché... ecco, sinceramente, non riesco a capirlo nemmeno io. Non so, forse in fondo speravo che non sarebbe più capitato.»
«Se penso a quello che ti sarebbe potuto succedere, da sola, di notte... prendi la profezia della tua prozia: può significare soltanto che sei in grave pericolo. L’orologio simboleggia i viaggi nel tempo, la torre alta il pericolo, e l’uccello... ah, non avresti dovuto svegliarla! Molto probabilmente stava per dire qualcosa di importante. Oggi pomeriggio proverò a fare ricerche approfondite su ogni cosa – corvo, zaffiro, torre, sorbo –, ho scoperto un sito sui fenomeni paranormali, molto ricco di informazioni. E poi mi sono procurata molti libri sui viaggi nel tempo. E dei film. Ritorno al
futuro 1, 2 e 3. Chissà, magari impariamo qualcosa...»
Pensai con nostalgia a quanto mi divertivo tutte le volte che guardavo un DVD con Leslie spaparanzata sul suo divano. A volte toglievamo il sonoro e doppiavamo noi stesse gli attori, con testi inventati.
«Ti senti svenire?»
Scrollai la testa. Ora sapevo come si era sentita la povera Charlotte nelle ultime settimane. Queste continue domande potevano dare davvero sui nervi. Anche perché io stessa passavo tutto il tempo ad ascoltarmi, in attesa del senso di vertigine.
«Se solo fosse possibile sapere in anticipo quando accadrà», osservò Leslie. «È davvero ingiusto, secondo me: Charlotte è stata preparata fin da piccola a tutto questo, tu invece hai dovuto fare un salto nel buio.»
«Non ho idea di che cosa avrebbe fatto Charlotte se ieri sera si fosse trovata al mio posto, inseguita da quell’uomo che dormiva nell’armadio a muro», dissi. «Non credo che le sue lezioni di ballo e di scherma sarebbero servite in simili circostanze. E in ogni caso non c’era nemmeno un cavallo nelle vicinanze con cui scappare al galoppo. »
Sghignazzai, immaginandomi Charlotte al mio posto mentre veniva inseguita per tutta la casa da quel forsennato di Walter. Forse avrebbe afferrato uno dei pugnali appesi al muro in salotto e avrebbe fatto una strage tra la povera servitù.
«Ma no, sciocchina, a lei non sarebbe certo successo, perché sarebbe finita da qualche altra parte grazie al suo cronografo. In qualche posto dove tutto era tranquillo. Dove non poteva succederle niente. Tu invece preferisci rischiare la vita piuttosto che raccontare ai tuoi che hanno istruito la persona sbagliata.»
«Forse nel frattempo anche Charlotte ha fatto il suo primo salto nel tempo. Così avranno quello che vogliono. »
Leslie sospirò e cominciò a sfogliare il mucchio di documenti che teneva sulle ginocchia. Mi aveva preparato una specie di faldone pieno di presunte informazioni utili. E anche meno utili. Per esempio aveva stampato foto di auto d’epoca, scrivendoci accanto l’anno di produzione. In base alle sue ricerche, l’auto che avevo visto nel mio primo salto nel tempo risaliva al 1906.
«Jack lo Squartatore commetteva i suoi delitti nell’East End. Era il 1888. Nessuno ha mai scoperto la sua vera identità. C’erano stati molti sospetti, ma prove certe nemmeno una. Quindi, nel caso dovessi trovarti una volta nell’East End, sappi che nel 1888 ogni uomo rappresenta un potenziale pericolo. Il grande incendio di Londra fu nel 1666, la peste c’era praticamente sempre, ma nel 1348, 1528 e 1664 l’epidemia fu particolarmente virulenta. Poi: i bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale sono cominciati nel 1940. Tutta la città fu distrutta. Devi scoprire se casa vostra era rimasta in piedi. In questo caso lì saresti al sicuro. Altrimenti la cattedrale di St Paul sarebbe un altro luogo sicuro, perché, nonostante fosse stata colpita da una bomba, rimase miracolosamente intatta. Forse dovresti rifugiarti lì.» «Sembra tutto molto pericoloso», osservai.
«Già, è vero. Non so perché, ma anch’io me l’ero sempre immaginato più romantico. Sai, credevo che per Charlotte fosse come vivere in un film storico. Ballare con Mr Darcy al ricevimento. Innamorarsi di un sexy highlander. Dire ad Anna Bolena di non sposare assolutamente Enrico VIII. Cose del genere.»
«Era Anna Bolena quella che finì decapitata?»
Leslie annuì. «Ci hanno fatto un bellissimo film con Natalie Portman. Se vuoi posso prendere in prestito il DVD... Gwen, promettimi che oggi parlerai con tua madre. »
«Te lo prometto. Lo farò stasera.»
«Dov’è Charlotte?» La testa di Cynthia Dale spuntò oltre il tronco del castagno. «Volevo copiare il suo tema su Shakespeare. Cioè, volevo dire, volevo leggerlo per trovare qualche spunto.» «Charlotte è malata», dissi.
«Che cos’ha?»
«Hmm...»
«Dissenteria», rispose Leslie. «Un attacco molto forte. Passa tutto il tempo al gabinetto.»
«Che schifo, risparmiatemi i particolari, per favore», esclamò Cynthia. «Posso vedere i vostri temi allora?»
«Non l’abbiamo ancora finito», rispose Leslie. «Prima vogliamo vedere il DVD di Shakespeare in Love.»
«Se vuoi, puoi leggere il mio di tema», si intromise Gordon Gelderman con la sua voce più baritonale. La sua testa spuntò dall’altro lato del tronco. «Ho preso tutto da Wikipedia.»
«Allora tanto vale che vada direttamente su Wikipedia», ribatté Cynthia.
In quel momento suonò la campanella di fine ricreazione.
«Due ore di inglese», sbuffò Gordon. «Una vera tortura per chiunque. Ma Cynthia è già lì che sbava al solo pensiero del suo principe azzurro.»
«Piantala, Gordon.»
Ma Gordon non si faceva intimidire da nessuno. «Non so proprio che cosa ci troviate di tanto speciale in Mr Whitman. È un frocio.» «Non è vero!» esclamò Cynthia balzando in piedi indignata.
«Eccome se lo è.» Gordon la seguì verso l’ingresso. Avrebbe continuato a tormentarla fino al secondo piano, senza nemmeno prendere fiato. Ne era capacissimo.
Leslie alzò gli occhi al cielo. «Vieni», disse porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi dalla panchina. «Andiamo dal principe degli scoiattoli.»
Raggiungemmo Cynthia e Gordon al secondo piano. Stavano ancora parlando di Mr Whitman.
«Lo si capisce da quel suo strambo anello con sigillo», stava dicendo Gordon. «È roba da finocchi.»
«Anche mio nonno portava un anello con sigillo», intervenni, anche se in realtà non era mia intenzione.
«Allora significa che anche tuo nonno era gay», disse Gordon.
«Lo dici solo perché sei invidioso», replicò Cynthia.
«Invidioso? Io? Di quello lì?»
«Esatto. Invidioso. Perché Mr Whitman è semplicemente l’eterosessuale più bello, virile e intelligente che esista. E perché accanto a lui tu fai la figura del ragazzino stupido e rachitico.»
«Grazie davvero per i complimenti», disse Mr Whitman. Era comparso silenziosamente alle nostre spalle, tenendo sottobraccio un plico di fogli e, come sempre, con un aspetto mozzafiato. (Anche se in effetti assomigliava un pochino a uno scoiattolo.)
Cynthia diventò, se possibile, più rossa d’un pomodoro. Provai sincera compassione per lei.
Gordon sogghignò malizioso.
«E tu, mio caro Gordon, forse dovresti fare una ricerca approfondita sugli anelli con sigillo e i loro proprietari», proseguì Mr Whitman. «Per la prossima settimana vorrei che mi consegnassi una tesina sull’argomento.»
Ora toccò anche a Gordon arrossire. Ma, contrariamente a Cynthia, non perse la parola. «Per inglese oppure per storia?» squittì.
«Personalmente gradirei se dessi maggior risalto agli aspetti storici, ma lascio fare a te. Diciamo, cinque pagine per lunedì prossimo?» Mr Whitman aprì la porta della nostra classe e ci rivolse un sorriso raggiante. «Se volete accomodarvi.»
«Lo odio», borbottò Gordon mentre andava al suo posto.
Leslie gli diede una pacca di consolazione sulla spalla. «Credo che sia un sentimento reciproco.»
«Per favore, ditemi che è stato solo un sogno», disse Cynthia.
«È stato solo un sogno», ubbidii io. «In realtà Mr Whitman non ha sentito una parola quando lo descrivevi come l’uomo più sexy del mondo.»
Cynthia si lasciò cadere sulla sedia con un gemito. «Vorrei sprofondare.»
Mi accomodai accanto a Leslie. «Poveretta, è ancora rossa come un peperone.»
«Già, e mi sa che resterà tale sino alla fine della scuola. Che scena penosa.»
«Forse Mr Whitman adesso le darà dei voti migliori.»
Mr Whitman guardò il banco vuoto di Charlotte e assunse un’espressione pensierosa.
«Mr Whitman? Charlotte è malata», dissi. «Non so se mia zia ha chiamato in segreteria...»
«Ha la dissenteria», belò Cynthia. Evidentemente sentiva la necessità di non essere l’unica ad avere qualcosa di penoso.
«Charlotte è giustificata», disse Mr Whitman. «Probabilmente resterà assente per qualche giorno. Fino a quando... si sarà normalizzato tutto.» Si voltò e scrisse alla lavagna Il sonetto. «Qualcuno sa dirmi quanti sonetti ha scritto Shakespeare?»
«Che cosa voleva dire con normalizzato?» mormorai rivolta a
Leslie.
«Non lo so, ma secondo me in ogni caso non era riferito alla dissenteria di Charlotte», mi rispose Leslie sottovoce.
La pensavo come lei.
«Hai mai guardato bene l’anello che porta?» bisbigliò Leslie.
«Io no. E tu?»
«C’è su una stella. Una stella a dodici punte!»
«E allora?»
«Dodici punte, come un orologio.»
«Un orologio non ha mica le punte.»
Leslie alzò gli occhi al cielo. «Possibile che tu non riesca a capire? Dodici! Orologio! Tempo! Viaggi nel tempo! Sono pronta a scommettere... Gwen?»
«Accidenti!» esclamai. Lo stomaco aveva ricominciato a fare le capriole.
Leslie mi guardò piena di raccapriccio. «Oh, no!»
Io ero altrettanto sconvolta. L’ultima cosa che desideravo era di scomparire sotto gli occhi dei miei compagni di classe. Perciò mi alzai e barcollai fino alla porta, tenendomi una mano sullo stomaco.
«Ho la nausea», dissi a Mr Whitman, poi spalancai la porta senza aspettare la sua risposta e mi precipitai in corridoio.
«Sarà meglio che qualcuno vada con lei», sentii dire da Mr Whitman. «Leslie, ci pensi tu?»
Leslie mi corse dietro e richiuse con forza la porta della classe. «Presto! Andiamo in bagno, non ci vede nessuno. Gwen? Gwenny?»
Il viso di Leslie si sfuocò davanti ai miei occhi, la sua voce mi giunse da molto lontano. E poi scomparve del tutto. Mi ritrovai da sola in un corridoio tappezzato di sontuosi arazzi con fili d’oro. Sotto i miei piedi, al posto delle consunte lastre di travertino, c’era un impeccabile parquet tirato a lucido e decorato con intarsi. Doveva essere notte, o quantomeno sera, ma i candelieri alle pareti erano accesi e dal soffitto dipinto pendevano candelabri anch’essi forniti di candele accese. Tutto era soffuso in una luce dorata.
Il mio primo pensiero fu: fantastico, non sono precipitata. Il secondo: dove posso nascondermi prima che mi veda qualcuno?
Infatti non ero sola in quella casa. Dal piano di sotto saliva della musica, musica di violino. E un brusio di voci.
Parecchie voci.
Non era rimasto molto del mio familiare corridoio scolastico al secondo piano della Saint Lennox High School. Cercai di ricordare la suddivisione delle stanze. Alle mie spalle c’era la porta della mia classe, di fronte Mrs Counter stava facendo lezione di geografia in sesta. Accanto c’era un ripostiglio. Se mi fossi nascosta lì, se non altro nessuno mi avrebbe visto al mio ritorno.
Tuttavia il ripostiglio in genere era chiuso a chiave, e forse non sarebbe stata una gran bella idea nascondermi lì. Se fossi tornata indietro in una stanza chiusa a chiave, mi sarei dovuta inventare una spiegazione plausibile su come diavolo fossi finita lì dentro.
Se però fossi entrata in una delle altre stanze, al momento del salto temporale mi sarei materializzata di fronte a una classe piena di studenti e sotto gli occhi di un insegnante. Trovare una spiegazione per l’accaduto sarebbe stato ancora più difficile.
Forse mi conveniva restare lì nel corridoio e sperare che la cosa non durasse molto. I miei salti precedenti erano stati di pochi minuti.
Mi appoggiai alla tappezzeria di broccato aspettando con ansia la sensazione di vertigine. Da sotto mi giungevano suoni di voci e risate, tintinnio di bicchieri e poi di nuovo le note di violino. Sembrava ci fosse tantissima gente che se la spassava. Forse c’era anche James. Dopotutto quella era casa sua. Me lo immaginai – vivo e vegeto – che ballava al suono dei violini.
Peccato non poter scendere di sotto a salutarlo. Di sicuro però non sarebbe stato contento di sapere in che modo ci conoscevamo. Voglio dire, quando ci saremmo conosciuti, molto dopo che era morto... mmm, che fosse stato morto.
Se avessi saputo per quale motivo era morto, avrei potuto aiutarlo. Ehi, James, il 15 luglio a Park Lane, ti cadrà una tegola in
testa, quindi resta a casa quel giorno. Purtroppo però nemmeno James sapeva come fosse morto. Non sapeva neppure di essere morto. Mmm. Che morirebbe. Che morisse.
Più a lungo riflettevo su questa storia dei viaggi nel tempo e più mi sembrava tutto complicato.
Udii dei passi sulle scale. Qualcuno stava salendo di corsa. No, erano due qualcuno. Accidenti! Possibile che non ci fosse mai il modo di starsene in santa pace da qualche parte? E adesso? Scelsi la stanza di fronte, ai miei tempi l’aula della sesta. La serratura della porta era difettosa, impiegai qualche secondo per capire che dovevo spingere la maniglia verso l’alto e non verso il basso.
Quando finalmente riuscii a infilarmi nella stanza, i passi erano molto vicini. L’interno era illuminato da candelabri fissati al muro. Che sconsideratezza lasciarli ardere incustoditi! A casa mi rimproveravano se la sera mi dimenticavo di spegnere anche solo una candelina nella stanza da cucito.
Cercai un nascondiglio, ma la stanza era poco ammobiliata. C’era una specie di divano con gambe ricurve dorate, uno scrittoio, sedie imbottite, niente dietro cui potersi nascondere se si era appena più grandi di un topo. Non mi restava altro che infilarmi dietro uno dei pesanti tendaggi dorati lunghi fino al pavimento, un nascondiglio assai poco originale. Ma nessuno ancora mi stava cercando.
Fuori in corridoio sentii delle voci.
«Dove vuoi andare?» disse una voce maschile piuttosto irata.
«Non lo so! Basta che sia lontano da te», rispose un’altra voce. Era quella di una ragazza, una ragazza che singhiozzava, per la precisione. Con mio raccapriccio entrò di corsa proprio in questa stanza. E l’uomo la seguì. Vedevo le loro sagome confuse attraverso la stoffa della tenda.
Figuriamoci, ma certo! Di tutte le stanze quassù dovevano proprio infilarsi nella mia.
«Lasciami in pace», disse la voce femminile.
«Non posso lasciarti in pace», rispose l’uomo. «Tutte le volte che lo faccio combini qualcosa di avventato.» «Vattene!» ripeté la ragazza.
«No. Ascolta, mi spiace per quello che è successo. Non avrei dovuto permetterlo.»
«Invece lo hai fatto! Perché hai occhi solo per lei.»
L’uomo ridacchiò. «Sei gelosa.»
«Ti piacerebbe!»
Benissimo! Una coppia di innamorati litigiosi! La cosa poteva andare per le lunghe. Sarei rimasta bloccata lì dietro quella tenda fino al momento di saltare indietro e di comparire senza preavviso davanti alla finestra durante la lezione di Mrs Counter. Magari avrei potuto raccontarle di aver partecipato a un esperimento di fisica. Oppure di essere stata lì per tutto il tempo senza che lei si accorgesse di me.
«Il conte si chiederà dove siamo finiti», disse la voce maschile.
«Che mandi pure il suo fratello di sangue transilvano a cercarci, il tuo conte. In realtà non è nemmeno un vero conte. Il suo titolo è falso come le guance di pesca di quella... come si chiamava?» Mentre parlava la ragazza sbuffò rabbiosamente dal naso.
Per qualche motivo mi risultava familiare. Molto familiare. Sbirciai con molta cautela oltre la tenda. I due si trovavano proprio davanti alla porta e li vedevo di profilo. La ragazza indossava uno stupendo abito blu di seta e broccato ricamato, con una gonna tanto ampia da impedirle quasi di passare da una porta normale. Aveva i capelli bianchi come la neve raccolti in una specie di montagna sulla testa e con dei boccoli che le scendevano sulle spalle. Poteva trattarsi solo di una parrucca. Anche l’uomo aveva i capelli bianchi legati sulla nuca con un nastro. Nonostante quel colore di capelli, entrambi sembravano giovani, e molto carini, soprattutto l’uomo. In realtà era più che altro un ragazzo, sui diciotto o diciannove anni. Ed era davvero bellissimo. Un profilo maschile perfetto, oserei dire. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Mi sporsi più del dovuto dal mio nascondiglio.
«Ho già dimenticato il suo nome», rispose il giovane sempre ridendo.
«Bugiardo!»
«Il conte non è responsabile del comportamento di Rakoczy», proseguì il giovane tornato serio. «Sicuramente lo punirà per ciò che ha fatto. Il conte non deve piacerti per forza, però lo devi rispettare.»
La ragazza sbuffò nuovamente dal naso, e io provai ancora una volta quella strana sensazione di familiarità. «Io non devo fare proprio niente», disse voltandosi di scatto verso la finestra, ovvero, verso di me. Mi sarei voluta ritirare dietro la tenda, ma mi bloccai a mezza strada.
Non era possibile! Quella ragazza aveva la mia faccia! Stavo guardando i miei stessi occhi sgomenti!
La ragazza sembrava sorpresa quanto me, ma si riprese più in fretta dallo choc. Mi fece un eloquente gesto con la mano.
Nasconditi! Sparisci!
Io ritirai la testa dietro la tenda, con il fiato corto. Chi era quella? Non era possibile che esistesse una tale somiglianza tra due persone. Dovevo assolutamente controllare di nuovo.
«Chi era?» sentii chiedere dalla voce maschile.
«Niente!» rispose la ragazza. Possibile che pure la voce fosse la mia?
«Alla finestra.»
«Non c’è niente!»
«Potrebbe esserci qualcuno nascosto dietro la tenda ad ascoltarci...» La frase terminò in un’esclamazione sorpresa. All’improvviso cadde il silenzio. Che cosa era successo adesso?
Senza starci su a pensare, scostai la tenda di lato. La ragazza, che era uguale a me, aveva premuto le labbra sulla bocca del ragazzo. Dapprincipio lui non reagì, poi le strinse le braccia intorno alla vita e l’attirò a sé. La ragazza chiuse gli occhi.
Provai uno sfarfallio allo stomaco. Era strano vedersi mentre si baciava qualcuno. Trovavo di essere piuttosto brava. Era chiaro che la ragazza aveva baciato il ragazzo solo per distrarlo dalla mia presenza. Era stata gentile da parte sua, ma perché lo faceva? E come avrei fatto a sgattaiolare via senza farmi vedere?
Le farfalle nel mio stomaco si trasformarono in uccelli svolazzanti e l’immagine dei due giovani che si baciavano sfumò davanti ai miei occhi. E poi mi ritrovai di colpo nell’aula della sesta, con i nervi scossi.
Silenzio.
Avevo immaginato che la mia improvvisa comparsa avrebbe scatenato un putiferio tra i ragazzi e che qualcuno – magari Mrs Counter – sarebbe svenuto per lo spavento.
Invece la classe era vuota. Sospirai di sollievo. Se non altro stavolta avevo avuto un pizzico di fortuna. Mi lasciai cadere su una sedia e posai la testa sul banco. Per il momento ciò che era accaduto superava la mia capacità di comprensione. La ragazza, il giovanotto carino, il bacio...
La ragazza era identica a me.
La ragazza ero io.
Non c’era possibilità d’errore. Mi ero riconosciuta al di là di ogni possibile dubbio per la voglia a forma di mezzaluna sulla tempia, quella che zia Glenda chiamava sempre la «buffa banana».
Non poteva esistere una somiglianza del genere.

Opale e ambra, la prima coppia, s’avanza, canta agata, che del lupo ha sembianza,
con acquamarina in si bemolle – solutio!
Seguono smeraldo e citrino – coagulatio! – le due corniole gemelle in scorpione, e giada, numero otto, digestione.
In mi maggiore: tormalina nera, zaffiro in fa, rischiara la sera.
E subito appresso ecco diamante, undici e sette, leone rampante.
Projectio! Scorre il tempo così lento, rubino è principio e fine del movimento.
 
Dagli scritti segreti del conte di Saint Germain

redWhere stories live. Discover now